Le commissioni Bilancio e Finanze del Senato hanno approvato un emendamento al decreto omnibus che introduce un bonus di 100 euro destinato ai lavoratori dipendenti con redditi medi, sposati e con almeno un figlio fiscalmente a carico. Il bonus esclude chi guadagna meno di 8.500 euro annui e chi non ha versato l’Irpef. Potrà essere richiesto solo da chi ha un coniuge e almeno un figlio fiscalmente a carico o rientra nei nuclei monogenitoriali, ma a condizioni precise. All’orizzonte situazioni paradossali: mentre una famiglia con un figlio e un dipendente potrà accedervi, una partita Iva o una coppia di fatto con tre figli non ne avrà diritto.
Israele bombarda Beirut: obiettivo il quartier generale di Hezbollah
Un pesante bombardamento israeliano ha colpito Beirut, capitale del Libano, provocando una nuova escalation nel conflitto con Hezbollah. Secondo quanto riferito da media libanesi, quattro edifici sarebbero stati distrutti e vi sarebbero numerose vittime civili. L’esercito israeliano ha rilasciato un comunicato, parlando di un «attacco mirato al quartier generale centrale dell’organizzazione terroristica Hezbollah, nascosto sotto alcuni edifici residenziali nel cuore del quartiere Dahieh». Come di consueto, quindi, le forze israeliane riversano la colpa di eventuali vittime civili sulle vittime stesse, “colpevoli” di abitare a ridosso di un obiettivo.
In Amazzonia l’agricoltura industriale ha spazzato via i segni di un’antica civiltà
I segni dell’antica civiltà indigena che abitava parte dell’Amazzonia brasiliana, nell’odierno stato di Acre, sono ormai quasi del tutto scomparsi. Reperti archeologici inestimabili, come antiche strutture in terrapieno e geoglifi tracciati sul terreno, sono stati cancellati dall’espansione dell’industria agro-alimentare. Quest’ultima, approfittando della mancanza di tutela pubblica, ha sostituito questi antichi segni con piantagioni intensive di soia. Una situazione tanto più beffarda se si considera che fu proprio la deforestazione agricola a rivelare, negli anni ’70, questi reperti nascosti dalla foresta. Secondo un’inchiesta pubblicata da Bloomberg, negli ultimi anni almeno nove dei siti archeologici più importanti dell’area, alcuni estesi per oltre sei chilometri quadrati, sono stati distrutti. Questo ha cancellato gran parte delle tracce di una civiltà sviluppatasi circa duemila anni fa e prosperata per un millennio, un periodo di durata simile a quello dell’antica Grecia.
I geoglifi sono la prova di un’antica e sofisticata civiltà che aveva allineato il proprio calendario agricolo con i solstizi d’estate e d’inverno, introducendo anche alberi da frutto e noci. Questo dimostra come l’Amazzonia precolombiana fosse abitata da civiltà complesse. Lo Stato di Acre ospita la maggior concentrazione di questi siti in Brasile, scoperti solo negli anni Settanta, quando la giungla fu disboscata per piantare erba stellata africana e far pascolare il bestiame. All’epoca, la popolazione locale pensava che i misteriosi terrapieni fossero trincee della guerra con la Bolivia (1899-1903). Nessuno immaginava che strutture di tali dimensioni potessero esistere in Amazzonia. L’antica civiltà costruiva reti di geoglifi su pianure tra le valli fluviali. Una ricerca pubblicata lo scorso anno sulla rivista Science stima che nell’Amazzonia sud-occidentale restino ancora da scoprire almeno 10.000 di queste costruzioni, risalenti a un periodo compreso tra 500 e 1.500 anni fa. Oggi, la stessa terra, grazie al suo eccellente drenaggio, è diventata ideale per la coltivazione della soia, che in un decennio è diventato il principale prodotto di esportazione dello Stato di Acre.
I più grandi commercianti di materie prime del mondo acquistano soia dagli agricoltori brasiliani. Nel 2023 le esportazioni di soia dal Brasile hanno raggiunto un valore di 53,2 miliardi di dollari, con una previsione di ulteriore incremento. Il ritmo di crescita è stato il più rapido dal 2017, con un aumento del 32% rispetto all’anno precedente. In termini di volume, lo scorso anno le esportazioni sono salite a 102 milioni di tonnellate, registrando un incremento del 29% rispetto ai dati del 2022. Per l’anno in corso, le stime variano tra 140 e 155 milioni di tonnellate. Tra i più grandi acquirenti c’è, in assoluto, la Cina, con 74 milioni di tonnellate. Al secondo posto troviamo l’Argentina con 4 milioni di tonnellate, seguita dalla Spagna con 2,7 milioni. Dal 2013 al 2023, il tasso medio annuo di crescita in volume verso la Cina è stato dell’8,4%. Il Brasile sta seriamente mettendo in difficoltà la competitività della produzione e delle esportazioni di soia statunitense.
Come riportato da Bloomberg, l’intero settore agro-alimentare del Brasile ha un valore di 523 miliardi di dollari. Agricoltori e allevatori rappresentano il 24% del prodotto interno lordo del Paese, rendendo questo settore un pilastro dello sviluppo economico. Tuttavia, lo Stato brasiliano si sta dimostrando incapace di regolamentare efficacemente la compatibilità tra sviluppo economico, ambiente e patrimonio archeologico. Il risultato è che, sotto i colpi delle impetuose cifre a undici zeri dei profitti generati dalle esportazioni, anche i reperti delle antiche civiltà stanno soccombendo. Di fatto, il Brasile sta cancellando la propria memoria storica, protetta dalla foresta fino a una cinquantina di anni fa, poi scoperta e ora sacrificata sull’altare del mercato.
[di Michele Manfrin]
La Regione Toscana ha ordinato uno studio completo sui rischi della rete 5G
La Regione Toscana ha avviato un’indagine approfondita in merito agli effetti dei campi elettromagnetici prodotti dalle nuove antenne 5G. Il progetto, commissionato all’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpat) e all’Agenzia regionale di Sanità (Ars) della Toscana, prevede uno studio che esaminerà se e in quale misura tali impianti possano rappresentare un rischio per la salute, con particolare riguardo all’incidenza di malattie come i tumori. Questo monitoraggio è stato stabilito dalla giunta regionale lo scorso 16 settembre, che andrà a finanziare con 220 mila euro un’analisi in parte teorica e in parte pratica. L’indagine includerà misurazioni sul campo, nonché l’acquisizione di nuova strumentazione.
La ricerca, richiesta nella scorsa primavera dal Consiglio regionale toscano, includerà studi epidemiologici per analizzare il legame tra l’esposizione ai campi elettromagnetici e malattie come tumori infantili, leucemie e linfomi. In prima battuta, Arpat sarà chiamata a occuparsi dell’analisi normativa e dello sviluppo del 5G nelle sei principali città toscane (Firenze, Prato, Livorno, Pisa, Lucca e Arezzo), sviluppando un modello matematico che consideri popolazione, impianti e caratteristiche delle abitazioni per valutare l’impatto delle onde elettromagnetiche sia all’esterno che all’interno delle case. Successivamente, Ars valuterà l’impatto sui cittadini, suddivisi per territorio, età e condizioni socioeconomiche, con particolare attenzione agli studenti nei grandi centri urbani. «In seguito alla valutazione della IARC del 2013, che aveva definito i campi elettromagnetici a radiofrequenze come possibili cancerogeni per gli effetti su tumori della testa legati all’uso prolungato del cellulare, sono stati condotti numerosi studi che hanno indagato le associazioni tra l’esposizione a lungo termine a campi elettromagnetici e vari problemi di salute, oncologici e non – si legge all’interno della delibera –. Le esposizioni derivanti non dall’uso del telefono cellulare, ma da altri sorgenti, quali le stazioni radiobase (SRB), sono di natura diversa, soprattutto perché i possibili effetti non sono limitati alla testa e, come appare da studi di monitoraggio, sono di minore intensità. Ad oggi gli studi sugli effetti sulla salute dell’esposizione alle stazioni radiobase forniscono risultati contrastanti ed evidenze ancora inconcludenti». Nel mentre, gli operatori della telefonia mobile nazionali avrebbero già discusso questa settimana del “caso Toscana” in occasione di una riunione di Asstel e sarebbero pronti a procedere per vie legali nel caso in cui la Toscana non ritirerà l’atto.
In Italia, la questione delle antenne 5G è da tempo al centro dell’attenzione mediatica. Non sono infatti pochi i comuni che ostacolano la loro creazione, invitando alla prudenza e chiedendo maggiori evidenze scientifiche che rassicurino circa gli effetti sulla salute dei cittadini. A mobilitarsi contro la costruzione di antenne sono anche privati cittadini, come nel caso delle comunità del piccolo borgo di Cassol, in Veneto, o di Siderno, in Calabria, o come nel caso Fleximan di questo marzo, che, sempre in Veneto, ha preso di mira proprio un antenna 5G. Nel frattempo, lo scorso giugno, il Senato ha approvato con voto di fiducia un emendamento al cosiddetto “Decreto Coesione”, destinato a cambiare le sorti del Piano “Italia 5G”. Nello specifico, il provvedimento stabilisce che «la localizzazione degli impianti nelle aree bianche oggetto dell’intervento è disposta anche in deroga ai regolamenti comunali di cui all’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36». Allo Stato centrale, dunque, sarà consentito di passare sopra l’amministrazione locale in merito alla installazione delle antenne per le reti 5G, anche quando i Comuni si oppongono.
[di Stefano Baudino]
Nuove rivolte dei detenuti a Regina Coeli: carcere in fiamme
Questa volta la protesta è scoppiata nell’ottavo padiglione, la notte scorsa: suppellettili bruciati con roghi visibili dall’esterno della struttura che ha subito «ingenti danni», secondo quanto riportato dalle autorità interne. È ancora il carcere romano di Regina Coeli a fare da spia a una situazione carceraria che, tra sovraffollamento e mancanze croniche, è fuori controllo. Regina Coeli è considerato il “carcere dei suicidi”, per la frequenza con la quale i detenuti si tolgono la vita, primo nella classifica dei morti dietro le sbarre: 15 negli ultimi quattro anni. Gli agenti in assetto antisommossa hanno «ristabilito l’ordine», mentre il Garante dei detenuti non ha potuto visitare la struttura.
La Corte UE ha stabilito che le Costituzioni nazionali devono sottostare alle norme europee
Il diritto dell’Unione europea deve sempre prevalere su quello nazionale, anche ove si tratti di pronunce costituzionali. La questione è stata definitivamente chiarita dalla Corte di giustizia dell’UE, che ha stabilito che un giudice nazionale non è tenuto a rispettare una sentenza della propria Corte costituzionale se essa si pone in contrasto con il diritto comunitario. Anche le norme costituzionali di più alto rango, secondo la Corte UE, non possono infatti prevalere sulle direttive europee. La sentenza della Corte di Lussemburgo, che si riferisce a un caso sollevato dai tribunali romeni riguardante un incidente mortale sul lavoro, afferma infatti chiaramente che i giudici nazionali possono ignorare una decisione della loro Corte costituzionale, qualora questa violi il diritto europeo, senza incorrere in sanzioni disciplinari.
Il caso concerneva il decesso di un elettricista in Romania per elettrocuzione nel corso di un intervento, da cui è scaturito un procedimento amministrativo contro il suo datore di lavoro. Contestualmente, è stato promosso un procedimento penale per negligenza e omicidio colposo a carico del suo caposquadra. Nel procedimento penale sono intervenuti anche i familiari del lavoratore. Il giudice amministrativo chiamato a decidere sulla controversia ha concluso che, nel caso di specie, non si trattava di un «infortunio sul lavoro», decidendo di annullare le sanzioni amministrative inflitte al datore di lavoro. In base alla legislazione romena, così come interpretata dalla Corte costituzionale, il giudice penale non poteva riesaminare la questione per riconsiderare se l’incidente potesse configurarsi come un infortunio sul lavoro. In questo contesto, la Corte d’appello di Brașov (Romania) ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in merito alla compatibilità tra tale legge nazionale e l’interpretazione che ne danno la Corte Costituzionale e il diritto dell’Unione in materia di sicurezza dei lavoratori. Così, la Corte di giustizia dell’UE ha dichiarato che ciò contraddice la direttiva europea sulla sicurezza sul lavoro, che garantisce ai familiari il diritto di essere ascoltati. Infatti, come si legge in un comunicato stampa che accompagna la sentenza, «il diritto dell’Unione mira a proteggere la sicurezza dei lavoratori e obbliga il datore di lavoro a garantire un ambiente di lavoro sicuro. Rientra nella competenza nazionale determinare le procedure per far valere la responsabilità del datore di lavoro in caso di inadempimento. Tuttavia, tali procedure non possono ostacolare l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione». A questo proposito, ha sancito ancora la Corte, «i giudici nazionali devono potersi astenere dal seguire una decisione della loro Corte costituzionale qualora tale decisione sia in contrasto con il diritto dell’Unione». In questo caso, infatti, «essi non possono essere oggetto di sanzioni disciplinari».
Esaminando il caso da una prospettiva più ampia, questa decisione rappresenta un passaggio delicato nella giurisprudenza europea. Se da un lato può essere sicuramente considerata come un ulteriore passo verso una maggiore integrazione europea, dall’altro pone interrogativi sulle modalità di bilanciamento tra l’efficacia del diritto comunitario e il rispetto delle tradizioni costituzionali dei singoli Paesi. Da una parte, la prevalenza del diritto UE sulle costituzioni nazionali rafforza infatti l’uniformità del quadro giuridico comunitario, tracciando uno scenario più favorevole alla protezione dei diritti fondamentali europei ed evitando rischi di stalli o conflitti giurisdizionali tra le istituzioni giudiziarie nazionali ed europee. Dall’altra, tuttavia, solleva preoccupazioni sulla capacità degli Stati membri – che hanno tra loro tradizioni giuridiche e costituzionali spesso molto diverse – di mantenere il controllo su questioni centrali del proprio ordinamento costituzionale, aprendo al potenziale rischio che le decisioni europee vengano percepite come una violazione dei principi democratici nazionali.
Guardando al caso italiano, all’Art. 11 della Costituzione si stabilisce che l’Italia consente «limitazioni di sovranità» per aderire ad organizzazioni internazionali come l’Unione Europea, ma non abdica completamente alla sovranità nazionale. Il principio del primato del diritto europeo sulla normativa nazionale è infatti stato accolto dalla Corte Costituzionale italiana, ma con alcune riserve. Nella sentenza “Frontini” (1973) e in quella “Granital” (1984), in cui ha riconosciuto il primato del diritto europeo, la Consulta ha affermato che la sovranità nazionale deve essere salvaguardata, specialmente se il diritto europeo violasse i principi fondamentali della Costituzione.
[di Stefano Baudino]
Medio Oriente: Israele affossa la tregua e incassa altri 8 miliardi di armi dagli USA
Israele ha respinto giovedì la proposta di cessate il fuoco con il partito-milizia libanese Hezbollah, ignorando le richieste dei suoi alleati occidentali, tra cui Stati Uniti e Francia, di accordare una tregua immediata di ventuno giorni. Al contrario, Tel Aviv ha proseguito i bombardamenti nello Stato confinante colpendo la periferia della capitale Beirut, uccidendo due persone e ferendone quindici. L’attacco ha ucciso il capo di una delle unità dell’aeronautica militare di Hezbollah, Mohammad Surur, l’ultimo comandante di alto rango del Partito di Dio a essere stato ucciso dopo l’assassinio del comandante di Hezbollah, Fuad Shukrgli, lo scorso luglio. A suscitare più sconcerto però è l’atteggiamento contraddittorio che gli Stati Uniti stanno tenendo sin dall’inizio del massacro nella Striscia di Gaza: mentre, infatti, sostengono verbalmente la pace e i negoziati per un cessate il fuoco, continuano a inviare miliardi di aiuti militari allo Stato ebraico. Il Ministero della Difesa israeliano, infatti, ha fatto sapere di essersi assicurato un pacchetto di aiuti da 8,7 miliardi di dollari dagli Stati Uniti per sostenere gli sforzi militari in corso e l’ammodernamento dei sistemi di difesa aerea. In una nota del Ministero si legge che “il pacchetto include 3,5 miliardi di dollari per gli acquisti essenziali in tempo di guerra e 5,2 miliardi di dollari destinati ai sistemi di difesa aerea, tra cui Iron Dome, David’s Sling e un sistema laser avanzato”.
Nello specifico, Washington ha aumentato in modo significativo il suo sostegno militare a Israele: inizialmente, infatti, si era impegnata a versare all’alleato sionista 3,3 miliardi di dollari in un accordo decennale per il periodo 2019-2028. Successivamente però, la Casa Bianca ha accordato a Tel Aviv altri 5,2 miliardi di dollari aggiuntivi destinati soprattutto ai sistemi di difesa, in seguito a un accordo concluso al Pentagono. Qui il direttore generale del Ministero della Difesa, il maggiore generale (in carica) Eyal Zamir, inviato dal ministro della Difesa Yoav Gallant , ha tenuto una serie di incontri di alto livello con funzionari del governo statunitense per suggellare l’intesa: “Il direttore generale ha finalizzato i dettagli del pacchetto completo di aiuti con le sue controparti americane, garantendo un accordo multiforme per sostenere le esigenze di difesa di Israele”, ha affermato il ministero della Difesa israeliano, secondo quanto riferito dal media The Jerusalem Post. Questo nuovo pacchetto di aiuti è finalizzato soprattutto a rafforzare le difese israeliane, tra cui i sistemi critici come Iron Dome e David’s Sling, supportando al contempo lo sviluppo di un sistema di difesa laser avanzato e ad alta potenza, attualmente nelle sue fasi finali di sviluppo. Non è un caso che i nuovi investimenti in difesa arrivino proprio in concomitanza agli attacchi degli Houthi dello Yemen: il gruppo armato noto anche come Ansar Allah proprio all’inizio della scorsa settimana era riuscito a penetrare le difese israeliane lanciando un nuovo missile balistico, forse ipersonico, che ha colpito Tel Aviv.
Al contempo, l’esercito dello Stato ebraico starebbe pianificando un’operazione di terra in Libano, preceduta da un’esercitazione militare nel nord di Israele in cui è stata simulata l’invasione. L’aeronautica militare assisterà le truppe e fermerà qualsiasi trasferimento di armi dall’Iran, ha dichiarato giovedì sera il comandante dell’aeronautica militare, maggiore generale Tomer Bar. Lo stesso ha aggiunto che «Ci stiamo preparando spalla a spalla con il Northern Command per una manovra di terra». Non lascia spazio alle interpretazioni la dichiarazione rilasciata su X del ministro degli Esteri Israel Katz, secondo cui «non ci sarà alcun cessate il fuoco nel nord». Esternazione che fa eco a quella del primo ministro Netanyahu, secondo il quale l’esercito continuerà a colpire Hezbollah «con tutta la sua forza e non ci fermeremo finché non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi, primo fra tutti il rientro sicuro degli abitanti del nord nelle loro case». Nonostante tali dichiarazioni, Netanyahu ha affermato oggi che Israele continuerà a discutere le proposte di cessate il fuoco per il Libano nei prossimi giorni.
Da parte sua, il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bou Habib, ha fatto un appello all’ONU per un cessate il fuoco immediato «prima che la situazione sfugga al controllo, con un effetto domino che renderebbe impossibile contenere questa crisi». Anche il presidente francese, Emmanuel Macron è intervenuto dicendo di non credere che il rifiuto di Israele per un cessate il fuoco fosse definitivo, in quanto, in tal caso, Netanyahu «si assumerebbe la responsabilità dell’escalation regionale». Una escalation che sembra sempre più inevitabile e che, nonostante la retorica diplomatica e orientata alla pace degli Stati Uniti, è resa possibile proprio dall’appoggio economico militare incondizionato della Casa Bianca.
[di Giorgia Audiello]
Biodiversità, in Italia è record di nuovi nidi di tartarughe marine
Il 2024 ha segnato un nuovo record per le nidificazioni della tartaruga marina Caretta caretta in Italia. Sono stati infatti registrati 601 nidi lungo le coste della Penisola, il dato più alto mai raggiunto da quando è iniziato il monitoraggio della specie. Questo risultato è il frutto del lavoro svolto da centinaia di volontari e scienziati. L’ultima elaborazione dei dati ha evidenziato un notevole aumento delle ovodeposizioni rispetto alla stagione 2023, quando i nidi erano stati 452. A guidare il boom italiano è stata la Sicilia, seguita da Calabria, Campania, Puglia, Toscana, Lazio, Sardegna, Basilicata, Liguria, Molise, Abruzzo e Marche.
Giappone, Shigeru Ishiba sarà il nuovo premier
Il 67enne Shigeru Ishiba, già ministro della Difesa e dell’Agricoltura, ha trionfato al ballottaggio per la leadership del partito liberal-democratico al potere in Giappone. Dal prossimo primo ottobre si insedierà dunque come nuovo primo ministro del Paese. Ishiba ha battuto la candidata Sanae Takaichi, che ha visto sfumare l’opportunità di essere la prima donna premier del Giappone. Ishiba prenderà il posto dell’ex premier Fumio Kishida – la cui popolarità è in forte calo – che ha rinunciato a candidarsi alla guida del partito. Ishiba dovrà cercare di rilanciare l’economia e gestire le tensioni internazionali con Cina e Corea del Nord.