domenica 27 Aprile 2025
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Il nuovo piano pandemico approvato dal governo Meloni

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Viene riconosciuto l’uso dei vaccini ma non come unico strumento di contrasto, sono previste restrizioni alla libertà personale solo in casi “eccezionali” senza il ricorso ai Dpcm e c’è l’obbligo per le istituzioni a rendicontare pubblicamente il loro operato: sono questi i punti salienti del nuovo Piano nazionale pandemico inviato in Conferenza Stato-Regioni per la discussione e la successiva approvazione. A cinque anni dall’emergenza coronavirus, è stato redatto un nuovo documento di oltre 150 pagine che sostituirà quello precedente – scaduto nel 2023 – e avrà durata quadriennale, ovvero si estenderà fino al 2029. Nonostante il Piano non sia ancora confermato definitivamente, il testo ha già innescato il consueto gioco delle parti politico: da una parte, le opposizioni attaccano affermando che le uniche modifiche sono state effettuate «per evitare di fare copia e incolla» dai documenti precedenti, mentre dall’altra dal governo si sottolinea che proprio tali modifiche distinguono il nuovo documento dalla «disastrosa gestione Conte-Speranza» e dal suo «approccio ideologico e dogmatico».

Il contenuto del documento

La bozza, inviata in Conferenza Stato-Regioni e resa disponibile alla stampa nelle ultime ore, sottolinea che per l’attuazione delle misure del piano pandemico nazionale è stata autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2025, 150 milioni per il 2026 e 300 milioni di euro annui dal 2027 in poi. Le principali novità riguardano restrizioni, strategie di prevenzione e contrasto ad un eventuale patogeno. Vengono prefigurati tre scenari di rischio, di cui due dovuti a virus influenzali e considerati più probabili e uno “peggiore”, poco probabile ma impossibile da escludere. All’interno di ogni caso viene stimato il numero di ricoveri probabili e gli accessi medi in terapia intensiva – che vanno da qualche migliaio per il primo scenario a centinaia di migliaia per lo scenario peggiore – precisando al contempo, però, che tali simulazioni tengono conto soltanto delle caratteristiche dell’eventuale patogeno e non di altri fattori che potrebbero condizionarne la diffusione. Per quanto riguarda le restrizioni ed eventuali lockdown, si legge: «di fronte ad una pandemia di carattere eccezionale, si può presentare la necessità e l’urgenza di adottare misure relative ad ogni settore e un necessario coordinamento centrale, valutando lo strumento normativo migliore e dando priorità ai provvedimenti parlamentari. È escluso l’utilizzo di atti amministrativi per l’adozione di ogni misura che possa essere coercitiva della libertà personale o compressiva dei diritti civili e sociali. Solo con leggi o atti aventi forza di legge e nel rispetto dei principi costituzionali possono essere previste misure temporanee, straordinarie ed eccezionali in tal senso». Significa che il piano del governo Meloni non rinuncia alla possibilità di mettere in campo tutte le restrizioni viste in campo durante l’era Covid, ma stabilisce che queste non possano essere approvate con un semplice Dpcm della presidenza del Consiglio, ma varate come leggi ordinarie. Anche se non sarà necessario per forza un passaggio parlamentare, dato che potrebbero essere approvate con provvedimento d’urgenza come decreto legge (quindi approvate solo dal governo).

Inoltre, altre novità riguardano il tema della vaccinazione e della comunicazione. Si legge che «i vaccini approvati e sperimentati risultano misure preventive efficaci, contraddistinte da un rapporto rischio-beneficio significativamente favorevole; non possono essere considerati gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni ma vanno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili». Il tutto, con una campagna di informazione che dovrà astenersi dall’usare «toni drammatici» che potrebbero «generare discriminazioni e stigma sociale». Le istituzioni, infatti, anche per risolvere i conflitti che potrebbero insorgere «tra la sfera privata e quella collettiva» a causa di ipotetiche restrizioni, sono obbligate ad agire «in ottemperanza al principio di trasparenza», rendicontando «pubblicamente il loro operato». Infine, tra i punti salienti vi è la costituzione del Commissario straordinario all’emergenza, figura nominata dal governo che agisce per un tempo determinato «allo scopo di far fronte ad eventi straordinari attraverso poteri esecutivi speciali». In particolare, potrebbe partecipare attivamente alla predisposizione della campagna vaccinale e all’acquisto delle «contromisure mediche necessarie per fronteggiare il patogeno emergente».

La reazione politica

Il documento, nonostante sia stato inviato alle Regioni per ulteriori discussioni ed eventuali modifiche, sembra aver già acceso il dibattito politico a riguardo: da una parte, il Movimento 5 Stelle denuncia un “copia e incolla”, mentre dall’altra viene sottolineato che le principali modifiche effettuate sono proprio ciò che distinguono il documento dalla “disastrosa gestione precedente”: «A quanto si apprende, nella bozza è previsto l’uso dei vaccini e del lockdown in caso di grave emergenza pandemica. Certo, la destra ha dovuto escludere l’uso dei Dpcm, per evitare di fare copia e incolla dalle misure anti-Covid anche a livello amministrativo, ma per quanto riguarda gli aspetti sanitario e sociale il piano ripercorre fedelmente quanto fatto dal governo Conte durante la pandemia. Siamo felici che nel momento in cui occorreva tutelare la Salute dei cittadini la scienza abbia battuto la propaganda antiscientifica tanto cara a questa destra», si legge in un comunicato del partito pentastellato. D’altra parte, per Fratelli d’Italia le cose stanno diversamente: «Il Piano Pandemico che il governo ha trasmesso oggi alle Regioni manda in soffitta la disastrosa gestione Conte-Speranza e il suo approccio ideologico e dogmatico, per mettere al centro il cittadino con i suoi diritti. Bene che sia stata archiviata l’era dei lockdown arbitrari, imposti con atti amministrativi come i Dpcm ed annunciati via social: misure temporanee e straordinarie di questo genere potranno essere adottate solo con il coinvolgimento del Parlamento. La nuova strategia, infatti, riconosce sì l’importanza dei vaccini, ma non esclude l’utilizzo di altri presidi terapeutici per contrastare agenti patogeni», scrive il partito al governo.

[di Roberto Demaio]

Auto elettriche, Antitrust avvia quattro istruttorie

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L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato quattro istruttorie contro BYD, Stellantis, Tesla e Volkswagen per possibili pratiche commerciali scorrette sui veicoli elettrici. L’indagine riguarda informazioni potenzialmente fuorvianti su autonomia, degrado della batteria e limiti della garanzia. Le case automobilistiche avrebbero fornito dati generici e talvolta contraddittori senza chiarire l’impatto di fattori esterni sul chilometraggio reale e, inoltre, mancherebbero dettagli trasparenti sulla perdita di capacità delle batterie nel tempo e sulle reali condizioni di garanzia. Per questo motivo, i funzionari dell’Autorità hanno effettuato un’ispezione presso le sedi coinvolte con l’ausilio del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza.

Il telescopio James Webb ha immortalato la nascita di un sistema planetario in formazione

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Il telescopio spaziale James Webb si è nuovamente confermato uno strumento fondamentale per la ricerca astronomica e, questa volta, lo ha fatto mostrando agli scienziati un’opportunità unica nello studio della formazione planetaria: è quanto scoperto nel sistema PDS 70, formato da una giovane stella circondata da un disco di gas e polvere in cui si stanno formando due pianeti, chiamati PDS 70 b e PDS 70 c. I risultati sono stati ottenuti da un team guidato dalla dottoranda Dori Blakely dell’Università di Victoria, il quale ha dettagliato le nuove evidenze all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica The Astronomical Journal. Sfruttando la precisione del telescopio Webb ed un’innovativa tecnica chiamata Aperture Masking Interferometry (AMI), gli scienziati hanno scoperto che i due pianeti stanno ancora crescendo raccogliendo materiale dal disco protoplanetario, e il tutto con la presenza di particolari strutture che potrebbero favorire la formazione di lune simili a quelle osservate attorno a Giove e Saturno: «È come vedere una foto di famiglia del nostro Sistema Solare quando era solo un bambino», commentano gli autori, sottolineando che la scoperta potrebbe insegnare agli scienziati come i sistemi planetari, come il nostro, nascono e si sviluppano.

Non bastavano galassie da record, fusioni di buchi neri e pianeti bollenti capaci di squarciare a metà la comunità scientifica, evidentemente, per fermare la scia di scoperte effettuate grazie al telescopio James Webb (JSWT), strumento per l’astronomia a raggi infrarossi lanciato a dicembre del 2021 grazie ad una collaborazione NASA, ESA e CSA. Questa volta, come riporta lo studio recentemente pubblicato su The Astronomical Journal, è toccato ad un sistema ancora in formazione, chiamato PDS 70: un insieme di corpi celesti considerato un “laboratorio naturale” per comprendere come si sviluppano i pianeti giganti. La scoperta, come spiegato dagli autori, è avvenuta sfruttando la capacità del JSWT di misurare la luce infrarossa in combinazione con una innovativa tecnica chiamata Aperture Masking Interferometry, le quali hanno consentito di ottenere immagini con una risoluzione “senza precedenti” capaci di dettagliare con maggiore precisione il processo di formazione planetaria. Usare questa tecnica innovativa «è come abbassare i riflettori accecanti di una giovane stella in modo da poter vedere i dettagli di ciò che la circonda, in questo caso i pianeti», ha spiegato Prof. René Doyon, Direttore del Trottier Institute for Research on Exoplanets e coautore della ricerca.

Rappresentazione artistica della stella e del suo disco protoplanetario. Credit: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)

In particolare, è stato scoperto che i due pianeti stanno attirando materiale dal disco «proprio come bambini che afferrano i mattoncini per costruire una torre», accumulando gas e competendo con la stella ospite per il materiale del disco. Si tratta di osservazioni che, come spiegato dagli autori, supportano l’idea che i pianeti giganti si formino principalmente estraendo gradualmente massa dal gas e dalla polvere che li circonda e ciò, potenzialmente, potrebbe aiutare a capire come Giove e Saturno potrebbero essersi formati nel nostro sistema solare. Inoltre, i dati hanno suggerito che i due corpi celesti potrebbero avere anelli chiamati “dischi circumplanetari” che potrebbero ospitare la formazione di lune simili a quelle più vicine alla Terra. Infine, è stato scoperto un potenziale terzo oggetto situato all’interno di una lacuna del disco protoplanetario, definito da una debole emissione luminosa la cui natura è ancora incerta. Potrebbe trattarsi di un braccio di polvere e gas in movimento o di un altro pianeta in fase di formazione, ma l’enigma andrà chiarito grazie ad ulteriori osservazioni future.

Quel che rimane certo, per ora, è che gli scienziati siano convinti che il nuovo studio rappresenti un passo in avanti fondamentale nella comprensione dei meccanismi che regolano la nascita e l’evoluzione dei pianeti, in quanto offrirebbe una visione diretta di processi che, miliardi di anni fa, potrebbero aver plasmato anche il nostro Sistema Solare: «Queste osservazioni ci danno un’incredibile opportunità di assistere alla formazione dei pianeti mentre avviene. Vedere i pianeti nell’atto di accumulare materiale ci aiuta a rispondere a domande di vecchia data su come si formano ed evolvono i sistemi planetari. È come guardare un sistema solare che si costruisce davanti ai nostri occhi», ha commentato Doug Johnstone, responsabile della ricerca presso il Centro di ricerca astronomica e astrofisica Herzberg del Consiglio nazionale delle ricerche del Canada e coautore dello studio.

[di Roberto Demaio]

Guerre e massacro in Palestina fanno volare i profitti di Leonardo: 17,8 miliardi nel 2024

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Mentre a Gaza si consuma una delle più gravi tragedie umanitarie del nostro tempo, l’industria della difesa italiana registra risultati da record. Leonardo, colosso dell’aerospazio e della sicurezza, ha infatti chiuso il 2024 con numeri che certificano una crescita impetuosa: ricavi a 17,8 miliardi di euro (+11,1%), ordini per 20,9 miliardi (+16,8%) e un margine operativo lordo (EBITDA) di 1,525 miliardi (+12,9%). Una performance che ha superato le previsioni degli analisti e che testimonia come il perdurare delle tensioni geopolitiche alimenti i profitti dell’industria bellica. In una nota diramata dall’azienda, si legge che è «di particolare rilievo l’apporto dell’elettronica per la difesa e sicurezza, sia nella componente europea, sia, in particolare, in quella statunitense, e nel business elicotteri». Un mercato su cui Leonardo continua a investire, avendo iniziato a inviare gli elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer” a Israele per l’addestramento dei suoi piloti.

Dietro questi numeri si cela una verità scomoda: il boom degli affari di Leonardo è trainato dalla crescente domanda di armamenti alimentata dai conflitti in corso, tra cui l’invasione russa dell’Ucraina e l’offensiva israeliana su Gaza. L’azienda, partecipata per il 30,2% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, ha rafforzato la sua posizione come attore chiave del settore Difesa, beneficiando degli investimenti crescenti dei governi occidentali per il riarmo. Gli ordini nel settore dell’Elettronica per la Difesa hanno raggiunto quota 10,3 miliardi, in crescita rispetto ai 9 miliardi del 2023. In forte espansione anche la divisione Cybersecurity, passata da 692 a 833 milioni di euro di ordini in un solo anno. Anche la produzione di velivoli ha registrato un balzo significativo, con una crescita del 20,8% degli ordini. Uno dei segmenti più redditizi per Leonardo è rappresentato dalla sua partecipazione in MBDA, il consorzio europeo dei missili, che fornisce armamenti a Kiev nel contesto della guerra contro la Russia.

A trainare gli affari dell’azienda è al momento anche il progetto internazionale GCAP (Global Combat Air Program), che vede l’Italia affiancata a Regno Unito e Giappone nello sviluppo di un caccia di sesta generazione, destinato a sostituire gli Eurofighter dal 2035. Lo scorso dicembre è stata siglata la joint venture paritaria che guiderà la produzione del nuovo velivolo, con Leonardo capofila per la parte italiana. A completare il quadro si aggiunge un’altra alleanza strategica: la joint venture sui droni con il colosso turco Baykar, che verrà finalizzata nelle prossime settimane. Questo accordo posiziona Leonardo in un segmento di mercato in forte espansione, con droni che giocano un ruolo sempre più centrale nelle moderne operazioni militari, come dimostrato proprio dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. L’azienda ha inoltre incrementato del 12,6% il proprio organico, assumendo quasi 7.000 nuovi lavoratori, con particolare attenzione ai giovani under 30, che oggi rappresentano il 15% dei dipendenti.

Nel frattempo, Leonardo continua a fare affari con Tel Aviv. Dopo aver consegnato nei mesi scorsi 30 aerei da addestramento M-346, l’azienda ha cominciato a inviare elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer” per addestrare i piloti della Israel Air Force (IAF) presso la base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev. Questi velivoli sostituiranno i più datati Bell-206 “Saifan”, offrendo avanzate tecnologie di avionica e capacità di volo notturno. La vendita fa parte di una serie di trattative iniziate nel 2019 e concluse nel 2022, che prevedono la fornitura di 16 elicotteri e servizi logistici per 20 anni, per un valore totale di almeno 67 milioni di dollari.

Anche il 2023 era stato chiuso da Leonardo con risultati record, registrando ordini sopra le previsioni a 17,9 miliardi di euro (+3,8%) e ricavi per un ammontare di 15,3 miliardi (+3,9% rispetto al 2022), in parte anche grazie all’aggressione a Gaza. L’importante ruolo delle armi “Made in Italy” a Gaza è stato evidenziato dagli stessi israeliani, che hanno dichiarato al sito specializzato Israel Defense che i missili che hanno colpito la Striscia provenivano anche da cannoni fabbricati in Italia e venduti a Tel Aviv. Un dato citato anche dall’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei The Weapon Watch, che ha pubblicamente smentito l’azienda, dopo che quest’ultima aveva affermato che l’esercito israeliano non stesse utilizzando mezzi di sua produzione nella carneficina di Gaza.

[di Stefano Baudino]

Esplosioni a Bat Yam, Israele rafforza le incursioni in Cisgiordania

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato l’intensificazione delle operazioni militari dell’esercito nella Cisgiordania occupata dopo che, ieri sera, tre autobus sono esplosi nella città israeliana di Bat Yam, nella periferia meridionale di Tel Aviv, senza provocare feriti. La polizia israeliana ha parlato di un tentativo di attacchi terroristici coordinati. Come riportano l’agenzia di stampa Wafa e i media locali, nelle ultime ore le forze israeliane hanno effettuato incursioni a Tulkarem e Jenin, uccidendo un uomo e danneggiando case e infrastrutture. L’IDF ha inoltre preso d’assalto il campo profughi di al-Azza a Betlemme, nella Cisgiordania meridionale.

In Europa aumenta ancora la superficie coltivata con metodo biologico

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In Europa cresce a ritmo sostenuto la percentuale di superfici agricole coltivate con metodo biologico. L’agricoltura libera dalla chimica di sintesi, interessando 17,7 milioni di ettari, ha ora raggiunto l’11% con un incremento del 3,6% rispetto al 2022. Sono questi i dati evidenziati dal documento The World of Organic Agriculture 2024, riferiti al 2023, presentati dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica, in collaborazione con la Federazione delle associazioni del biologico, alla fiera mondiale per gli alimenti biologici (Biofach).

Guardando ai singoli Paesi, la Spagna è in prima posizione, con 3 milioni di ettari, segue la Francia con 2,8 milioni di ettari. L’Italia occupa il terzo posto con 2,5 milioni di ettari, ma è prima come percentuale di Superficie Agricola Utilizzata (SAU) destinata al biologico. Quest’ultima, nello Stivale sfiora il 20%, circa il doppio della media europea. Il nostro Paese si conferma quindi leader del settore in Europa, mantenendo anche il primato per quanto riguarda il numero di produttori bio, i quali sono oltre 84.191 sui 495.000 attivi nell’intera Europa. Inoltre, l’Italia si posiziona al vertice della classifica anche per il numero di trasformatori, quasi 25.000, su un totale in Europa di 94.627. In termini di mercato, dopo un lieve calo nel 2022, è tornato positivo anche questo andamento per il Vecchio Continente, che ha raggiunto i 54,7 miliardi di euro in Europa (+3%), di cui 46,5 miliardi nell’Unione Europea (+ 2,9%). La Germania rimane il mercato principale, con vendite che si attestano a 16,1 miliardi di euro. A livello globale, L’UE si posiziona come il secondo mercato per i prodotti biologici, dopo gli Stati Uniti con 59 miliardi di euro. Sempre a livello mondiale, l’area agricola coltivata a biologico è aumentata del 2,6% nel 2023, raggiungendo un totale di 98,9 milioni di ettari, gestiti da 4,3 milioni di produttori biologici.

«L’incremento delle superfici agricole – ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio – conferma la resilienza del metodo agricolo biologico, in grado di tutelare le fertilità del suolo, salvaguardare la biodiversità, rispondere alla crisi climatica, garantendo sicurezza alimentare per le generazioni future e il giusto reddito per gli agricoltori». L’agricoltura biologica esclude infatti pesticidi e fertilizzanti sintetici, favorendo tecniche naturali o comunque non impattanti. Diversamente da quella convenzionale, garantisce una maggiore tutela degli ecosistemi portando al contempo a prodotti generalmente più sani. «Anche se le vendite hanno ripreso a crescere – ha concluso Mammuccini – occorre però continuare a spingere sui consumi, sensibilizzando ulteriormente i cittadini sui benefici che il buon cibo biologico apporta per la salute delle persone e dell’ambiente. Inoltre, per incentivare una transizione duratura verso un modello di consumo sostenibile e responsabile, è fondamentale supportare gli investimenti in ricerca e innovazione per fare del biologico il modello di riferimento per l’intero sistema agroalimentare e per orientare le strategie future della PAC post 2027».

[di Simone Valeri]

Caso Cospito, Delmastro condannato a 8 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio

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Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (FDI) è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Roma a otto mesi di reclusione per rivelazione di segreti d’ufficio. Il caso riguarda informazioni riservate su Alfredo Cospito, anarchico al 41-bis, divulgate nel febbraio 2023 dal deputato Giovanni Donzelli in Parlamento. Donzelli aveva riportato conversazioni intercettate tra Cospito e mafiosi, che Delmastro aveva ottenuto dai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Il discorso collegava tali conversazioni a una visita di parlamentari PD al carcere di Sassari, insinuando connivenze. La Procura aveva chiesto per Delmastro l’assoluzione. Le opposizioni attaccano il governo e chiedono le sue dimissioni, il ministro Nordio lo difende.

La Spagna sfida Trump: “non supereremo il 2% del PIL nelle spese per la difesa”

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Malgrado le pressioni di Trump, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha confermato i propri piani di spesa per la difesa. Nella legge di bilancio per il 2025, ancora in fase di approvazione, il Paese iberico intende destinare l’1,32% del PIL al settore, mantenendo invariata la data di raggiungimento dell’obiettivo del 2% al 2029. L’esecutivo di Madrid è stato infatti perentorio: l’unico impegno vincolante è proprio quello del 2%, fissato in via ufficiale solo nel 2022; raggiungerlo nel 2029 è più che ragionevole. «La Spagna, in quanto alleato serio, affidabile e responsabile, sa perfettamente cosa deve fare e non ha bisogno di prendere lezioni da nessuno», ha dichiarato la ministra della Difesa Margarita Robles, sfidando apertamente le minacce di Trump e le richieste dell’UE. A oggi, la Spagna è uno degli otto Paesi della NATO a non avere ancora raggiunto l’obiettivo del 2%, e tra tutti i membri dell’Alleanza Atlantica risulta quello che riserva meno spese alla difesa.

L’annuncio di Pedro Sánchez è arrivato in occasione delle discussioni relative alla legge di bilancio per il 2025, che deve ancora venire approvata. Con tale annuncio, il primo ministro ha voluto sottolineare che il piano dell’esecutivo spagnolo per il raggiungimento dell’obiettivo del 2% di spesa minima resterà lo stesso: esso prevede una iniezione annuale di circa 4 miliardi di euro di qui al 2029, per arrivare alla percentuale stabilita. La spesa del 2024, riportano i media spagnoli, ha raggiunto la cifra di 17.523 milioni di euro, mentre quella del 2025 salirà a 21.198. Nel 2026, è previsto un ulteriore aumento fino a 24.685 milioni (che dovrebbe corrispondere all’1,49% del PIL), nel 2027 fino a 28.403 (1,66%), nel 2028 fino a 32.364 (1,81%) e nel 2029 fino a 36.560.

Di preciso, il piano spagnolo prevede diversi programmi di finanziamento mirati a modernizzare i mezzi militari – tra cui sottomarini, carri armati, e navi da guerra – migliorare le infrastrutture comunicative, e aumentare la portata dei diversi programmi militari. Per aumentare la propria spesa militare, negli ultimi anni, il governo spagnolo ha fatto ricorso anche al fondo di contingenza, un fondo pubblico creato per far fronte a imprevisti o emergenze, e a crediti straordinari provenienti per esempio dal ministero dell’industria. Insomma, il rapido balzo richiesto dalla NATO, dall’UE e dall’Agenda Draghi è irrealizzabile, e il governo spagnolo sembra saperlo bene, come mostra la risposta a tono della ministra della Difesa, arrivata in occasione di un incontro coi suoi omologhi comunitari. Ancora più fuori portata le accennate richieste di Trump, che ha dichiarato che la spesa dei Paesi NATO dovrebbe arrivare fino al 5% del PIL.

L’esecutivo di Madrid sottolinea di avere già una tabella di marcia, che rispetterebbe ragionevolmente le richieste della NATO. L’idea di aumentare le spese per la difesa fino al 2% era infatti emersa nel 2014, in seguito all’annessione russa della Crimea. Quell’anno, i vertici dell’Alleanza Atlantica avevano raccomandato ai Paesi di dedicare più fondi per la difesa per arrivare a toccare la soglia del 2% nell’arco di dieci anni. Tale soglia è stata fissata in via ufficiale solo nel 2022, senza tuttavia imporre alcun limite temporale, e il suo eventuale raggiungimento entro il 2029 rispetterebbe la data di scadenza inizialmente concepita. A oggi, la Spagna resta uno dei Paesi meno militarizzati del continente e il membro dell’Alleanza Atlantica a spendere meno di tutti nel settore della difesa, come mostrano gli ultimi dati forniti dalla stessa NATO. Per il 2024, le prime proiezioni parlano di una spesa dell’1,28% che tuttavia rischia di essere ancora più bassa, vista l’ingente crescita dell’economia spagnola. Le ultime proiezioni dell’OCSE la posizionano infatti al primo posto per crescita in UE e al settimo nel mondo, con un balzo del +2,8%.

[di Dario Lucisano]

L’altro mistero di Ustica: una lunga serie di strane morti colpì chi sapeva qualcosa

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Si racconta che lo «strano incidente» in cui il tenente colonnello Sandro Marcucci morì come un tizzone umano, con gli arti inferiori e superiori amputati e il viso sfigurato, abbia avuto luogo cinque giorni dopo che questi si era presentato alla redazione di un quotidiano toscano per affidare ai giornalisti il suo dossier sulla strage di Ustica. La disgrazia, come l’ha archiviata in fretta la Procura, è capitata in un giorno di inverno di trent’anni fa a Campo Cecina sulle Alpi Apuane, alle spalle di Massa Carrara, dove le montagne corrono maestose e parallele al mare, coi loro crepacci, le g...

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Francia, restituita la base militare in Costa d’Avorio al Paese

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Oggi, giovedì 20 febbraio, la Francia ha restituito la sua unica base militare in Costa d’Avorio alle autorità locali. I ministri della Difesa francese e ivoriano hanno firmato un documento per confermare la restituzione della base, in una cerimonia in cui si è svolto il tradizionale cambio di bandiera. Il campo militare di Port-Bouet, che fiancheggia la più grande città della Costa d’Avorio, Abidjan, era sotto controllo francese dal 1978. Nella struttura sono rimasti un centinaio di uomini con lo scopo di addestrare i militari ivoriani.