domenica 9 Marzo 2025
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La “svolta” sull’omicidio di Piersanti Mattarella e le ombre ancora nascoste

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L'indagine della Procura di Palermo sull'omicidio di Piersanti Mattarella, assassinato il 6 gennaio 1980 quando ricopriva la carica di Presidente della Regione Sicilia, sembra essere arrivata a una svolta. Stando alle notizie trapelate dal Palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano, infatti, a quarantacinque anni esatti dal delitto gli inquirenti ne avrebbero identificato gli autori materiali in due sicari di Cosa Nostra, Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. Fino ad ora, per l'omicidio sono stati condannati soltanto i mandanti della “Cupola” mafiosa, mentre sono stati assolti gli ex NAR Val...

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Servizi segreti, Elisabetta Belloni lascia la guida del DIS

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Dopo una serie di anticipazioni stampa, sono state ufficialmente confermate le dimissioni di Elisabetta Belloni dalla carica di direttore del DIS, Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Belloni vi era stata designata nel 2021 dal governo guidato da Mario Draghi. Il DIS coordina i nostri due Servizi di intelligence, AISE e AISI. Il suo mandato sarebbe scaduto a maggio prossimo. Belloni ha dichiarato che le dimissioni saranno valide dal 15 gennaio, aggiungendo che si tratta di una decisione personale e che non vi sarebbe alle porte nessun altro incarico. Voci la vedevano a Bruxelles con la presidente della Commissione UE von der Leyen.

“Noi non archiviamo”: la battaglia per la verità della famiglia di Mario Paciolla

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Il 14 gennaio si terrà presso il Tribunale di Roma l’udienza per l’archiviazione del caso riguardante la morte di Mario Paciolla. Un’archiviazione per suicidio, la seconda, che sa di fuga, nei confronti di una vicenda complessa che merita invece verità e giustizia. Mario Paciolla era un cooperante ONU, che lavorava in Colombia per garantire l’applicazione degli accordi di pace tra il governo e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Il 15 luglio del 2020 il corpo di Mario venne ritrovato senza vita presso la sua abitazione, a San Vicente del Caguán. Da allora una serie di depistaggi, silenzi e inerzie ha montato un caso complesso, che coinvolge un Paese straniero e la massima organizzazione internazionale. Di fronte a ciò la famiglia Paciolla non si è arresa e continua a chiedere giustizia per il proprio figlio – parente a tutti coloro che credono nella verità e nella libertà – oltre a una scorta mediatica in vista del 14 gennaio, quando si deciderà sulla seconda istanza di archiviazione.

Mario era un amante della vita. Così Anna e Pino sono soliti ricordare il proprio figlio nei tanti incontri organizzati tra scuole, università, festival e luoghi di attivismo per raccontare la sua storia, il suo impegno, le sue passioni. Momenti di respiro in una narrazione frenetica, che tende a comprimere lo spazio e il tempo per l’empatia a favore della fagocitosi delle notizie. Dietro ai nomi letti o ascoltati, spesso di sfuggita, ci sono volti e storie. Quella di Mario Paciolla ha come protagonista un ragazzo che dopo essersi laureato segue un corso delle Brigate internazionali di Pace (PBI), un’organizzazione nonviolenta che offre protezione ai difensori dei diritti umani nelle zone a rischio del pianeta, e inizia a interessarsi alla Colombia, trasferendosi a Bogotà l’anno seguente, nel 2016. È un periodo particolarmente delicato per il Paese latinoamericano, coinvolto in una pluridecennale guerra civile. A novembre viene raggiunto un accordo di pace tra il governo colombiano e le FARC, la principale organizzazione guerrigliera del Paese. Sforzi diplomatici si registrano anche con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), che non portano però a un cessate il fuoco (ancora oggi la pace tra le parti non è stata raggiunta e il tira e molla continua).

Dopo due anni di volontariato con le PBI, Mario Paciolla inizia nel 2018 la collaborazione con le Nazioni Unite come osservatore degli accordi di pace raggiunti tra il governo e le FARC. Un lavoro delicato, difficile, che tra le altre cose lo mette a conoscenza di un evento drammatico avvenuto nell’agosto 2019, quando un bombardamento dell’esercito colombiano colpisce l’accampamento di Rogelio Bolivar Cordova, a capo di una cellula di dissidenti delle FARC che non aveva accettato il disarmo stabilito dagli accordi di pace.

Mario indaga, rende onore alla sua professione di giornalista e collabora a un dossier scottante: nell’attacco sono morti sette minorenni. Si alza un polverone intorno al governo colombiano, che aveva tenuto nascosto il dettaglio, fino a causare le dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero. La scoperta, secondo le indagini condotte dal giornale El Espectador e dalla giornalista Claudia Julieta Duque, sarebbe collegata alla morte di Mario Paciolla: un omicidio e non un suicidio, come invece sostenuto dalla giustizia colombiana e dalla Procura di Roma, in accordo con le Nazioni Unite che sul caso hanno imposto il massimo silenzio tra i dipendenti, soprattutto fra coloro che conoscevano o hanno lavorato con Mario. Persone che dopo aver ricevuto l’immunità diplomatica dall’ONU sono diventate irreperibili, sparite anche dai social network.

Nel settembre 2022, in Colombia, la morte di Mario Paciolla viene archiviata per suicidio. Un mese dopo la Procura di Roma giunge allo stesso esito, che il giudice di Roma però respinge, sostenendo che l’ipotesi del suicidio non è logica perché presta il fianco a molti sospetti. Vengono così disposte nuove indagini, ma i pubblici ministeri non cambiano idea e a giugno 2024 avanzano la seconda richiesta di archiviazione. Il prossimo appuntamento giudiziario è fissato per il 14 gennaio, alle ore 9, a Piazzale Clodio. È ancora attiva la raccolta di informazioni utili alle indagini presso la piattaforma GlobaLeaks.

I punti che non tornano in questa vicenda sono tanti. Lo ricordano in ogni occasione utile i genitori di Mario, che si sono avvalsi nel tempo di perizie tecniche a sostegno della loro battaglia. Nelle conclusioni dell’autopsia effettuata sul corpo del trentatreenne, il medico legale Vittorio Fineschi scrive: “Vale il conto, tuttavia, di precisare che talune evidenze – non trovando spiegazione alternativa nell’ambito dell’ipotesi suicidaria – sostengono in maniera prevalente l’ipotesi dello strangolamento con successiva sospensione del corpo”. Riguardo ai tagli sui polsi afferma: “le evidenze riscontrate nell’ambito della vitalità non consentono di escludere in termini di ragionevole certezza la possibilità che le lesioni siano venute a prodursi in limite vitae o addirittura post-mortem”.

Sproporzionata ai tagli è poi la quantità di sangue trovata nella stanza di Mario, oggetto, come tutta l’abitazione, di una celere pulizia che ha alterato il luogo del ritrovamento e fatto sparire le agende del trentatreenne napoletano. A coordinare l’operazione è Christian Leonardo Thompson, il responsabile della sicurezza della missione ONU, denunciato per depistaggio dalla famiglia Paciolla insieme a un altro collega e a quattro poliziotti colombiani.

I punti che non tornano si aggiungono alla paura avvertita da Mario negli ultimi giorni di vita. Ai genitori racconta di problemi seri, in una telefonata risalente all’11 luglio dice che “gliela faranno pagare”. La versione è confermata dall’ex compagna, Ilaria Izzo, secondo cui Mario Paciolla si sentiva tradito e spiato dallo staff dell’ONU. Il giovane cooperante compra così un biglietto per tornare in Italia. Vista la pandemia di Covid-19, deve avvertire le Nazioni Unite per ottenere i documenti necessari a viaggiare su un volo umanitario. La valigia è pronta, alla mamma l’avviso di fargli trovare le freselle al suo arrivo. Passano poche ore e la vita di Mario si spezza.

Alla luce di quanto emerso l’archiviazione per suicidio assume la forma di una scorciatoia, che vorrebbe dire negare a una famiglia già segnata dal dolore il diritto a ottenere verità e giustizia. Due scopi che rischiano di essere sacrificati sull’altare delle relazioni amichevoli, quindi economiche, tra Paesi, e del pieno disinteresse verso l’operato della massima organizzazione internazionale.

[di Salvatore Toscano]

Gli effetti nocivi dei fuochi di capodanno su ambiente, uomini e animali

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Anche quest’anno, a Capodanno, le città italiane hanno festeggiato con i consueti fuochi d’artificio e botti, nonostante fossero espressamente vietati in molte località. Il bilancio della notte è pesante: 309 feriti, di cui 69 ricoverati e 34 in condizioni gravi con prognosi superiore a 40 giorni. Preoccupa anche l’impatto ambientale: nell’area di Napoli, l’Arpa ha registrato livelli di smog superiori ai limiti, attribuibili in parte ai fuochi artificiali e aggravati da condizioni meteorologiche favorevoli alla stagnazione degli inquinanti. Situazione simile a Milano, dove le concentrazioni di polveri sottili hanno superato di tre volte i limiti consentiti. Nella notte di San Silvestro, migliaia di animali, per lo più selvatici, muoiono ogni anno a causa dei botti e dei fuochi, mentre l’ecosistema ne subisce i pesanti effetti a lungo termine. Tutti indicatori del fatto che, nonostante le campagne di sensibilizzazione e le misure preventive adottate, l’uso improprio o illegale di fuochi d’artificio continui a rappresentare un serio rischio per l’uomo e l’ambiente.

Dal 2012, secondo i dati della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), l’uso di fuochi d’artificio a Capodanno in Italia ha causato 7 morti e 3.803 feriti gravi. Anche se quest’anno non sono stati registrati decessi causati dai fuochi d’artificio o dai botti, durante i festeggiamenti il numero di feriti per l’incauto utilizzo di prodotti pirotecnici ha raggiunto il livello più alto dell’ultimo decennio, con un totale di 309 persone coinvolte, di cui 90 minorenni. Tra questi, 69 hanno richiesto il ricovero ospedaliero. Si è dunque constatato un aumento rispetto all’anno precedente, quando i feriti erano stati 274, con 64 minorenni coinvolti e 49 ricoveri ospedalieri. Inoltre, durante la notte di Capodanno 2025, i Vigili del Fuoco hanno effettuato 882 interventi per incendi legati ai festeggiamenti, un incremento di 179 interventi rispetto all’anno precedente. I dati relativi agli arresti, alle denunce e ai sequestri, riferiti al mese di dicembre del 2024 risultano in aumento rispetto al 2023 sia per quanto concerne le persone denunciate (da 50 a 88) che sul fronte degli arresti (da 304 a 386).

I fuochi d’artificio causano anche gravi danni all’ambiente, principalmente a causa delle emissioni di particolato fine, come PM10 e PM2.5. Quando i metalli pesanti contenuti nei fuochi vengono bruciati, essi vengono dispersi nell’aria sotto forma di particelle fini che, una volta inalate, possono penetrare profondamente nel sistema respiratorio umano. I metalli pesanti rilasciati possono avere effetti tossici, sia acuti che cronici, a seconda dell’esposizione. L’inalazione di particolato fine può aggravare condizioni respiratorie preesistenti, ad esempio asma e bronchite, nonché causare irritazioni agli occhi e alla gola e peggiorare problematiche cardiovascolari. Tali composti non solo peggiorano la qualità dell’aria, ma si depositano anche su suolo e acqua, contaminando gli ecosistemi. Durante le celebrazioni di Capodanno, i livelli di inquinamento atmosferico registrano spesso picchi, contribuendo allo smog e all’inquinamento secondario.

Gli effetti dei fuochi d’artificio non si limitano agli esseri umani: a subirli sono anche gli animali, domestici e selvatici. Cani e gatti, con un udito estremamente sensibile, soffrono stati di ansia e panico che li spingono a comportamenti pericolosi, arrivando in alcuni casi perfino a lanciarsi da balconi e finestre. Simili traumi scuotono anche la fauna selvatica: gli uccelli, disorientati dai botti, rischiano collisioni fatali durante voli improvvisi, mentre specie notturne come gufi e civette possono abbandonare i nidi, mettendo a rischio uova e piccoli. Mammiferi come volpi e cervi, in preda al panico, si espongono a varie tipologie di pericoli a causa del disorientamento. Si stima che ogni Capodanno muoiano circa 5.000 animali, tra domestici e selvatici, per cause direttamente legate ai botti e agli esplosivi. Impattanti effetti chimici, inoltre, investono gli habitat, minacciando la fauna locale. Una contaminazione progressiva, con conseguenze a lungo termine.

[di Stefano Baudino]

Anche Roma introduce le zone rosse con il pretesto della sicurezza

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Dopo Firenze, Bologna, Milano e Napoli, la nuova stretta securitaria arriva anche a Roma. Stando alle indiscrezioni provenienti dal Viminale la zona rossa capitolina dovrebbe coprire la stazione Termini e il quartiere Esquilino, particolarmente interessati dal flusso di turisti per il Giubileo. Il 30 dicembre scorso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha inviato una direttiva ai prefetti per spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuino le aree urbane dove vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali, disponendone l’allontanamento. Il ricorso alle zone rosse viene giustificato dal governo come una misura volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini, tuttavia la vaghezza dei criteri tratteggiati dal dicastero per l’individuazione delle persone “pericolose” e l’ampia discrezionalità garantita a tal fine alle forze dell’ordine risultano un grave rischio per la libertà dei cittadini, con una forte connotazione discriminatoria.

Le zone della Capitale che dovrebbero tingersi di rosso saranno la stazione ferroviaria Termini e l’intero quartiere Esquilino. La presunta adozione della misura è iniziata a circolare nel fine settimana, ma non è ancora noto a partire da quando sarà implementata; sembra che fonti interne al Viminale abbiano fatto sapere che l’entrata in vigore dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. A confermare la messa a punto della stretta è un post del vicepresidente della Camera dei Deputati, Fabio Rampelli, esponente di Fratelli d’Italia, in cui ringrazia il ministro Piantedosi e il prefetto di Roma Lamberto Giannini per la posizione assunta. «Oggi arriva il segnale che i cittadini perbene attendevano: tolleranza zero verso l’illegalità», scrive Rampelli. «Non fa mai piacere prendere provvedimenti a zone, ma quel che stava avvenendo in questo rione era diventato un problema per la cittadinanza, gli operatori economici e gli stessi turisti, costretti a barcamenarsi tra cumuli di rifiuti, schivare avanzi di galera e scappare dai borseggiatori. Ben venga quindi la zona rossa a Termini. Ora bonifica integrale dell’area».

La misura si colloca sulla scia delle analoghe strette avanzate nelle città di Bologna, Firenze, Milano e Napoli e arriva qualche giorno dopo l’apertura delle porte sante del Giubileo, che si terrà per tutto l’anno corrente. Proprio in occasione del Giubileo, nell’area individuata come zona rossa e nelle stazioni, erano già aumentate notevolmente le operazioni delle forze dell’ordine: da inizio 2023 a oggi sono state attuate 198 operazioni straordinarie, impiegando un totale di 14.300 unità; controllate 158.850 persone, di cui 504 arrestate e 1.579 denunciate; ispezionati, infine, 23.276 veicoli e 1.846 esercizi pubblici.

Con l’espressione “zona rossa” si intende un’area in cui vige il divieto di stazionamento per «soggetti pericolosi», ossia individui con precedenti penali per reati contro il patrimonio o la persona, oppure «individui che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano». Questo criterio è presente in una delle tante strette contenute nel cosiddetto ddl sicurezza. La misura, insomma, prevede che gli individui con precedenti penali in reati contro il patrimonio o la persona, i soggetti con casi pendenti in analoghi reati commessi nelle aree legate alle infrastrutture di trasporto, o le persone che assumono fumosi e non meglio chiariti atteggiamenti «pericolosi» vengano allontanati dalle aree sensibili individuate dalla prefettura, generalmente stazioni e «zone in cui si concentra la movida».

[di Dario Lucisano]

Montenegro, migliaia in piazza chiedono le dimissioni dei ministri

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Nel fine settimana, migliaia di persone si sono riversate in piazza a Podgorica e Cetinje, le maggiori città del Montenegro, per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno, Danilo Šaranović, e del vice primo ministro per la Sicurezza e la Difesa, Aleksa Bečić. Le proteste seguono una sparatoria avvenuta durante la notte di Capodanno a Cetinje, a tre anni dall’ultimo attacco dello stesso tipo. L’attentatore ha agito dopo lo scoppio di una rissa, uccidendo quattro persone nel locale per poi spostarsi e aprire il fuoco in altri tre luoghi, uccidendo altre otto persone.

Nel fine settimana oltre 200 Rohingya sono sbarcati in Indonesia

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Durante il fine settimana, più di 200 Rohingya sono sbarcati nella provincia indonesiana di Aceh, in un contesto di crescenti esodi via mare. I Rohingya sono un popolo a maggioranza musulmana, originario della Birmania, che costituisce la più grande popolazione apolide del mondo. Spesso fuggono dalle difficili condizioni nei campi profughi e dalla guerra civile verso i Paesi limitrofi, specialmente tra ottobre e aprile, quando i mari sono più calmi. In Birmania, infatti, dal 2021 è in corso una guerra civile che vede contrapposta la giunta militare di Min Aung Hlaing a diversi gruppi di resistenza formatisi in sua opposizione.

Una comunità di pescatori messicani ha piantato quasi due milioni di mangrovie

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Dopo vari tentativi ed errori, una comunità di pescatori messicani ha trovato la chiave per riforestare un ecosistema di mangrovie nel villaggio di El Delgadito all'interno della Riserva della Biosfera di El Vizcaíno, una delle più grandi aree protette del Paese. Negli anni, i pescatori locali hanno in particolare condotto una serie di esperimenti per trovare il metodo migliore per riforestare le foreste di mangrovie in declino nell'area, per poi scegliere una tecnica di semina diretta che riproduce i modelli naturali. Ad oggi sono state messe a dimora con successo quasi 2 milioni di mangrovie...

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Mantova, animalisti protestano contro l’azienda Levoni

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A Mantova cinque attivisti di Ribellione Animale sono stati portati in caserma dopo aver lanciato del letame sulla teca che custodisce il quadro “Donna sdraiata che legge” di Pablo Picasso, in mostra a Palazzo Te. Un atto di protesta contro la presenza dell’azienda Levoni, produttrice di salumi, tra i soci della Fondazione Palazzo Te. “Fuori Levoni dalla cultura”, recitava lo striscione esposto dagli attivisti.

L’ultimo regalo di Biden a Israele: 8 miliardi in armi per continuare il massacro

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Mancano pochi giorni all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e l’attuale presidente Joe Biden si sta affrettando a sbrigare le ultime questioni, adducendo cambi di rotta da parte dei repubblicani. Così è stato giustificato l’ultimo pacchetto di armi varato per Kiev e il contestuale via libera a lanciare missili statunitensi sul suolo russo. Poi Biden ci ha preso gusto e ha graziato il figlio Hunter, in attesa di due processi. L’ultimo regalo del suo mandato dovrebbe andare all’alleato israeliano, che per il genocidio in atto a Gaza potrà contare su nuove armi fornite da Washington. Secondo quanto rivelato da Axios, infatti, l’amministrazione Biden avrebbe notificato informalmente al Congresso l’accordo per la vendita di un pacchetto di equipaggiamenti militari dal valore di 8 miliardi di dollari.

La linea dell’amministrazione statunitense nei confronti di Israele nell’ultimo anno è stata piuttosto chiara e ha visto timidi richiami verbali puntualmente smentiti dai fatti. Prima i veti alle risoluzioni per il cessate il fuoco in sede ONU, nel Consiglio di Sicurezza, poi le vendite di armi, in barba al diritto internazionale. Secondo l’ultimo rapporto Costs of War della Brown University di Providence, Washington avrebbe fornito a Israele circa 18 miliardi di dollari in armi dall’inizio del massacro all’ottobre scorso. Se a questa cifra si sommano i quasi 5 miliardi spesi dal governo statunitense per le proprie operazioni nella regione si arriva a un totale di oltre 22 miliardi di dollari. Il conto potrebbe aggiornarsi presto con il pacchetto che in queste ore sta animando i palazzi del potere americani. Secondo Axios, che cita fonti informate, la vendita riguarderebbe munizioni per caccia ed elicotteri da combattimento, missili aria-aria Aim 120C-8 Amraam e missili Hellfire Agm-114, a cui si aggiungono vari modelli di bombe, da quelle di piccolo diametro alle testate da 500 libbre.

Il colpo di coda dell’amministrazione Biden sarebbe la ciliegina sulla torta di un anno di collaborazione massima con Israele, privo di sanzioni commerciali o di pressioni diplomatiche, che non ha visto freni né a seguito del processo condotto dalla Corte Internazionale di Giustizia né in risposta ai mandati di arresto spiccati dalla Corte Penale Internazionale (che gli USA non riconoscono) verso il premier-criminale di guerra Benjamin Netanyahu e il suo braccio destro Yoav Gallant, ex ministro della Difesa. Nemmeno le proteste partecipate delle università e di migliaia di studenti e professori ha scalfito la linea dell’amministrazione Biden, che si appresta a fare un ultimo regalo a Israele. La scelta non trova giustificazione in un cambio di rotta politico operato da Trump, dal momento che il Tycoon ha una salda posizione sionista, è il presidente che ha spostato l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, affermando che è quest’ultima la capitale dello Stato ebraico.

[di Salvatore Toscano]