Come da accordi, Hamas ha riconsegnato ad Israele tramite la Croce Rossa i corpi di 4 ostaggi deceduti e, d’altra parte, sono stati liberati 641 prigionieri palestinesi. Lo riportano Wafa e le agenzie di stampa israeliane, sottolineando che lo scambio è avvenuto nella nottata di oggi, giovedì 27 febbraio e che rappresenta l’ultimo previsto per l’attuale prima fase di cessate il fuoco, entrata in vigore il 19 gennaio scorso. Secondo il Ministero della Salute israeliano, verranno effettuati esami completi sulle salme per determinare le cause di morte degli ultimi quattro corpi restituiti. D’altra parte, Hamas ha dichiarato di essere pronta ad avviare i colloqui sulla seconda fase di cessate il fuoco.
Migranti, 112 sbarcano a Livorno
Oggi, mercoledì 26 febbraio, 112 migranti salvati dalla nave Ocean Viking della ONG Sos Méditerranée sono sbarcati a Livorno. I migranti sono stati soccorsi al largo delle coste libiche in due distinte operazioni di salvataggio portate avanti lo scorso fine settimana. In un primo momento, nella notte tra sabato e domenica, l’imbarcazione ha avviato un’operazione per soccorrere 25 migranti, tra cui tre donne incinte, a bordo di un’imbarcazione in vetroresina. Domenica mattina, invece, altri 87 migranti sono stati salvati su una barca di legno in collaborazione con la polizia italiana. Secondo l’ONG, la maggior parte delle persone coinvolte proviene da Bangladesh, Egitto, Somalia e Siria.
In tutta la pianura padana si stanno registrando valori di polveri sottili allarmanti
L’aria della Pianura Padana è tornata a essere irrespirabile. Da giorni, i livelli di polveri sottili hanno superato ogni limite di sicurezza, con concentrazioni di PM10 e PM2.5 che mettono seriamente a rischio la salute pubblica. A certificarlo i dati provenienti dalle centraline in tutte le principali città. A Milano, ad esempio, le centraline Arpa hanno registrato una concentrazione media di Pm10 di 82,12 microgrammi per metro cubo (µg/m³), ben oltre i limiti considerati tollerabili per la salute umana che sono di 50 µg/m³. In Europa il solo inquinamento da polveri sottili e ultrasottili è considerato causa di circa 400 mila decessi ogni anno.
«La Lombardia continua a respirare un’aria semplicemente tossica: solo la pioggia o il vento previsti potranno portare sollievo alla nostra salute respiratoria e cardiovascolare», ha scritto Legambiente in una nota stampa, sottolineando che «nessuna misura è stata ancora una volta attivata in Lombardia, a differenza di quanto fatto invece in Piemonte ed Emilia-Romagna, né per la limitazione del traffico motorizzato, né per la sospensione temporanea degli spandimenti di liquami zootecnici che, in questo periodo dell’anno, in cui gli agricoltori svuotano le loro cisterne di liquami accumulati durante l’inverno per ‘ingrassare’ i campi, costituiscono la prima fonte di emissione di ammoniaca e di molecole organiche volatili responsabili della formazione di particolato sospeso». L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indica come soglia di sicurezza per il particolato ultrafine un valore di 5 microgrammi per metro cubo, ma in molte località si sono registrati picchi fino a 100 microgrammi per metro cubo. Un dato venti volte superiore a quello raccomandato, che certifica l’emergenza ambientale in atto.
Per particolato fine (PM 2,5) si intendono le particelle inquinanti solide e liquide sospese in aria con un diametro compreso tra 0,1 e 100 micrometri. Sono quelle di dimensioni più piccole causate dalla combustione, ovvero in particolar modo dal traffico automobilistico di auto a combustibili fossili, dal riscaldamento (in particolare quello a legna), dagli impianti per la produzione di energia e da molti altri processi industriali. È considerato più pericoloso per la salute umana rispetto al PM10, insieme di particelle derivanti da combustioni, processi industriali e attività agricole che possono essere inalate e raggiungere le vie respiratorie superiori.
I dati confermano dunque ancora una volta la fragilità del sistema ambientale padano, un’area in cui la conformazione geografica, la densità abitativa e l’attività economica rendono la qualità dell’aria un problema cronico. «Il potenziale inquinante delle attività che si svolgono nella nostra regione resta troppo alto, insieme alle misure di mitigazione occorre anche ripensare il sistema agroalimentare della Lombardia, puntando ad un equilibrio territoriale che riduca il carico di attività inquinanti, a partire dagli allevamenti intensivi, in rapporto al territorio e alla sua fragilità ambientale», ha dichiarato Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. D’altronde, le statistiche fenomeno dell’inquinamento nella Pianura Padana sono impietose ormai da anni: le rilevazioni sulla qualità dell’aria progressivamente diramate dall’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) la indicano come la regione più inquinata dell’Europa occidentale. Nel 2020 e nel 2022, l’Italia è stata già condannata dalla Corte di Giustizia UE per aver sforato ripetutamente, dal 2008 al 2017, i limiti giornalieri sia di particolato fine che di biossido d’azoto.
L’anno scorso, oltre trecentomila cittadini lombardi hanno presentato manifestazioni di interesse per una class action contro i livelli di smog della Pianura Padana e della città di Milano, chiedendo il risarcimento di danni fisici e morali. Considerando i dati scientifici che evidenziano la correlazione tra inquinamento e morti premature, la causa mirava in particolare a smuovere le istituzioni affinché intervenissero in maniera sistematica sulla questione. Un obiettivo che, come da ultimo dimostra anche la cronaca di questi giorni, non è stato raggiunto.
[di Stefano Baudino]
Romania: arrestato il candidato anti-Nato Calin Georgescu, era il favorito alle elezioni
La polizia romena ha fermato e portato presso la procura generale Calin Georgescu, candidato indipendente alle elezioni presidenziali. Il fermo è avvenuto oggi, mercoledì 26 febbraio, mentre Georgescu si trovava in auto per andare a presentare la sua nuova candidatura alla presidenza. Dopo essere stato prelevato, Georgescu è stato interrogato e ora si trova sotto controllo giudiziario, con il divieto di lasciare il Paese. Un comunicato stampa della polizia romena riporta che il politico, assieme ad altre 26 persone, è al centro di un procedimento penale «che indaga sui reati di iniziativa o creazione di un’organizzazione a carattere fascista, razzista o xenofobo» e di sovvertimento dell’ordine costituzionale. Lo scorso novembre, Georgescu aveva vinto il primo turno delle elezioni per la presidenza del Paese. A inizio dicembre, tuttavia, il risultato è stato annullato dalla Corte Costituzionale per presunte interferenze da parte della Russia, accusata di avere favorito il candidato indipendente.
Georgescu è stato fermato attorno alle 13 di oggi ed è rimasto sotto interrogatorio in procura per almeno quattro ore. In mattinata, attorno alle 6, la polizia ha effettuato un totale di 47 perquisizioni domiciliari nelle contee di Sibiu, Mureș, Ilfov, Timiș e Cluj nei confronti di 27 persone e quattro sedi appartenenti a persone giuridiche. Di preciso, Georgescu è indagato per istigazione ad azioni contro l’ordine costituzionale, diffusione di notizie false e rilascio di false dichiarazioni, e creazione e promozione di un’organizzazione di stampo fascista, razzista, antisemita e xenofobo, per un totale di sei capi d’accusa. Ora il candidato indipendente si trova sotto osservazione giudiziaria e non può lasciare il Paese.
Dopo la notizia del fermo, una parte della popolazione si è sollevata a favore del candidato, e i parlamentari vicini a Georgescu hanno chiesto spiegazioni sull’accaduto. A guidare queste richieste è George Simion, leader del partito Alleanza per l’Unità dei Romeni, che ha annunciato che lui e i suoi parlamentari si recheranno direttamente alla sede della procura per fare luce sulla vicenda. In suo sostegno è arrivato anche un post del patron di X (ex Twitter) Elon Musk, che si era già schierato in suo favore in occasione della tornata elettorale dello scorso anno. Georgescu è un candidato indipendente da molti considerato di estrema destra e filo-russo. Lo scorso 24 novembre, in occasione del primo turno elettorale, si era aggiudicato il primo posto e l’accesso ai ballottaggi, conquistando il 22,94% dei voti. L’8 dicembre si sarebbe dovuto tenere il secondo turno, ma poco prima, il 6 dicembre, la Corte Costituzionale ha annullato i risultati accusando la Russia di avere interferito favorendo Georgescu.
[di Dario Lucisano]
Maxi blitz della Polizia contro baby gang: 73 arresti
Un’operazione su scala nazionale della Polizia ha portato alla denuncia di 142 giovani, di cui 29 minorenni, e all’arresto di 73 persone per reati legati a droga, armi e violenze. Lo rendono noto le forze dell’ordine alla stampa, aggiungendo che l’operazione, la quale ha coinvolto oltre 1000 agenti della Polizia di Stato in più di 40 province, ha previsto controlli mirati in aree di spaccio e della movida, con oltre 13.000 giovani identificati. Nei blitz sono stati sequestrati armi, droga e refurtiva per migliaia di euro. A Milano è stato smantellato un hub di droga, mentre a Bologna e Piacenza le forze dell’ordine hanno arrestato giovani coinvolti in aggressioni e rapine violente. L’indagine ha rivelato anche centinaia di profili social inneggianti all’odio e alla violenza.
Israele bombarda nuovamente la Siria e cerca di stringere la presa sul sud del Paese
Israele è tornata ad attaccare la Siria con i suoi aerei da guerra, effettuando diversi raid su obiettivi non meglio specificati. I bombardamenti hanno colpito sia le vicinanze della capitale Damasco sia il sud del Paese. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha confermato gli attacchi e ha avvertito che il suo Paese «non permetterà alla Siria meridionale di diventare come il Libano meridionale», ossia un territorio controllato da forze ribelli filo-palestinesi come Hezbollah. Inoltre, i funzionari israeliani hanno avvertito l’esercito siriano di non spostarsi a sud della capitale, verso cui le forze di terra israeliane si stanno espandendo. Intanto, in Siria cresce la protesta: negli ultimi due giorni, in diverse città del Paese, si sono svolte manifestazioni contro l’occupazione israeliana.
Israele vuole la smilitarizzazione del sud della Siria e sostiene i Drusi nella creazione di una regione autonoma o di uno Stato indipendente, ponendo così il sud della Siria sotto il suo controllo, seppur indirettamente. Martedì sera, i jet dell’aviazione israeliana hanno condotto attacchi nella città di Kiswah, a 20 chilometri a sud di Damasco, nonché nelle province di Quneitra e Daraa. Nel frattempo, le forze di terra israeliane sono penetrate nel villaggio di Al-Bakkar, situato al confine tra le due province colpite dagli attacchi aerei, come riportato dai media locali siriani. Il ministro Katz ha dichiarato che «qualsiasi tentativo da parte delle forze del regime siriano e delle organizzazioni terroristiche del Paese di stabilirsi nella zona di sicurezza nel sud della Siria sarà accolto con il fuoco», come riportato dal Times of Israel. Gli attacchi arrivano lo stesso giorno in cui si è conclusa la conferenza del dialogo nazionale siriano in cui, tra le altre cose, è stata condannata la presenza delle forze militari israeliane all’interno del territorio siriano.
Si tratta di un attacco diretto contro il nuovo governo siriano guidato da Ahmad Al Shaara (noto fino allo scorso anno con il vecchio nome di battaglia jihadista di Abu Mohammad Al Julani), che fino ad ora aveva sempre mandato messaggi rassicuranti ad Israele, con alcuni ministri che si erano spinti fino ad ipotizzare forme di cooperazione con lo Stato sionista. Una mossa apparentemente illogica quella israeliana, tanto più che la nuova Siria è avversaria dell’asse sciita rappresentato dall’Iran e da Hezbollah e del cui appoggio gode Hamas nella Striscia di Gaza. Tuttavia, la razionalità della mossa israeliana è data dal fatto che i vertici israeliani considerano strategicamente più importante sfruttare il vuoto di potere ancora esistente in parte della Siria per aumentare le zone di territorio occupate oltre l’altura del Golan (già occupata da Israele dal lontano 1967), ampliando la “zona cuscinetto” in difesa dei propri confini. Una mossa contraria ad ogni principio del diritto internazionale, del quale Tel Aviv continua a farsi beffe godendo dell’immunità legale garantita dagli Stati Uniti.
L’altra strategia con cui Israele cerca di influenzare il nuovo corso siriano è il supporto alla minoranza drusa. «Non tollereremo alcuna minaccia per la comunità drusa nel sud della Siria», ha dichiarato domenica scorsa Netanyahu. Anche Katz ha affermato che Israele rafforzerà i legami con le popolazioni amiche della regione, in particolare con i drusi. Nei piani di Tel Aviv, infatti, i drusi possono rappresentare la chiave per consolidare il controllo sul sud della Siria, seppur in modo indiretto. Un gruppo di militanti drusi a Suwayda, nel sud della Siria, ha annunciato la formazione del Consiglio Militare di Suwayda, una coalizione di gruppi armati locali con l’obiettivo di proteggere la regione e mantenere la sicurezza. Proprio come i curdi, anch’essi sostenuti da Israele in funzione anti-turca, i drusi puntano alla creazione di uno regione autonoma e autogovernata all’interno dello Stato siriano.
Come riportato dal Jerusalem Post, la comunità drusa rappresenterebbe uno scudo per Israele. Il quotidiano riferisce inoltre che l’esercito israeliano (IDF) sta offrendo posti di lavoro ai membri della comunità drusa, rilasciando loro permessi per entrare in Israele. I drusi sono una comunità religiosa presente nel sud della Siria e sulle Alture del Golan, occupate da Israele, e costituiscono una piccolissima minoranza tra i cittadini arabi di Israele. La promessa israeliana ai drusi siriani sarebbe dunque quella di favorire una riconciliazione e una riunificazione con i loro connazionali che già vivono all’interno di Israele.
Un’ulteriore conferma del fatto che Israele non abbia alcuna intenzione di ritirarsi dalla Siria e consideri l’occupazione in atto nient’altro che un nuovo passo verso la realizzazione della Grande Israele, da sempre parte dei progetti sionisti.
[di Michele Manfrin]
Meta denunciata: “Favorisce lavoratori stranieri per pagarli meno”
Un giudice federale ha stabilito che Meta dovrà affrontare una denuncia per presunta discriminazione nelle assunzioni. Lo riportano le agenzie di stampa internazionali, spiegando che secondo l’accusa la società madre di Facebook e Instagram favorirebbe i lavoratori stranieri che può pagare meno rispetto ai cittadini americani. Tre professionisti qualificati hanno denunciato di essere stati esclusi dai colloqui tra il 2020 e il 2024. Meta ha respinto le accuse, ma il giudice Laurel Beeler ha ribattuto citando alcuni dati: il 15% della sua forza lavoro USA avrebbe un visto H-1B, contro lo 0,5% della media nazionale.
Trump vuole riaprire l’oleodotto Keyston, simbolo della lotta indigena
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, riemerge il progetto dell’oleodotto Keystone XL. Il nuovo presidente USA ha infatti rilanciato sul social network Truth il progetto per la realizzazione dell’opera, ideata nel 2008 per trasportare centinaia di migliaia di barili di petrolio dalle sabbie bituminose del Canada alle raffinerie statunitensi. Fedele alla sua linea di deregolamentazione ambientale e di sostegno all’industria fossile, Trump ha così manifestato l’intenzione di smantellare una delle prime decisioni prese da Joe Biden nel 2021, che aveva bloccato la costruzione dell’oleodotto per motivi ambientali. Se il piano dovesse concretizzarsi, inoltre, si tratterebbe di un attacco diretto alle comunità native, che da decenni conducono una lotta contro il mega progetto che attraverserebbe numerosi territori indigeni.
«La società che costruisce l’oleodotto Keystone XL, brutalmente espulsa dall’incompetente amministrazione Biden, dovrebbe tornare in America e portare a termine il progetto — ADESSO!», ha scritto Trump nel suo post su Truth, rilanciando una battaglia che ha segnato le ultime tre amministrazioni americane. L’oleodotto Keystone XL, un’infrastruttura da 1.950 chilometri, avrebbe dovuto trasportare fino a 830.000 barili di petrolio al giorno. Proposto per la prima volta nel 2008, il progetto era stato approvato dal Canada e sostenuto dall’industria petrolifera, ma ha incontrato l’opposizione di ambientalisti e comunità indigene, preoccupate per l’impatto ecologico e per il rischio di sversamenti. Nel 2015, Barack Obama ne aveva bloccato la costruzione, decisione poi ribaltata da Trump nel 2017. Infine, Biden ha nuovamente interrotto il progetto nel suo primo giorno alla Casa Bianca, con un ordine esecutivo volto a contrastare il cambiamento climatico.
Il ritorno di Trump alla presidenza, come hanno dimostrato le nomine e i primi ordini esecutivi, ha segnato una netta inversione di rotta su tutte le politiche energetiche adottate dalla precedente amministrazione. Non si tratta solo del Keystone XL: il Tycoon ha sin da subito chiarito volere eliminare i sussidi ai veicoli elettrici, alleggerire le normative sulle emissioni, porre fine ai finanziamenti per le energie rinnovabili e, soprattutto, ritirare nuovamente gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Il messaggio di Trump è chiaro: gli USA devono puntare sulle loro riserve petrolifere per tornare a essere una «nazione ricca». Trump punta infatti a sfruttare le risorse fossili americane per ridurre la dipendenza energetica da altri paesi, sostenendo che ciò garantirà prezzi più bassi per i cittadini e maggiore sicurezza nazionale. A tale scopo, il Presidente potrebbe ricorrere al Defense Production Act, una legge della Guerra Fredda che permette al governo di dare priorità alla produzione di beni ritenuti essenziali. L’impatto ambientale di questa strategia, tuttavia, preoccupa ambientalisti e scienziati. Il Keystone XL, oltre a facilitare l’estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose – una delle fonti fossili più inquinanti – potrebbe aumentare il rischio di fuoriuscite di greggio, compromettendo ecosistemi fragili.
Nel giugno del 2021, gli ambientalisti avevano cantato vittoria dopo che TC Energy – società che era stata chiamata a occuparsi della costruzione dell’oleodotto – aveva dichiarato che non sarebbe andata più avanti con il progetto, osteggiato da un decennio di resistenza da parte di comunità indigene, proprietari terrieri, agricoltori, allevatori e attivisti per il clima. L’opposizione al progetto è già pronta a mobilitarsi, come dimostrano le manifestazioni che negli anni scorsi hanno coinvolto Washington, Ottawa e le aree interessate dall’oleodotto. Oltre alle ovvie implicazioni economiche e geopolitiche, la mossa di Trump potrebbe comportare anche conseguenze dal punto di vista legale, con i giudici federali che potrebbero essere chiamati a stabilire se il ritorno del progetto è compatibile con le leggi ambientali.
[di Stefano Baudino]
Sudan, precipita aereo militare: 46 morti e 10 feriti
Nella serata di ieri un aereo militare si è schiantato in Sudan nei pressi di Khartoum, subito dopo il decollo. In tutto si contano 46 morti e 10 feriti. L’aereo Antonov è precipitato ieri sera vicino alla base aerea di Wadi Seidna, uno dei più importanti centri militari dell’esercito a Omdurman, a nord-ovest della capitale. Secondo quanto riportato dai media, tra le vittime figurerebbe anche il generale Bahr Ahmed, alto ufficiale dell’esercito. Secondo le fonti militari, le cause dello schianto sarebbero di natura tecnica. L’esercito è in guerra con le forze paramilitari di supporto rapido (RSF) dalla primavera del 2023.