Le autorità sudcoreane hanno deciso di sospendere oggi l’esecuzione del mandato di arresto del presidente deposto Yoon Suk-yeol nella sua abitazione di Seul, dopo che le sue guardie del corpo glielo hanno impedito. Lo ha reso noto l’Ufficio investigativo sulla corruzione (Cio) in una nota. Gli inquirenti non sono così riusciti a effettuare l’arresto di Yoon, ordinato dalla magistratura in seguito al suo un tentativo di imporre la legge marziale la sera dello scorso 3 dicembre. Gli investigatori hanno presentato mandati per trattenere Yoon e perquisirne la residenza, ma il capo del servizio di sicurezza Park Chong-jun, invocando norme sulla privacy, ha negato loro l’ingresso.
Dal primo gennaio del 2025, in Italia è entrato ufficialmente in funzione il Garante nazionale per i diritti delle persone con disabilità, un nuovo organo istituzionale creato per assicurare maggiore tutela e valorizzazione dei diritti di chi vive con limitazioni funzionali. L'autorità, composta da tre membri eletti dai Presidenti della Camera e del Senato, dovrà vigilare sul rispetto delle libertà fondamentali della categoria, garantendo l'applicazione dei principi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con esigenze specifiche. Il trattato, adottato a New York...
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È di almeno 63 morti il bilancio delle vittime dell’ondata di raid israeliani che oggi ha colpito varie aree della Striscia di Gaza. Lo ha reso noto Al-Jazeera, citando fonti mediche. Fra le zone teatro dei bombardamenti di oggi, ci sono anche la cosiddetta area umanitaria di Al-Mawasi e il campo profughi di Jabalia, a nord, che è stato a più riprese attaccato negli ultimi giorni. Nei bombardamenti di oggi, in cui hanno perso la vita anche dei bambini, sono rimasti uccisi il capo della polizia di Hamas e il suo vice.
Secondo il rapporto annuale del Dipartimento per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano degli Stati Uniti (HUD), all’inizio del 2024 il numero di senzatetto in America ha raggiunto un livello record da quando il governo federale ha iniziato a monitorare le cifre nel 2007. Secondo quanto rilevato, infatti, più di 770.000 persone si trovavano senza fissa dimora a gennaio 2024, segnando un aumento del 18% rispetto al 2023. Tra le tendenze più allarmanti c’è la presenza di intere famiglie senza fissa dimora: rispetto al 2023, le famiglie senza alcun tipo di rifugio abitativo sarebbero aumentate del 39%, mentre anche il numero di bambini senza casa è aumentato del 33%. Inoltre, si registra come solo gli afroamericani rappresentino il 32% complessivo dei senzatetto. «Nessun americano dovrebbe trovarsi senza casa e l’amministrazione Biden-Harris si impegna a garantire che ogni famiglia abbia accesso all’alloggio conveniente, sicuro e di qualità che merita», ha affermato la responsabile dell’agenzia HUD, l’onorevole Adrianne Todman, aggiungendo che «Sebbene questi dati risalgano a quasi un anno fa e non riflettano più la situazione che stiamo vedendo, è fondamentale che ci concentriamo su sforzi basati su prove per prevenire e porre fine alla condizione di senzatetto».
Tra le cause principali che hanno portato all’aumento dei senza fissa dimora, il rapporto segnala in particolare i disastri naturali, le ondate migratorie in diverse parti del Paese e la mancanza di alloggi a prezzi accessibili. “La migrazione ha avuto un impatto particolarmente notevole sui senzatetto familiari, che sono aumentati del 39% dal 2023 al 2024. Nelle 13 comunità che hanno segnalato di essere state colpite dalla migrazione, i senzatetto familiari sono più che raddoppiati. Mentre nelle restanti 373 comunità, l’aumento delle famiglie senza fissa dimora è stato inferiore all’8%”, si legge nella relazione dell’HUD. Secondo il Dipartimento americano, gli affitti si sono stabilizzati in modo significativo da gennaio 2024, ossia da quanto l’HUD ha aggiunto 435.000 nuove unità in affitto nei primi tre trimestri del 2024; ovvero più di 120.000 nuove unità ogni trimestre. Durante la campagna elettorale, il presidente eletto Donald Trump ha più volte indicato l’immigrazione come causa dell’aumento dei prezzi delle case, assicurando che il suo proposito di realizzare «la più grande operazione di deportazione nella storia americana» avrebbe abbassato i prezzi degli alloggi.
Anche le catastrofi naturali hanno aggravato la situazione, in particolare l’incendio di Maui nelle Hawaii dello scorso anno, a causa del quale molte persone si trovavano ancora in rifugi di emergenza al momento delle rilevazioni dell’HUD. Il fenomeno sarebbe peggiorato anche dalla mancanza di politiche di sostegno mirate: secondo l’amministratrice delegata ad interim della National Low Income Housing Coalition, Renee Willis, «L’aumento del numero di senzatetto è la tragica, ma prevedibile, conseguenza di un insufficiente investimento nelle risorse e nelle protezioni che aiutano le persone a trovare e mantenere un alloggio sicuro e a prezzi accessibili». Per cercare di porre un freno al fenomeno, molte giurisdizioni, specialmente nell’ovest degli Stati Uniti, stanno vietando la possibilità di dormire all’aperto, da quando una sentenza della Corte Suprema a giungo ha stabilito che tale divieto non viola l’ottavo emendamento.
Allo stesso tempo, secondo il rapporto dell’HUD, diverse grandi città sono riuscite a diminuire il numero di senzatetto, tra cui Dallas, Los Angeles e la Contea di Chester. Inoltre, l’HUD segnala come, grazie ai suoi sforzi, il numero di persone senza casa da lungo tempo sia diminuito dell’8%, passando da 35.574 nel 2023 a 32.882 nel 2024. Questi dati arrivano nel contesto dell’impegno dell’amministrazione Biden di aumentare i finanziamenti per l’edilizia popolare e di ampliare i servizi volti a prevenire i senzatetto. Tuttavia, l’aumento delle persone senza dimora è indice della necessità di introdurre riforme più sistemiche: l’ex direttore esecutivo del Consiglio interagenzie statunitense per i senzatetto dal 2019 al 2021, Robert Marbut Jr, ha definito «vergognoso» l’aumento di quasi il 33 per cento dei senzatetto negli ultimi quattro anni negli Usa.
Colpisce come, paradossalmente, uno dei Paesi più ricchi al mondo sia caratterizzato non solo dall’alto numero di senzatetto, ma anche dall’uso crescente di sostanze stupefacenti e oppioidi sintetici come il Fentanyl. Il che è indicativo del fatto che non necessariamente le società caratterizzate da alto benessere materiale sono anche società “sane” e dove gli standard di vita sono equamente garantiti per tutti.
L'intrattenimento destinato all'infanzia è stato a lungo sfruttato come strumento per veicolare persuasive campagne di marketing. Basti pensare che in Italia un’intera generazione è cresciuta con il Carosello, noto programma pubblicitario trasmesso da Rai 1 dal 3 febbraio 1957 al 1º gennaio 1977. Con l'avvento dei social media, si è però diffusa la percezione secondo cui la mercificazione dell’infanzia ha assunto contorni più preoccupanti e invasivi. Molti ritengono che internet stia contribuendo a erodere progressivamente la "sacralità" dell’infanzia, trasformandola in un ingranaggio della ma...
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Il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, ha dichiarato che le truppe francesi dovranno iniziare a ritirarsi dal territorio del Paese a partire da gennaio 2025. Nelle dichiarazioni di rito, il presidente ha assicurato che l’ex padrone coloniale rimarrà un «importante alleato». Un approccio che mira ad essere conciliante nei modi, ma la cui sostanza è netta: le basi militari nazionali, a cominciare da quella di Port Bouet, saranno trasferite sotto il controllo ivoriano mentre i soldati francesi rimasti (che già erano stati ridotti a circa 100 unità dal migliaio di un tempo) dovranno lasciare il territorio. Si tratta di un altro chiodo sul poco che resta di quella che un tempo era la Françafrique, ossia il determinante potere d’influenza di Parigi sulle sue ex colonie africane.
La Costa d’Avorio è l’ultimo Stato dell’Africa occidentale che ha deciso di espellere le forze francesi dal suo territorio dopo Mali, Burkina Faso e Niger, tutte nazioni in cui, tra il 2020 e il 2023, si sono verificati colpi di Stato che hanno portato al governo giunte militari antioccidentali. Ma anche in Ciad e in Senegal i rispettivi governi hanno deciso che le truppe francesi non sono più utili alla sicurezza del territorio invitando i contingenti a lasciare le basi del Paese. Nello specifico, il Mali ha decretato l’espulsione delle truppe francesi nel 2022, seguito dal Burkina Faso e dal Niger nel 2023. Nel dicembre del 2024, invece, ministro degli Esteri del Ciad, Abderaman Koulamallah, aveva annunciato la fine dell’accordo di cooperazione in materia di difesa con la Francia, spiegando che la decisione «fa parte dell’impegno del Capo di Stato davanti al popolo sovrano» ed è un modo per «affermare la nostra sovranità». Anche il presidente senegalese, Bassirou Diomaye Faye, durante il discorso di fine anno, ha ribadito – con un tono ancora più aspro rispetto a quello del presidente avoriano – «la chiusura di tutte le basi francesi nel paese», dopo la richiesta formale, di fine novembre, da parte di Dakar. Parallelamente alla cacciata dei contingenti francesi in tutta l’area del Sahel, si sta affermando sempre di più la presenza di altre potenze antagoniste dei Paesi occidentali, come Russia e Cina, viste come un’alternativa vantaggiosa all’ingombrante presenza neocoloniale delle nazioni occidentali.
I contingenti francesi erano presenti nella regione del Sahel fin dal 2014 con l’obiettivo di combattere i numerosi gruppi jihadisti attivi da anni nell’area, all’interno della cosiddetta “operazione Barkhane”. Tuttavia, dopo gli iniziali risultati positivi nel combattere il terrorismo, la situazione peggiorò rapidamente, poiché le attività dei jihadisti ripresero slancio con attacchi anche molto violenti, in particolare ai confini tra Mali, Burkina Faso e Niger. Inoltre, le truppe francesi divennero sempre più malviste dalla popolazione locale e l’operazione viene considerata a tutti gli effetti un fallimento da parte dei Paesi africani. L’aumento dell’instabilità nel Sahel a causa del terrorismo era stato uno dei motivi che ha portato al colpo di Stato in Mali nel 2020, in seguito al quale i rapporti con la Francia sono rapidamente peggiorati.
L’insuccesso dell’operazione Barkhane unitamente all’approccio predatorio francese nei confronti delle risorse naturali del Continente nero hanno velocemente aumentato il risentimento delle popolazioni locali nei confronti degli ex colonizzatori. Il risultato è stato un rapido mutamento politico nei Paesi dell’Africa Subsahariana, il cui obiettivo è quello di riacquisire la sovranità sul sistema economico, monetario e sulle risorse naturali. Proprio a tal fine, Niger, Mali e Burkina Faso hanno firmato un trattato con il quale hanno dato vita alla Confederazione degli Stati del Sahel, volta a creare una comunità libera dal controllo di potenze straniere. La recente decisione della Costa d’Avorio di espellere le truppe francesi, dunque, rappresenta solo l’ultimo tassello di un processo più ampio che vede l’Africa occidentale protagonista di un movimento per liberarsi delle potenze occidentali – non solo la Francia, ma anche gli Stati Uniti – e acquisire così la propria sovranità.
In Montenegro, un uomo ha ucciso 12 persone aprendo il fuoco con una pistola in seguito a una rissa. L’aggressione è avvenuta ieri pomeriggio a Cetinje, nel sud-ovest del Paese, a circa 30 chilometri dalla capitale Podgorica. L’uomo, identificato dalla polizia come Aleksandar Aco Martinovic, di 45 anni, è fuggito e ha aperto il fuoco in altri tre luoghi, uccidendo altre otto persone, di cui due bambini. Martinovic sarebbe in seguito morto per ferite autoinflitte. Secondo gli ultimi aggiornamenti della polizia, le vittime avevano tutte stretti legami con l’individuo. Restano ignoti sia il movente degli omicidi sia la causa della rissa.
Una causa lanciata, e vinta, dal colosso delle borse Louis Vuitton contro uno stilista coreano di nome Lee Kyung-han potrebbe segnare uno spartiacque nel mondo della moda indipendente, che si muove attraverso i concetti del riutilizzo creativo. L’Alta Corte per la proprietà intellettuale di Seul ha infatti condannato Lee a pagare 15 milioni di won (l’equivalente di circa diecimila euro) al marchio francese per aver riutilizzato parti di borse griffate per creare nuove produzioni. Una sentenza che condanna quello che, nel mondo della moda, si chiama “upcycling”, ossia il processo creativo che mira a ridare vita a tessuti di scarto trasformandoli in nuovi prodotti di qualità uguale o superiore all’originale. Un processo che si basa spesso sull’utilizzo di resti o parti di prodotti dei marchi dell’alta moda.
Il caso Lee e la pratica dell’upcycling
Dal 2017 al 2021 il designer Lee Kyung-han si è dedicato alla creazione di borse e accessori partendo da materiali Louis Vuitton usati e forniti dai clienti stessi. Per chi si occupa di customizzazioni e trasformazione di prodotti già esistenti, partire da materie prime usate, scartate o semplicemente non più in linea con le esigenze dei clienti (magari per taglia o gusti personali), è una pratica comune. Tra gli oggetti e gli abiti a disposizione, spesso capitano anche quelli di grandi marchi della moda e del lusso. In questo caso, però, il colosso francese non ha apprezzato le rielaborazioni di Lee, accusandolo di aver creato prodotti che potevano essere confusi come originali dai consumatori, poiché presentavano il logo del marchio. Gli avvocati di Lee hanno sostenuto che si trattasse di una causa infondata, in quanto gli accessori in questione erano stati interamente riprogettati, cambiando spesso funzione e forma. Una tesi difensiva che è stata tuttavia rigettata dalla corte, con una doppia aggravante: quella del prezzo, secondo cui i prodotti «vengono venduti a prezzi elevati nel mercato dell’usato e hanno valore come oggetti indipendenti», e quella secondo cui, essendo realizzati così bene da sembrare nuovi, potevano trarre in inganno i consumatori, che «possono confondere i prodotti con quelli realizzati da Louis Vuitton». È scattata quindi la richiesta di risarcimento danni, oltre a un provvedimento che impedisce a Lee di utilizzare nuovamente materiali del marchio francese per le sue creazioni.
La dottrina della prima vendita
Gli avvocati dello stilista hanno già annunciato ricorso, dichiarando: «Questa è una sentenza irragionevole che ignora i diritti dei consumatori e criminalizza di fatto tutte le forme di riutilizzo dei prodotti, dalle modifiche di vestiti e borse alla personalizzazione delle auto». La risposta dei legali di Lee chiama in causa una norma internazionalmente riconosciuta: la dottrina della prima vendita. Si tratta di un concetto giuridico che affonda le sue radici agli inizi del ‘900 (1908, Stati Uniti, caso Bobbs-Merrill Co. contro Strauss) e che svolge un ruolo fondamentale nel mondo della proprietà intellettuale e del commercio. La norma tutela il diritto delle persone a disporre dei beni acquistati legalmente senza violare i diritti del proprietario del marchio o del copyright, rivendendoli, prestandoli o modificandoli.
In pratica, una volta che il titolare del copyright vende una copia del proprio prodotto o opera, perde il controllo sulle vendite successive: una volta tratto il profitto iniziale, il marchio non può continuare a “spremere lo stesso limone” all’infinito. In questo modo si tutelano sia i diritti dei consumatori, che possono disporre dei prodotti per cui hanno pagato come meglio credono, sia il libero commercio nei mercati secondari (come i negozi dell’usato), bilanciando gli interessi tra i diritti di chi crea il prodotto e quelli di chi lo acquista.
Come per ogni norma, esistono sfumature e casi specifici, soprattutto quando si entra nel campo dei prodotti digitali. Tuttavia, per la merce con marchio registrato, i proprietari possono controllare «la qualità e la reputazione associata al marchio», intervenendo sulla rivendita di prodotti contraffatti o scadenti. La domanda sorge dunque spontanea: il processo creativo di rielaborazione di un prodotto da parte di un designer può essere davvero equiparato a una banale contraffazione?
A giudicare dalla sentenza, sembrerebbe proprio di sì. Questo allarma tutto il settore che si occupa di trovare soluzioni creative per una moda circolare, considerando i danni dovuti alla sovrapproduzione causata dai marchi in questione. Il caso di Lee non è isolato, e le battaglie legali dei grandi marchi contro i designer impegnati nell’upcycling stanno spuntando come funghi. Le grandi aziende del lusso e dell’abbigliamento sportivo stanno cercando di reprimere i tentativi «da parte di terzi di allinearsi impropriamente con – e trarre profitto da – l’attrattiva di questi marchi noti facendo un uso non autorizzato dei loro marchi di fama mondiale».
Oltre a Louis Vuitton, anche Chanel, Nike, MSCHF e Rolex hanno avviato cause simili. Questa scelta di battagliare contro singoli progettisti e piccoli marchi indipendenti solleva sospetti: più che proteggere il proprio marchio, sembrerebbe dettata dalla paura che le persone possano preferire affidarsi a un designer emergente per modifiche o restauri di oggetti esistenti, invece di spendere cifre astronomiche (e spesso immotivate) per prodotti dal vago sentore di lusso.
Se tutti i brand dovessero iniziare a intentare cause contro gli upcycler, si rischierebbe di mettere in pericolo un’arte che rappresenta anche una delle soluzioni più auspicabili per una moda circolare a basso impatto, in cui l’esistente non viene buttato ma diventa una risorsa e una materia prima.
Al largo della Tunisia, dopo un naufragio di due imbarcazioni davanti alle coste di Kerkennah, sono stati recuperati i corpi senza vita di 27 migranti di diverse nazionalità che cercavano di raggiungere le coste italiane. 83 le persone tratte in salvo dalle autorità tunisine. Il direttore della Protezione civile di Sfax ha dichiarato che il numero totale dei migranti a bordo delle due imbarcazioni – una delle quali si è capovolta, mentre l’altra è colata a picco – era di 110, aggiungendo che 5 delle persone soccorse sono state portate all’ospedale regionale Slim Hadri.
Trascinato giù dall’aereo e picchiato dalla polizia italiana il giorno di Natale: è quanto ha denunciato Stephane Omeonga, calciatore belga militante in una squadra della serie B israeliana con un passato in formazioni italiane come Avellino, Genoa e Pescara. L’incidente si è verificato su un volo Bruxelles-Tel Aviv della compagnia Blue Bird Airways, in transito a Fiumicino. Secondo le autorità, Omeonga era stato inserito nella “black list” di Israele e per questo motivo avrebbe dovuto lasciare il velivolo. Tuttavia, il calciatore ha accusato la polizia di aver usato violenza nei suoi confronti in un post pubblicato sui social, corredato da un video girato da un passeggero in cui si vedono uomini in divisa costringerlo ad alzarsi prendendolo per il collo e portarlo fuori a forza dall’aereo.
«Il 25 dicembre sono stato vittima della brutalità della polizia. Durante un volo tra Roma e Tel Aviv, dopo essere salito a bordo e aver preso posto, uno steward mi ha avvicinato per un presunto problema con i miei documenti e mi ha chiesto di lasciare l’aereo – ha ricostruito il calciatore del Bnei Sakhnin, club noto per avere nelle sue file sia calciatori ebrei sia arabo-israeliani, in un post diramato su Instagram –. Confidando nella validità dei miei documenti, gli ho chiesto con calma che tipo di problema fosse. È stata chiamata la polizia e io sono stato ammanettato e portato via con la forza dall’aereo. Una volta fuori dall’aereo, lontano dalla vista dei testimoni, la polizia mi ha violentemente gettato a terra, mi ha picchiato e uno di loro ha premuto il ginocchio contro la mia testa». Lo scritto è accompagnato da un filmato in cui si vede la polizia salire a bordo del velivolo e trascinarlo fuori. Racconta ancora il giocatore: «Sono stato poi portato in un veicolo della polizia, ammanettato come un criminale, fino all’aeroporto. È arrivata un’ambulanza, ma in stato di shock non ero in grado di rispondere alle domande dei paramedici. Poco dopo, dalla radio dell’auto della polizia ho sentito dire: “Ha rifiutato le cure mediche, va tutto bene”. Questo era completamente falso, ho chiesto di portarmi in ambulanza con loro spaventata da ciò che la polizia avrebbe potuto farmi». La vicenda, per come raccontata da Omeonga, avrebbe visto dei risvolti ancora più inquietanti. Il giocatore ha infatti riferito di essere stato portato in una stanza, senza cibo né acqua, e «lasciato in uno stato di totale umiliazione per diverse ore». Dopo il rilascio, scrive ancora il calciatore, «ho saputo che un agente di polizia aveva sporto denuncia contro di me per le ferite presumibilmente causate durante l’arresto, nonostante fossi ammanettato. Inoltre, a tutt’oggi, non ho ricevuto alcuna giustificazione per il mio arresto».
Nella parte finale del suo lungo post, il giocatore critica la presunta matrice discriminatoria dell’intervento delle forze dell’ordine: «Come essere umano e padre, non posso tollerare alcuna forma di razzismo. Questo episodio è solo la punta dell’iceberg: molti come me subiscono discriminazioni quotidiane», ha concluso Omeonga, per poi invitare alla riflessione su temi di giustizia e uguaglianza. Fonti della Polizia sostengono invece che l’intervento sia avvenuto nel rispetto delle procedure, precisando che la Polaria – polizia di frontiera aerea – sarebbe intervenuta su richiesta del capo scalo e del comandante della compagnia aerea, in quanto il nome di Omeonga figurerebbe sulla “black list” di Israele e, dunque, l’uomo non sarebbe gradito in quel Paese. Le medesime fonti hanno riferito che, prima dell’intervento sul velivolo, sarebbe andata in scena una mediazione durata circa 40 minuti, e che subito dopo Omeonga sarebbe stato portato negli uffici della polaria di Fiumicino e denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. In seguito alla pubblicazione del post, il giocatore rischia anche una denuncia per diffamazione. Al contempo, l’uso della forza da parte della polizia, se confermato dalle immagini e dalle testimonianze, potrebbe risultare sproporzionato, così come la presunta decisione di non fornire acqua o cibo a Omeonga durante la detenzione temporanea potrebbe costituire una violazione dei suoi diritti. Dato lo spaccato della controversa vicenda, non è dunque escluso che la magistratura possa aprire un fascicolo.
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