domenica 9 Marzo 2025
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Frammentata, ingiusta e in peggioramento: Lancet analizza la sanità italiana

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La rivista internazionale di medicina The Lancet, nel suo ultimo numero, ha tracciato un quadro impietoso del sistema sanitario italiano, evidenziandone la grande frammentarietà e inefficienza. Un editoriale firmato da Pooja Jha, direttrice di Lancet Regional Health-Europe, ha infatti denunciato l’assenza di un sistema unificato per la gestione e la condivisione dei dati sanitari, inquadrando tale lacuna come uno dei maggiori ostacoli alla modernizzazione e all’equità del Servizio Sanitario Nazionale. Nell’articolo si attesta che il mancato coordinamento tra le Regioni costa più di 3 miliardi ogni anno, evidenziando inoltre come il fascicolo sanitario elettronico, potenziale strumento di unificazione, resti inapplicato. Secondo la rivista, poi, la riforma dell’autonomia differenziata rischia di aggravare le disparità tra Regioni del Centro-Nord, che garantiscono livelli essenziali di assistenza, e quelle del Sud, già in grande difficoltà.

The Lancet sottolinea che l’Italia sconta la forte autonomia delle sue 20 regioni, che operano in modo indipendente, adottando tecnologie e politiche differenti. Ha così origine una frammentazione che ostacola la condivisione di referti medici, obbligando i pazienti a ripetere esami quando si spostano tra strutture o regioni, con un costo stimato di 3,3 miliardi di euro annui. La rivista evidenzia come l’emergenza Covid abbia reso evidenti queste falle: molte strutture sanitarie, specialmente nel Sud, si affidavano a sistemi obsoleti o addirittura alla raccolta manuale dei dati, compromettendo una risposta coordinata alla pandemia. Esempi emblematici sono i tempi biblici per l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico in Calabria o l’assenza di registri tumori aggiornati. Nel complesso, solo il 42% delle strutture italiane dispone di un sistema informatico integrato per tutti i dipartimenti. Il divario tra Nord e Sud è un altro tema centrale nell’analisi della rivista. Le sette regioni attualmente in piano di rientro sanitario – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia – si trovano tutte al Centro-Sud, segno di una sanità in difficoltà cronica. Questo quadro porta molti pazienti meridionali a migrare verso le strutture del Nord, fenomeno noto come “viaggi della speranza”. Tuttavia, l’assenza di strumenti per trasferire i dati sanitari rende ancora più complessa la gestione di questi pazienti, che spesso vengono presi in carico senza una storia clinica completa, con inevitabili ritardi nei trattamenti e duplicazioni di esami.

La rivista considera inoltre l’autonomia differenziata un potenziale detonatore per ulteriori disuguaglianze. La riforma, se approvata, decentralizzerebbe infatti ulteriormente la governance sanitaria, aggravando la frammentazione e le disparità tra le regioni. «Invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzata dei dati, questa legge rischia di approfondire le disuguaglianze, ritardare i trattamenti e ostacolare i progressi», avverte l’articolo. L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è considerata essenziale per creare una rete unificata di dati sanitari, capace di supportare l’interoperabilità, la telemedicina e la digitalizzazione del SSN. La rivista mette in luce che le inefficienze del sistema sanitario del nostro Paese si ripercuotono anche sulla ricerca scientifica. La mancanza di una piattaforma centralizzata costringe i ricercatori a richiedere autorizzazioni ai comitati etici e di privacy di ogni singola istituzione, con un processo lungo e spesso arbitrario. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, una tendenza che mette a rischio il ruolo dell’Italia nella ricerca medica internazionale.

Recentemente, a lanciare l’allarme sul pessimo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale era stato un report della Ragioneria generale dello Stato, in cui è stato reso noto che, nel 2023, la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 43 miliardi di euro, con un incremento del 7% rispetto al 2022 e del 24% rispetto al 2019 Parallelamente, la spesa sanitaria pubblica è cresciuta solo del 2% rispetto al 2022 e del 13,6% rispetto al 2019, raggiungendo i 132,8 miliardi di euro. La prova plastica di come, nonostante le rassicurazioni dei tanti governi che si sono succeduti negli ultimi anni, gli investimenti nella sanità pubblica non siano affatto sufficienti a garantire il mantenimento degli standard di assistenza, costringendo sempre più spesso i cittadini ad aprire il portafogli per ottenere visite e cure.

[di Stefano Baudino]

Onu, aumentano le morti ad Haiti, “oltre mille in più rispetto al 2023”

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Oltre 5.600 persone sono state uccise ad Haiti nel 2024, ovvero 1.000 in più rispetto all’anno precedente. A rivelarlo è l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr), il quale sottolinea l’impatto determinante delle gang criminali, principale motore delle “violazioni dei diritti umani e della corruzione”. Sono stati documentati inoltre 315 linciaggi di membri di organizzazioni criminali e persone associate e 281 casi di presunte esecuzioni sommarie. «Queste cifre da sole non possono spiegare gli orrori assoluti che vengono perpetrati ad Haiti, ma mostrano la violenza implacabile a cui la gente è sottoposta», ha sottolineato l’Alto Commissario Volker Türk nel comunicato.

Francia, è morto a 96 anni Jean-Marie Le Pen

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È morto all’età di 96 anni il politico francese Jean-Marie Le Pen, ex leader e fondatore della forza politica di estrema destra Front National, da cui era stato espulso nel 2015. Era il padre di Marine Le Pen, che ora guida il partito. La notizia è stata riferita dalla famiglia del politico ad Afp. Le Pen è l’uomo che ha rivoluzionato l’estrema destra francese, portandola a livelli di consenso mai raggiunti prima. Nel 2002 arrivò al ballottaggio per le elezioni presidenziali, dove fu battuto da da Jacques Chirac. Complessivamente è stato candidato cinque volte per l’Eliseo, ricoprendo vari incarichi a livello nazionale e in seno all’Europarlamento.

Kedumim: palestinesi uccidono tre coloni israeliani, da Tel Aviv s’invoca la “soluzione Gaza”

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Tre israeliani sono stati uccisi e altri otto feriti in un attacco a colpi di arma da fuoco nei pressi dell’insediamento illegale di Kedumim, in Cisgiordania. Secondo i media israeliani, almeno due uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco contro automobili e un autobus di coloni, per poi fuggire dalla scena. Le vittime – due donne e un investigatore di polizia – risiedevano tutte nell’insediamento illegale di Ariel, sempre in Cisgiordania. In seguito all’attacco, il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, esponente del Partito Sionista Religioso, ha invocato una pulizia etnica in Cisgiordania: «Al-Funduk, Nablus e Jenin devono assomigliare a Jabalia», ha dichiarato, riferendosi all’area di Gaza settentrionale devastata dalle forze israeliane e priva di aiuti umanitari da settimane.

«Il nemico deve sapere che non ci sarà sicurezza per lui finché il nostro popolo non sarà al sicuro», ha dichiarato Abu Obeida, portavoce delle Brigate Qassam (il braccio armato del partito palestinese Hamas), in un comunicato. Subito dopo l’attacco, il nord della Cisgiordania è stato sottoposto a blocchi stradali e chiusure ai checkpoint da parte dei soldati israeliani. Nablus è rimasta isolata per ore, mentre diversi raid militari hanno colpito città della regione.

Secondo l’agenzia WAFA, si sono verificati numerosi attacchi da parte di coloni israeliani contro proprietà palestinesi. Lunedì notte, coloni hanno incendiato un veicolo nel villaggio di Hajja e attaccato abitazioni a Fara’ata. Altri coloni hanno preso di mira Turmus Ayya, incendiando un capannone agricolo, mentre a Tuqu’, nel sud-est di Gerusalemme, alcuni gruppi hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi in movimento. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di catturare i responsabili. «Troveremo gli assassini e li consegneremo alla giustizia, insieme a chiunque li abbia aiutati», «nessuno sarà risparmiato», ha aggiunto il premier sul cui capo pende un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra.

Le colonie israeliane sono insediamenti civili costruiti da Israele nei territori palestinesi occupati, principalmente in Cisgiordania e Gerusalemme Est, ma anche sulle alture del Golan. Attualmente, si stima che ci siano oltre 200 insediamenti ufficiali, più decine di avamposti illegali persino secondo la legge israeliana, dove vivono circa 700.000 coloni israeliani. Dal 1967, la costruzione di colonie è aumentata costantemente, con un’accelerazione negli ultimi anni. Solo nel 2023, il governo israeliano ha approvato migliaia di nuove unità abitative, consolidando la presenza israeliana in aree strategiche della Cisgiordania.

Questi insediamenti sono considerati illegali secondo il diritto internazionale, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce il trasferimento di popolazioni civili nei territori occupati. Numerose risoluzioni ONU, tra cui la Risoluzione 2334 del 2016, hanno condannato le colonie, chiedendone il completo smantellamento. Tuttavia, Israele continua ad espandere questi insediamenti, il cui scopo politico è anche quello di rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese attraverso la disintegrazione della continuità territoriale del territorio.

[di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]

USA, tempesta invernale: 5 morti e traffico aereo in tilt

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Sono almeno 5 le vittime della prima grande tempesta invernale che ha colpito gli Stati Uniti centrali e orientali. Secondo le autorità, i morti sono stati causati da incidenti legati alle terribili condizioni nel Missouri e nel Kansas. Abbondanti nevicate hanno colpito Delaware, Maryland, Virginia e il distretto di Columbia. Si prevedono per oggi temperature in picchiata fino a -18 gradi, con forti raffiche di vento. Sono stati cancellati circa 2.300 voli e altre migliaia hanno subìto ritardi. Quasi 200mila persone, la maggior parte delle quali in Virginia, sono al momento senza elettricità. Aumentano gli incidenti stradali e sempre più scuole decidono di chiudere.

I BRICS si allargano: entra l’Indonesia, quarto stato più popoloso al mondo

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A pochi giorni dall’acquisizione dello stato di partner, il ministero degli Esteri indonesiano ha annunciato l’entrata a pieno titolo nel blocco BRICS, il raggruppamento di quelle che una volta venivano definite economie emergenti, che sfida l’egemonia statunitense. Con i suoi oltre 280 milioni di abitanti e il suo PIL di circa 1.500 miliardi, l’Indonesia è il quarto Paese più popoloso al mondo e la maggiore economia del sud-est asiatico. Il titolo di membro BRICS permette al Paese di partecipare agli incontri e ai processi decisionali del gruppo e garantisce a Giacarta il diritto di voto. Oltre all’Indonesia, fanno parte del gruppo Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran.

La notizia che l’Indonesia entrerà a far parte del blocco BRICS è stata data dalla presidenza brasiliana di turno, iniziata con l’avvio del nuovo anno. A inizio anno, la Russia, Paese presidente di turno uscente, aveva annunciato l’acquisizione del neo-istituito stato di partner BRICS per Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Thailandia, Uganda, Uzbekistan e per la stessa Indonesia. Lo statuto di partner è stato introdotto nell’ultimo vertice del gruppo, tenutosi a Kazan, in Russia, e prevede la collaborazione su progetti specifici, accordi economici o cooperazione su temi di interesse comune, e la possibilità di essere invitati ai summit, senza tuttavia potere decisionale e di voto. Con l’entrata a pieno titolo nell’alleanza, l’Indonesia potrà partecipare a tutti gli incontri e alle decisioni del gruppo, acquisendo il diritto di voto. I progetti di scambio, inoltre, non saranno più limitati a singoli accordi economici, ma saranno ampliati a una cooperazione su scala più larga.

«Essendo un Paese con un’economia in crescita e diversificata, l’Indonesia è impegnata a contribuire attivamente all’agenda dei BRICS, incoraggiando la resilienza economica, la cooperazione tecnologica, lo sviluppo sostenibile e il superamento delle sfide globali come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la salute pubblica», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Giacarta. «I BRICS rappresentano un’importante piattaforma per l’Indonesia per rafforzare la cooperazione Sud-Sud, garantendo che le voci e le aspirazioni dei Paesi del Sud del mondo siano ascoltate e rappresentate nel processo decisionale globale», continua la nota. L’adesione dell’Indonesia conferma la linea di diversificazione delle alleanze che fa da fondamento al blocco BRICS, e sembra rilanciare la volontà di promuovere una maggiore rappresentanza dei Paesi definiti “in via di sviluppo” espressa dal gruppo. L’Indonesia è infatti il primo Paese del sud-est asiatico a entrare come membro a pieno titolo dell’alleanza, area geografica di cui rappresenta la maggiore potenza economica. Il Paese è inoltre stabilmente nelle prime posizioni della classifica mondiale per PIL.

[di Dario Lucisano]

Alghero è senz’acqua potabile da sei mesi: scoppia la protesta dei cittadini

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Da sei mesi, i 450 abitanti della borgata Maristella di Alghero vivono senza accesso ad acqua potabile. L’ordinanza sindacale che vieta l’uso dell’acqua per scopi alimentari risale a giugno 2024 e ha aggravato un problema già ricorrente. Al contempo, il servizio autobotte di Abbanoa, il Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato nell’area, non è sufficiente a risolvere il problema, lasciando spesso i cittadini senza acqua, soprattutto durante le festività, e penalizzando anziani e persone con problemi di salute. Il comitato di borgata, guidato da Tonina Desogos, ha dialogato con l’amministrazione comunale e i tecnici, convocando un’assemblea generale per sollecitare risposte concrete e risolvere un disagio sempre più insostenibile.

La borgata di Maristella, frazione di Alghero, nella provincia sarda di Sassari, è senza acqua da oltre sei mesi, ma l’erogazione del servizio, tra interruzioni e precedenti ordinanze, prosegue da ben più tempo. Visti i continui disagi e la totale assenza di un servizio indispensabile, il Comitato di Borgata ha convocato un’assemblea generale per l’11 gennaio, invitando i residenti, gli amministratori comunali, i responsabili di Abbanoa, l’ente che gestisce il servizio idrico, e la stampa. L’ultimo stop al consumo di acqua per fini alimentari, infatti, risale al 24 giugno 2024, e sanciva «il divieto di utilizzo dell’acqua di rete quale bevanda e per la preparazione degli alimenti. Le medesime acque possono essere utilizzate per tutti gli usi igienici, compresa l’igiene personale». L’ordinanza sindacale del 24 giugno comunicava il risultato delle analisi della ASL sui prelievi di acqua di Abbanoa e constatava la «non conformità a quanto previsto dal D.Lgs. 18/23 per il parametro chimico Nitriti in ragione di 0,59 mg/l presso il punto di prelievo in Loc». Da allora, la piccola frazione del comune di Alghero si è vista privata senza sconti del servizio di erogazione di acqua potabile.

Per ovviare al problema, Abbanoa ha messo a disposizione una cisterna, situata nella zona del campo sportivo, per rifornire i cittadini di acqua potabile. I disagi, però, non si sono mai risolti. Il servizio dell’autobotte è infatti disponibile solo in determinate fasce orarie, spesso coincidenti con gli orari di lavoro degli abitanti, viene talvolta interrotto, e manca di tutelare i cittadini più in difficoltà, come anziani e persone con problemi di salute, che, denuncia il Comitato di Borgata, «per ovvi motivi non possono raggiungere il posto dove staziona l’autobotte né tanto meno caricarsi di peso eccessivo». A settembre, i cittadini avevano addirittura segnalato la scarsa frequenza con cui veniva cambiata l’acqua della cisterna e notato l’assenza di operatori a custodire l’autobotte, circostanza che avrebbe permesso agli animali selvatici di bere dalla stessa acqua destinata ai residenti.

[di Dario Lucisano]

Tibet, terremoto magnitudo 6.8: almeno 53 morti

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Stamattina, nella regione autonoma del Tibet, in Cina, si è abbattuto un violento terremoto di magnitudo 6.8, che ha causato la morte di almeno 53 persone e il ferimento di altre 62. A dare la notizia è stata l’agenzia di stampa cinese Xinhua, la quale scrive che i danni maggiori si sono registrati nella contea di Dingri. Qui, la stazione per la ricerca atmosferica e ambientale dell’Accademia cinese delle scienze ha subito problemi di corrente, le autorità hanno chiuso i siti turistici, e sono iniziate le operazioni di ricerca e soccorso. La scossa si è avvertita anche in Nepal.

La campagna per il boicottaggio di Israele sta ottenendo risultati importanti

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La campagna Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro Israele per i diritti del popolo palestinese ha pubblicato un bilancio delle azioni di boicottaggio svoltesi nel secondo semestre del 2024. Secondo il movimento BDS, l'impatto delle azioni di boicottaggio nella seconda parte dell'anno appena terminato ha registrato una crescita senza precedenti. La pressione politica sui principali attori internazionali si è dimostrata più efficace del solito e ormai la percezione di Israele «come stato di apartheid» risulta ampiamente condivisa. Il movimento ha contribuito a diffondere la consa...

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Gaza, ONU accusa Israele di aver sparato su suo convoglio

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L’ONU ha accusato l’esercito israeliano di avere sparato contro un suo convoglio nella Striscia di Gaza. L’attacco si sarebbe verificato ieri e ad essere colpito sarebbe stato un convoglio umanitario della Wfp (World Food Programme) che transitava vicino al checkpoint di Wadi Gaza. Il convoglio di tre veicoli “chiaramente” identificati “è stato preso di mira nonostante avesse ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie dalle autorità israeliane”, ha osservato il Wfp in una nota, evidenziando che le otto persone a bordo non sono rimaste ferite durante questa “terrificante” esperienza. L’ONU ha denunciato che almeno 16 proiettili hanno colpito i veicoli.