sabato 23 Novembre 2024
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Il Comune di Ravenna vuole usare il Pnrr per abbattere 70 pini

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Settantuno pini cha da più di mezzo secolo regalano ombra e verde al viale principale di Lido di Savio e che ora il Comune di Ravenna vorrebbe abbattere per fare posto al nuovo parco marittimo, che in realtà di “parco” ha poco visto che si tratta principalmente di rifare l’asfalto togliendo gli alberi. Questo il progetto contro cui si battono i cittadini della piccola frazione balneare romagnola, che si sono riuniti in un comitato per chiedere all’amministrazione di salvare gli alberi. L’abbattimento dei pini rientra nel grande progetto del Parco Marittimo  che coinvolge tutti e 9 i lidi ravennati: «il più grande intervento di riqualificazione con finalità turistiche e ambientali nella storia di Ravenna» per usare le parole del sindaco Michele de Pascale. 17 milioni il costo totale, finanziati in gran parte con i fondi del Pnrr. Si tratta principalmente di riqualificare le strade, creare nuovi parcheggi, nuove piste ciclabili  e nuove vie di accesso alla spiaggia. Insomma, fare spazio a un turismo che si vuole sempre più protagonista dell’economia del territorio. 

Un progetto che ha già riscontrato le critiche delle associazioni ambientaliste, come ad esempio il WWF che a novembre scorso ha presentato ricorso al Tar contro i lavori a Porto Corsini e Marina Romea considerati «ad altissimo impatto ambientale su zone che prevederebbero invece le più ampie tutele, trattandosi di Riserve Naturali dello Stato e Parco del Delta del Po» in particolare «una passerella da quasi 600 metri sull’unica duna in crescita di tutto il litorale ravennate, sottoposto, com’è noto, a subsidenza e fortissima erosione».

Il ricorso è stato bocciato dal Tar, che l’ha dichiarato inammissibile specificando che era stato presentato troppo tardi: 120 giorni dopo la pubblicazione del progetto definitivo.

Da questo punto di vista sembra che il Comune sia stato abile a presentare il piano di lavori ai cittadini a giochi ormai fatti, almeno a Lido di Savio. Basti pensare che il progetto è stato discusso pubblicamente solo il 1 dicembre, mentre le delibera della giunta c’era già stata il 22 novembre.

«Ce ne siamo accorti a febbraio quando hanno cominciato a tagliare i primi pini – spiega Giulia Gamberini, portavoce del gruppo Salviamo i pini di Lido di Savio – nessuno ci aveva detto niente»

A quel punto gli abitanti di Lido di Savio si sono uniti in un comitato e hanno cominciato a raccogliere le firme per una petizione: «Ne abbiamo raccolte più di 2mila – continua Gamberini – non solo dei residenti di Lido ma anche dei turisti che vengono qui ogni anno e che hanno subito capito l’importanza della nostra iniziativa». Sono state organizzate anche diverse manifestazioni in estate, di cui una di queste il 25 agosto, anniversario della creazione dello stemma della città di Ravenna, che guarda caso ha proprio un grande pino al centro.

La raccolta delle firme è stata presentata in Comune, anche se per il momento l’amministrazione sembra intenzionata a seguire il piano stabilito. È principalmente una questione di sicurezza: «Quei pini sono instabili, pericolosi e creano un continuo danno alla pavimentazione – spiega l’assessora all’urbanistica Federica del Conte – le radici degli alberi non hanno attecchito in profondità e sono rimaste in superficie. Per questo i pini sono molto fragili e rischiano di cadere, soprattutto se si effettuano dei lavori. Basti pensare che in un caso, appena abbiamo tolto il primo strato di asfalto, uno degli alberi è subito caduto a terra».

In un tratto di viale Romagna i pini sono già stati abbattuti, al loro posto sono stati installati dei frassini, più facili da tenere sotto controllo. La differenza però salta all’occhio: da una parte ci sono dei maestosi arbusti alti diversi metri, dall’altra piccoli alberelli appena piantanti che impiegheranno anni per raggiungere una simile grandezza. 

«Cresceranno» assicurano dal Comune. Intanto però i cittadini proseguono la loro battaglia contro il progetto, il cui costo è di più di 2 milioni, finanziati in gran parte con il Pnrr: «Alla base dei fondi europei c’è la riqualifica – attacca Giulia Gamberini – «e noi non vediamo alcuna riqualifica nell’abbattere alberi così belli».

I lavori di abbattimento, da cronoprogramma, potrebbero riprendere a ottobre, dopo la pausa estiva. Il 16 ottobre tuttavia la petizione approderà in commissione consiliare. Il Comune si è detto disponibile a valutare le richieste dei cittadini per sostenendo con fermezza la bontà delle  proprie scelte: «Abbiamo 7mila ettari di boschi e pinete e siamo una delle città italiane maggiormente sopra la media per quanto riguarda il livello di verde pro-capite – conclude l’assessora Del Conte – ci teniamo».

[di Fulvio Zappatore]

Florida, uragano Helene tocca terra: almeno 3 morti

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Come reso noto dal National hurricane center, l’uragano Helene ha toccato terra come uragano di categoria 4 in Florida, per poi perdere potenza ed essere declassato dalla categoria 4 alla 2 sulla scala da 1 a 5. La tempesta ha però già provocato la morte di almeno 3 persone. Oltre un milione di case sono rimaste senza luce a causa del passaggio della tempesta. I venti hanno ora una velocità di circa 160-170 km orari, mentre la tempesta è a 510 km a sud-ovest di Tampa.

I coralli piantati da fecondazione in vitro si stanno mostrando molto resistenti

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I coralli riprodotti tramite fecondazione in vitro e impiantati nelle barriere coralline, tra gli ecosistemi più vulnerabili al riscaldamento globale, hanno dimostrato una sorprendente resistenza alle ondate di calore dello scorso anno. In vari esperimenti condotti negli Stati Uniti, in Messico e nei Caraibi, i giovani coralli trapiantati sono riusciti a sopravvivere nonostante le temperature record degli oceani, offrendo nuove speranze per la conservazione di questi preziosi habitat marini.
I risultati sono stati eccezionali: circa il 90% dei coralli allevati in laboratorio ha mantenuto la pr...

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Falsi contenuti giornalistici pagati dalle aziende: La Repubblica di nuovo nella bufera

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In foto: il direttore de La Repubblica Murizio Molinari

L’ennesimo caso di commistione tra pubblicità e informazione ha scatenato una nuova protesta all’interno del quotidiano La Repubblica, portando il Comitato di redazione a mobilitarsi. Il sindacato, che manifesta da tempo insofferenza nei confronti della direzione di Maurizio Molinari – già sfiduciato lo scorso aprile – ha infatti indetto uno sciopero redazionale per i giorni del 25 e del 26 settembre, lamentando in una nota «le gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati avvenuti in occasione dell’evento Italian Tech Week», organizzato da Exor e attualmente in corso a Torino. Il Comitato di redazione ha rivelato che il 25 settembre è uscito insieme al quotidiano un inserto di oltre 100 pagine con una serie di articoli apparentemente “giornalistici” ma, in realtà, pubblicati dietro compenso delle aziende. Una nuova dimostrazione di come, su molti giornali mainstream, la linea di confine tra informazione e pubblicità sia evaporata.

La protesta dei giornalisti di Repubblica ha bloccato la copertura di “Italian Tech Week”, evento di Exor (prodotto tramite la sua società Vento), proprietaria di Gedi e, quindi, dello stesso quotidiano. Una settimana prima dell’inizio della manifestazione, sette giornalisti dell’area Economia hanno ricevuto una comunicazione da una dirigente di Exor, con la descrizione del programma della tre giorni e dei pezzi per la pianificazione dell’inserto in uscita il 25 settembre con Repubblica. Come ricostruito dal portale Professione Reporter, nella lettera si evidenziava che di fatto, a “comandare” dovessero essere proprio gli sponsor. Il Comitato di redazione ha richiesto un incontro con il direttore Maurizio Molinari, che in prima battuta ha parlato dei fatti descritti dai rappresentanti dei giornalisti come di «cose gravissime». Successivamente, ha rivelato che la lettera era stata autorizzata dal vicedirettore con delega all’Economia, Walter Galbiati. Quest’ultimo ha presentato le dimissioni, che però Molinari ha deciso di respingere: scelta apertamente contestata dal Cdr. L’Azienda ha poi reso noto di aver aperto un provvedimento disciplinare nei confronti di Galbiati, il quale, nel frattempo si sarebbe “autosospeso”.

Il livello di tensione ha subito però un’impennata, sfociando nella scelta di scioperare, quando il Cdr ha scoperto un file in cui gli articoli dell’inserto da 112 pagine venivano allineati ai relativi contributi finanziari da parte delle aziende coinvolte. All’interno dell’inserto, gli articoli risultavano apparentemente giornalistici, inducendo così in errore i lettori, che non venivano avvertiti del fatto che in realtà si trattasse di contenuti brandizzati. Che, peraltro, come dimostrerebbe lo stesso file, sarebbero stati visionati, corretti e aggiustati dagli uomini Exor. Ricordando come, ormai «da tempo», si denuncino «i tentativi di piegare colleghe e colleghi a pratiche lontane da una corretta deontologia e dall’osservanza del contratto nazionale», nel comunicato il Cdr ha tirato in ballo direttamente l’ad di Exor: «Ci rivolgiamo anche all’editore – e non padrone – di Repubblica John Elkann affinché abbia profondo rispetto della nostra dignità di professionisti e del valore del nostro giornale, testata con una propria storia e identità che non può essere calpestata. La democrazia che ogni giorno difendiamo sulle nostre pagine passa anche dal reciproco rispetto dei ruoli sul posto di lavoro». Come se non bastasse, con un significativo colpo di mano e a sciopero in corso, la proprietà ha deciso di trasmettere comunque in streaming sul sito di Repubblica l’evento “Italian Tech” il 25 settembre.

Non è certo il primo caso in cui la direzione de La Repubblica provoca le proteste dei giornalisti. Lo scorso aprile, il Cdr del gruppo GEDI aveva approvato a larga maggioranza una mozione di sfiducia al direttore Maurizio Molinari, proclamando uno sciopero di 24 ore. L’episodio era stato scatenato dalla decisione del direttore di mandare al macero 100 mila copie già pronte dell’inserto economico Affari&Finanza, in uscita lunedì 8 aprile, a causa dell’articolo di apertura, riguardante i legami economici tra Italia e Francia – tra cui il ruolo del governo italiano con Stellantis, presieduta dalla famiglia Elkann – che portava la firma di Giovanni Pons. Il pezzo era stato cancellato e sostituito da un articolo sullo stesso argomento, redatto proprio dal vicedirettore Walter Galbiati, con titolo, catenaccio e parte del testo differenti. Ciononostante, Molinari è rimasto al suo posto, imponendo una linea editoriale talmente propagandistica da censurare interviste – caso esemplare quella al cantante Ghali, ritenuto troppo filo-palestinese –, e da spingere i “disallineati” ad andarsene, come accaduto al giornalista e collaboratore di lungo corso Raffaele Oriani. Quest’ultimo ha denunciato come il massacro israeliano su Gaza sia in corso anche grazie «all’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica».

[di Stefano Baudino]

USA, 8 miliardi in armi all’Ucraina

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Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina del valore di quasi 8 miliardi di dollari. Questo aiuto comprende l’invio di armamenti, munizioni e sistemi di armamento a lungo raggio con una gittata di circa cento chilometri. Restano esclusi dal pacchetto i missili a lungo raggio da tempo richiesti da Kiev, così come il permesso per l’uso delle armi statunitensi contro la Russia.

Dopo 50 anni di ricerche è stato scoperto un nuovo gruppo sanguigno umano

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Un team di ricercatori ha scoperto un nuovo gruppo sanguigno, denominato MAL, il quale risolve un mistero che durava da oltre 50 anni e permette di individuare le persone prive di un determinato antigene che, se sottoposte alle trasfusioni tradizionali, potrebbero sviluppare gravi reazioni in caso di sangue incompatibile: è quanto emerge da un nuovo studio condotto dall’NHS Blood and Transplant dell’Università di Bristol, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Blood. Nonostante l’antigene AnWj fosse già noto dagli anni ‘70, attraverso il sequenziamento dell’esoma i ricercatori hanno indagato il suo legame con la proteina Mal e con i relativi geni codificanti, scoprendo che, nonostante sia estremamente raro, esiste un vero e proprio nuovo gruppo sanguigno che deve essere rilevato grazie a nuovi test di genotipizzazione.

La ricerca ha indagato l’antigene AnWj, il quale è stato scoperto nel 1972 e fino ad ora non era stato studiato approfonditamente. Tuttavia, analizzando il sangue di cinque pazienti geneticamente AnWj negativi e un campione fornito nel 2015 dalla donna che portò alla scoperta di 50 anni fa, gli scienziati hanno scoperto che è possibile ereditare geneticamente da entrambi i genitori – le cosiddette delezioni omozigoti – la mutazione che causa l’assenza dell’antigene sui globuli rossi. Si tratta di una scoperta tutt’altro che irrilevante visto che, come spiegato dai ricercatori, oltre il 99,9% delle persone è AnWj-positivo e che prima si pensava che l’assenza dell’antigene fosse collegata alla sofferenza da disturbi ematologici o derivante da alcuni tipi di cancro.

Attraverso il sequenziamento dell’intero esoma, ovvero il sequenziamento genetico di tutto il DNA che codifica le proteine, i ricercatori hanno condotto esperimenti che hanno mostrato la comparsa di una reattività specifica con cellule in cui era stato introdotto il gene MAL normale ma non il gene mutante, il che dimostra che la proteina Mal è responsabile del legame degli anticorpi AnWj. «Il background genetico di AnWj è stato un mistero per oltre 50 anni, e uno che ho cercato personalmente di risolvere per quasi 20 anni della mia carriera. Rappresenta un’enorme conquista e il culmine di un lungo lavoro di squadra, per stabilire finalmente questo nuovo sistema di gruppi sanguigni ed essere in grado di offrire la migliore assistenza a pazienti rari, ma importanti. Il lavoro è stato difficile perché i casi genetici sono molto rari. Non avremmo raggiunto questo risultato senza il sequenziamento dell’esoma, poiché il gene che abbiamo identificato non era un candidato ovvio e si sa poco della proteina Mal nei globuli rossi. Dimostrare le nostre scoperte è stato impegnativo e apprezziamo l’aiuto di tutti i nostri collaboratori e dei pazienti, senza i quali non saremmo arrivati a questo punto», ha affermato Louise Tilley, ricercatrice dell’NHS e coautrice dello studio. Nicole Thornton, anch’essa ricercatrice dell’NHS e coautrice, ha poi aggiunto: «C’è così tanto lavoro da fare per dimostrare che un gene codifica effettivamente un antigene del gruppo sanguigno, ma è ciò che ci appassiona, fare queste scoperte a beneficio dei pazienti rari in tutto il mondo. Ora i test di genotipizzazione possono essere progettati per identificare pazienti e donatori geneticamente AnWj-negativi. Tali test possono essere aggiunti alle piattaforme di genotipizzazione esistenti».

[di Roberto Demaio]

ESA, inaugurato “l’angolo di Luna” sulla Terra

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In Europa da ora c’è anche un piccolo angolo di Luna, attrezzato con suolo grigio, rocce aguzze e piccoli crateri: è la nuova struttura realizzata ed inaugurata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dall’Agenzia aerospaziale tedesca (DLR). L’impianto è progettato per ricreare la superficie lunare e, come spiegato dall’ESA, «verrà utilizzato per preparare astronauti, scienziati, ingegneri ed esperti di missione a vivere e lavorare sulla Luna». La struttura, chiamata LUNA, contribuirà ad ottimizzare i preparativi per le attività sulla superficie lunare attraverso la ricerca sulle tecnologie e l’innovazione per l’esplorazione spaziale», ha aggiunto Anke Kaysser-Pyzalla, Presidente del Consiglio esecutivo del DLR.

I primi sette gruppi bancari italiani hanno raddoppiato gli utili in due anni

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Nel primo semestre del 2023, le sette principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Credem e Popolare di Sondrio) hanno registrato profitti raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi e Ricerche FISAC CGIL. L’esponenziale incremento dei guadagni è stato trainato dagli alti tassi di interesse, che hanno contribuito a un aumento dei ricavi del 74,6%. Sono cresciuti, anche se di molto meno (+2,1% rispetto al 2022), i ricavi da commissioni, così come le attività assicurative (+10% rispetto al 2022). Complessivamente, l’utile netto è aumentato del 30% in due anni. Anche per questo motivo, si continua a discutere della tassa sugli extra-profitti, su cui però i tre partiti di maggioranza continuano a esprimere una netta chiusura: «Abbiamo sempre detto no alle tasse imposte dall’alto», ha affermato recentemente il Ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che propone che il governo si limiti a chiedere alle banche un improbabile aiuto volontario.

“Lascia o Raddoppia? Come i gruppi bancari hanno raddoppiato gli utili in meno di due anni”. È questo l’autoesplicativo titolo del più recente rapporto di FISAC CGIL, in cui il sindacato mette a confronto gli ultimi risultati semestrali dei primi 7 gruppi bancari del Paese con quelli che si registravano nello stesso periodo del 2022. Secondo lo studio, pubblicato venerdì 20 settembre, la principale voce di guadagno a registrare un incremento sarebbe stata quella relativa ai ricavi sui tassi di interesse, con una crescita del 74,6% (pari a oltre 8 miliardi di euro). In generale, sono aumentati quasi tutti i ricavi operativi: +2,1% anche per i ricavi sulle commissioni (oltre mezzo milione), +10,4% per le attività assicurative (100 milioni in più), e +32,3% per gli altri ricavi operativi (+150 milioni); dimezzato, invece, il risultato della compravendita delle attività finanziarie detenute (circa 1,2 miliardi in meno); «già a questo livello del conto economico i proventi netti sono in aumento di più del 30% sul 2022». L’utile netto, invece è cresciuto del 93,1% in due anni, portando oltre 6 miliardi in più nelle casse degli istituti finanziari.

Secondo la segretaria generale di FISAC CGIL, Susy Esposito, questi «numeri da record» devono concretizzarsi in «un investimento forte sul fronte dell’occupazione», e dell’innovazione tecnologica. Se infatti l’Italia rimane fanalino di coda dell’UE per livelli di occupazione, reddito reale, e innovazione, le banche del Paese, a fronte di simili aumenti sui ricavi, continuano ad avere spese contenute: negli ultimi due anni, la componente dei costi ha visto un incremento pari al 3,5% per quanto riguarda il personale (circa 300 milioni), e dell’1,8% per gli altri costi operativi (100 milioni), che comprendono, appunto,  «investimenti in innovazione e tecnologia». Per gli stessi motivi, il segretario generale della UIL, PierPaolo Bombardieri, insiste invece sull’introduzione di una tassa sugli extra-profitti: «Da tempo chiediamo l’extra tassa sugli extraprofitti, perché negli ultimi anni ci sono stati settori produttivi che hanno avuto grandi profitti e non in conseguenza della loro normale attività, ma per eventi eccezionali». Il governo, dal canto suo, continua a bocciare l’idea di una reale tassa sull’eccedenza di guadagno degli istituti finanziari. In una intervista condivisa dallo stesso Ministero degli Esteri, Tajani rigetta l’idea rapidamente, rimanendo aperto però alla possibilità che gli istituti di credito forniscano «un aiuto, un contributo alle casse dello Stato», certo, solo «se poi questo stesso aiuto si può concordare con le banche»; insomma, su loro gentile concessione.

[di Dario Lucisano]

Germania: sindacati contro i licenziamenti annunciati da Volkswagen

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A fronte delle crescenti tensioni in Volkswagen, i sindacati tedeschi ed i dirigenti del colosso automobilistico hanno avviato i negoziati riguardanti il tema delle retribuzioni, che potrebbero influire sull’entità dei licenziamenti e sulle eventuali chiusure di stabilimenti in Germania. Il sindacato IG Metall ha promesso di opporsi a qualsiasi decisione di questo tipo, e l’impresa sarà tutt’altro che semplice visto che dovrà negoziare anche nuovi contratti di lavoro per 130.000 dipendenti dopo che l’azienda ha concluso gli accordi che dagli anni ’90 garantivano la sicurezza occupazionale. «L’inverno sta arrivando e, se necessario, riscalderemo davvero il tavolo del confronto», hanno commentato i sindacalisti.

Come la Lega Calcio ha imposto la censura totale su quanto avviene negli stadi

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Da fenomeno popolare a fonte di profitto integrata nel sistema capitalistico. Uno show redditizio pensato per essere fruito passivamente dal divano, che niente deve disturbare. Da tempo il calcio moderno lavora per sottrazione: meno attaccamento alla maglia, meno passione, meno legami tra club e territorio. Uno spettacolo asettico da acquistare in abbonamento mensile. A rovinare la sceneggiatura dello show scritta dai padroni del giocattolo, fino a ieri, si presentava talvolta l’ostinazione di chi continua ad andare sugli spalti senza accettare di limitarsi al ruolo riservatogli nella messinscena (quello di comparsa pagante pensata per dare colore alle riprese televisive), usando i gradoni delle curve per lanciare messaggi, che siano di contestazione verso la società o di opposizione sociale. Ma ora la Lega Serie A – associazione che riunisce i venti club iscritti alla massima competizione calcistica italiana – ha reso impossibile che lo spettatore da divano possa venire a conoscenza di questi “virus del sistema”. Dalla protesta dei tifosi romanisti, agli scontri sugli spalti, ai tifosi della nazionale italiana che girano le spalle all’inno israeliano: niente deve essere trasmesso al di fuori dello spettacolo. Una censura totale di quanto avviene negli stadi e nei suoi paraggi. Con buona pace del duplice diritto a informare e a essere informati, sanciti da una Costituzione che va sempre più di moda calpestare.

Curva Sud vuota per protesta durante Roma-Udinese, 22 settembre 2024.

«Chi ama la Roma entra mezz’ora dopo» recita uno striscione esposto fuori all’Olimpico dai tifosi della Curva Sud. È soltanto uno dei tanti tasselli che ha dato forma alla protesta messa in piedi dopo l’esonero di Daniele De Rossi, bandiera giallorossa con 616 presenze all’attivo da calciatore. L’anno scorso era subentrato allo Special One Josè Mourinho nella sua prima avventura da allenatore. Il ritorno a casa ha comportato entusiasmo tra i tifosi e buoni risultati sul campo. Arriva dunque il rinnovo fino al 2027 da dieci milioni di euro netti, a cui fa seguito l’acquisto di nuovi giocatori congeniali al gioco di De Rossi – nonostante i paletti economici sbandierati fino a pochi mesi prima durante la gestione Mourinho. Come un fulmine a ciel sereno il 18 settembre avviene lo strappo totale della dirigenza statunitense dei Friedkin che, dopo appena quattro giornate di campionato (senza vittorie), decide di esonerare l’allenatore. In un clima surreale si arriva dunque al match con l’Udinese. Per la prima mezz’ora la Curva Sud resta deserta, in compagnia di uno striscione rivolto ai proprietari: «Non rispettate i nostri valori e le nostre bandiere… Da oggi torniamo alle vecchie maniere». Di tutto questo né su Sky né su Dazn – detentrici dei diritti tv della Serie A – c’è traccia. Non si spiegano né i motivi della curva vuota né del suo improvviso riempimento: la protesta dei tifosi è silenziata, si evita quindi di amplificare la loro voce scagliata contro uno dei padroni del calcio moderno, che oltre alla Roma possiede il Cannes e l’Everton, in uno dei tanti casi di multiproprietà. 

Riavvolgiamo il nastro di qualche giorno. È il 15 settembre e alla Domus Arena il Cagliari sfida il Napoli, per un match che da anni si conferma infuocato sugli spalti a causa di una rivalità trentennale. I circa quattrocento supporters partenopei sbarcano sull’isola con uno striscione eloquente: «A caccia di pecore». La tensione sale con l’avvicinarsi del fischio di inizio e raggiunge il suo culmine a metà del primo tempo, quando a seguito del lancio di fumogeni e petardi tra il settore ospiti e la Curva Sud l’arbitro La Penna interrompe la partita per ben sei minuti. Ci si aspetterebbe la cronaca di quanto sta succedendo in campo e invece la regia opta per lunghi primi piani sui calciatori, mentre in sottofondo si sentono le esplosioni di diverse bombe carta lanciate dalla Curva Nord verso il terreno di gioco. Una situazione surreale, che lascia in stallo lo spettatore in barba al diritto all’informazione. La sospensione verrà completamente glissata nella “maxi sintesi” (sic!) che la Lega Serie A caricherà qualche ora dopo sul proprio canale YouTube: in 21 minuti di video non si accenna minimamente all’interruzione di gioco né si commentano le successive esplosioni che si sentono distintamente. 

I fatti di Roma e Cagliari sono soltanto gli ultimi di una lunga serie di silenziamenti e tagli operati da tempo da Sky e Dazn, che sottostanno alle direttive della Lega Serie A. All’interno degli stadi sussiste una sorta di monopolio istituzionale per le immagini, gestito appunto dall’associazione informale dei venti maggiori club italiani e scalfito dalle riprese amatoriali dei presenti, che tra X e Telegram provano a colmare i coni d’ombra volutamente creati per non turbare il normale andamento delle partite, in linea con il disegno capitalistico dell’eliminazione della sofferenza e del dolore. Ai giornalisti seduti in tribuna stampa non è permesso scattare foto o registrare video; dall’anno scorso la mixed zone, l’area dello stadio dedicata alle interviste post-partita, è preclusa ai giornalisti che non lavorano né per Dazn né per Sky.

Con l’attuale gestione monopolistica della Lega Serie A si punta insomma a fare dello stadio un luogo neutro, un nonluogo – per usare un termine coniato dall’antropologo Marc Augé – in cui non accade nient’altro al di fuori del rotolamento di un pallone. Nessuna presa di posizione, nessuno scontro, nessuna invasione di campo. Tutto silente, pervaso da un filtro che finisce per sminuire lo spettro di emozioni legate al calcio e il suo racconto.

[di Salvatore Toscano]