lunedì 10 Marzo 2025
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Francia: attaccate postazioni dell’ISIS in Siria

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Il ministro della Difesa francese, Sébastien Lecornu, ha annunciato che il Paese ha effettuato una serie di attacchi missilistici in Siria, prendendo di mira i siti del gruppo dello Stato Islamico (ISIS). Gli attacchi sono stati portati avanti la scorsa domenica e seguono un’analoga offensiva militare condotta dagli Stati Uniti in Siria, che, riporta la stessa Washington, avrebbe ucciso due agenti di Daesh. Lecornu ha comunicato all’agenzia di stampa AFP che per l’operazione sono stati usati i caccia Rafale francesi e i droni Reaper di fabbricazione USA. A venire colpiti, due obiettivi militari nella Siria centrale.

Tunisia, naufraga barcone: morti 2 migranti, tra cui un bimbo

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Le autorità tunisine hanno annunciato di aver soccorso e tratto in salvo 17 migranti e recuperato i corpi senza vita di altre due persone, tra cui un bambino di 5 anni, che viaggiavano a bordo di un’imbarcazione naufragata al largo delle coste del Paese. In una nota della Direzione generale della Guardia nazionale si legge che unità marittime operanti nella regione settentrionale e la Marina tunisina hanno risposto a una richiesta di soccorso da parte di un’imbarcazione che trasportava 19 persone, tutte tunisine. Quattro soggetti sospettati di essere coinvolti nell’organizzazione del viaggio sono stati tratti in arresto.

Cuba, il Davide che resiste a Golia da oltre 60 anni continua a ispirare l’America Latina

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Chi conosce il continente latinoamericano sa bene che la sua storia è fatta di eccessi e di grandi passioni. La più grande di queste è certamente Cuba, ancora oggi un faro per i governi progressisti della regione che cercano una via nazionale di sviluppo alternativo e socialista, primo esempio in tal senso e ancora solido nel suo ruolo di guida. Nel contesto americano, e soprattutto latinoamericano, Cuba occupa una posizione unica. Tolto il Messico e le Bahamas, è geograficamente il Paese più vicino agli Stati Uniti, mentre a livello ideologico e politico è difficile trovarne uno più distante....

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La nuova mossa securitaria del Viminale: zone vietate a chi ha precedenti penali nelle città

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Dopo la notizia dell’introduzione di una serie di “zone rosse” a Milano da parte della prefettura, il Viminale ha chiesto alle amministrazioni locali di tutta Italia di varare un’analoga misura per Capodanno. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha infatti inviato una direttiva ai prefetti per spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuino le aree urbane dove vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali, disponendone l’allontanamento. Il ricorso alle “zone rosse” viene giustificato dal Viminale come una misura volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini. Eppure, alla lettura dell’ordinanza e del comunicato che l’ha annunciata, emergono la vaghezza dei criteri tratteggiati dal dicastero per l’individuazione delle persone “pericolose” e l’ampia discrezionalità garantita a tal fine alle forze dell’ordine.

In un comunicato, il Ministero dell’Interno ha reso noto che, lo scorso 17 dicembre, il ministro Piantedosi ha inviato una direttiva ai prefetti «per sottolineare l’importanza di individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove vietare la presenza di soggetti pericolosi o con precedenti penali e poterne quindi disporre l’allontanamento». Di fatto, la direttiva invita dunque i prefetti a sfruttare tutte le possibilità del cosiddetto “daspo urbano”, misura inserita nel decreto legge n. 14 del 2017 che prevede un ordine di allontanamento per le persone che «impediscono l’accessibilità e la fruizione» di luoghi pubblici come stazioni ferroviarie o fermate di mezzi pubblici, estendendo il suo ambito di applicazione per la determinazione delle “zone rosse”. Questo strumento è in vigore a Milano per Capodanno e fino al 31 marzo, avendo già visto una sua prima applicazione a Firenze e Bologna, dove in 3 mesi sono stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su 14mila persone controllate. Il Ministero delinea le finalità del ricorso alle “zone rosse” anche in altre città, che potranno essere estese a «zone della movida, caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali e dove si registrano spesso episodi di microcriminalità (furti, rapine), violenza (risse, aggressioni), vandalismo, abuso di alcol e degrado», spiegando che esso rientra «nella più ampia strategia volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici da parte dei cittadini».

Eppure, è evidente la discrezionalità delle misure adottate, data l’ampiezza dello spettro degli individui ritenuti passibili di allontanamento dalle “zone rosse”. Nella nota si comunica infatti che si tratterà di «soggetti pericolosi o con precedenti penali»: la possibilità di allontanare individui con precedenti figura però all’interno del DDL Sicurezza – provvedimento che non ha ancora ottenuto il definitivo via libera dal Parlamento – che, come la stessa direttiva di Piantedosi evidenzia, «reca un’ulteriore estensione del divieto di accesso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano». La fumosità della direttiva si coglie ancora meglio nel passaggio successivo, ove si legge che «la misura del divieto di accesso dovrà essere disposta ogni qual volta il comportamento del soggetto risulti concretamente indicativo del pericolo che la sua presenza può ingenerare per i fruitori della struttura».

A scagliarsi contro l’ordinanza della prefettura di Milano entrata in vigore ieri – quando ancora non si conoscevano i contenuti della direttiva di Piantedosi – sono stati gli avvocati della camera penale del capoluogo lombardo. Questi ultimi hanno criticato il provvedimento si dicano allarmati dal fatto che «diritti tutelati a livello costituzionale e convenzionale» siano «compressi con provvedimenti dai contenuti tutt’altro che tipici che rimandano a categorie impalpabili (atteggiamenti aggressivi? Concreto pericolo per la sicurezza pubblica?), e di durata non corrispondente alle presunte ragioni di urgenza legittimanti il provvedimento di natura eccezionale», intervenendo «su libertà fondamentali del cittadino». Secondo gli avvocati, il fatto che tali provvedimenti «si rivolgano contro persone destinatarie di mera segnalazione all’autorità giudiziaria» sia un dato «altrettanto preoccupante, contrario al principio della presunzione di non colpevolezza e peraltro anche al buon senso, trattandosi in diversi casi di tipologie di reato perseguibili a querela suscettibile di remissione». In ultimo, i firmatari della nota manifestano sorpresa per l’adozione del provvedimento da parte della Prefettura nonostante analoghe ordinanze «siano state annullate dai giudici amministrativi».

[di Stefano Baudino]

La battaglia per Assange non è finita: al via la petizione per chiederne la grazia

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Sono passati sei mesi dalla liberazione di Julian Assange. Dopo 14 anni dall’inizio della sua personale Odissea, si può dire che il peggio sia passato, ma la sua battaglia non è certamente finita. Sulla sua persona grava infatti una condanna a cinque anni di carcere, derivata dal patteggiamento con le autorità statunitensi. Il fatto non è da sottovalutare: la condanna non ha solo un valore simbolico, ma comporta pesanti conseguenze per le libertà di stampa e di parola. La sentenza contro Assange crea infatti un pericoloso precedente giuridico, che apre la strada a potenziali applicazioni della legge statunitense sull’intelligence, permettendo agli investigatori di Washington di perseguire – e ai tribunali di condannare – giornalisti ed editori che osano divulgare la verità. A venire colpita è l’intera catena del giornalismo investigativo, perché la decisione dei giudici «criminalizza ogni aspetto del comunicare con una fonte, dal possedere informazioni riservate al pubblicarle». È per questo che la campagna Free Assange ha lanciato una piattaforma e una raccolta firme – attiva anche in Italia – per chiedere a Biden la concessione della grazia al giornalista australiano. Ne abbiamo parlato con Gabriel Shipton, fratello di Assange.

L’idea di chiedere a Biden la concessione della grazia per Julian Assange è sorta in occasione di un viaggio di Gabriel Shipton negli Stati Uniti. «Mi trovavo a Washington», racconta Gabriel a L’Indipendente, «dove ho avuto modo di parlare con molti dei sostenitori di Julian presso il Congresso». La battaglia per la liberazione di Assange ha dato vita a un movimento composito ed estraneo al sistema politico tradizionale: tra le mura delle istituzioni statunitensi, esso ha coinvolto singoli individui di entrambe le sponde politiche, senza mai costituire una coalizione ampia e strutturata. Tra i membri del Congresso c’è chi si è chiesto cosa si potesse fare per evitare che il caso di Assange diventasse la storia di tutti: è così stata messa sul tavolo l’opzione di chiedere la grazia. Tutto è partito quando il democratico James McGovern e il repubblicano Thomas Massie hanno scritto una lettera congiunta al presidente chiedendogli di graziare Assange. Così «abbiamo messo in piedi un sito web dove si può inviare una mail al presidente Biden e alla persona incaricata dei perdoni. Ora ci resta poco meno di un mese prima dell’insediamento di Trump, il 20 gennaio».

La piattaforma ha raccolto più di 30.000 firme ed è attiva su più domini (il dominio di primo livello è la parte finale di un sito internet che indica il tipo o la posizione del sito, come per esempio “.it”, “.com”, “.org”…), tra cui quello australiano; ma perché è così importante che Assange riceva la grazia? «Il fatto è che la sentenza del giudice non riguarda solo Julian», ci risponde Gabriel, interrogato sulla questione. «Sì, lui ha qualche limitazione, ma le cose più preoccupanti sono le limitazioni della libertà di parola e della libertà giornalistica: con il patteggiamento si permette ai procuratori e agli investigatori statunitensi di indagare su qualsiasi giornalista e qualsiasi editore, ovunque nel mondo, che abbia fatto il proprio lavoro, esponendo i segreti del governo». Assange è stato condannato a 62 mesi sulla base dell’Espionage Act, una legge federale che penalizza l’ottenimento e la divulgazione non autorizzata di informazioni relative alla difesa nazionale. Si tratta della prima volta in cui la legge sull’intelligence, originariamente concepita per colpire spie e persone che diffondevano segreti militari durante la Prima Guerra Mondiale, viene applicata contro un individuo attivo nel settore dell’informazione, colpendo l’intera catena del giornalismo investigativo.

La condanna contro Assange costituisce un «pericoloso precedente» da utilizzare in sede giuridica per avviare indagini nei confronti di individui che intendono scoperchiare scomode verità; essa «apre la strada a una potenziale condanna a cinque anni di prigione per chiunque sia colpito da accuse analoghe a quelle che pendevano su di lui». In questo, «la condanna di Julian limita la libertà dei media e la libertà di pubblicare in giro per il mondo, così come limita il nostro diritto di sapere cosa stanno facendo i nostri governi in nostro nome: essa riguarda tutti noi, non solo i giornalisti, non solo gli editori, ma ogni cittadino impegnato in tutto il mondo». È per questo che la piattaforma lanciata è aperta a tutti, cittadini statunitensi e non, in modo che «l’ufficio del presidente prenda nota del supporto globale che c’è per Julian». Il movimento sta premendo anche sul primo ministro australiano, perché faccia pressione per Assange durante la chiamata di addio a Biden. La stagione dei perdoni è appena entrata nel vivo. Visto il gran numero di clemenze elargite da Biden, la campagna a sostegno di Assange è fiduciosa in una sua buona riuscita: «Prima della sentenza, la retorica dell’amministrazione è sempre stata quella del non volere interferire con il Dipartimento di Giustizia. Ora che il processo è terminato, dipende tutto da Biden: può schierarsi a favore della libertà di stampa o contro di essa».

[di Dario Lucisano]

Corea del Sud, approvato il mandato di arresto per il presidente Yoon

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Dopo la richiesta pervenuta ieri dagli investigatori sudcoreani, un tribunale ha approvato l’emissione di un mandato di arresto nei confronti dell’ex presidente della Corea del Sud Yoon Suk Yeol, in seguito al tentativo di imporre la legge marziale lo scorso 3 dicembre. Il mandato di arresto si basa sulle accuse di insurrezione, tradimento, e abuso di potere, e segue la mancata risposta alle convocazioni per gli interrogatori da parte di Yoon. Nel caso in cui Yoon venisse incriminato, rischierebbe l’ergastolo o la pena di morte. Il mandato di arresto è valido fino al 6 gennaio, ma non è ancora noto come e quando verrà eseguito.

La Cina ha completato i lavori della Grande Muraglia Verde

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muraglia verde cinese

La Cina ha annunciato il completamento, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang, di una cintura di alberi e arbusti lunga 3.046 chilometri, progettata per circondare il Taklimakan, il deserto più grande del Paese. Ribattezzato "Grande Muraglia Verde", il progetto ha previsto la piantumazione di alberi come salici rossi e saxaul con l'obiettivo di rallentare la desertificazione, che trasforma terreni fertili in aree aride, mettendo a rischio il sostentamento delle comunità locali e della fauna che vi abita. Gli alberi fungeranno infatti da barriera naturale contro le tempeste di sabbia e i...

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Prove di pace tra Turchia e PKK: dopo 10 anni rotto l’isolamento del leader curdo Ocalan

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Due deputati del partito filocurdo presente nel Parlamento turco, il DEM, hanno potuto visitare il leader del PKK, Abdullah Öcalan, detenuto in isolamento nell’isola-prigione di Imrali da 25 anni. La visita segna la possibile ripresa dei colloqui di pace tra il governo turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, protagonista di una lotta armata in Turchia per l’autonomia del Kurdistan e guida delle Forze Democratiche Siriane, che autogovernano le zone curde della Siria. Secondo quanto riportato dai deputati che lo hanno incontrato, Öcalan, apparso in «buona salute e di alto morale», ha dichiarato che il processo di pace tra Turchia e PKK «non può più essere rimandato» e di essere «pronto a compiere i passi positivi necessari». L’incontro segue le recenti aperture del premier turco, Recep Tayyip Erdoğan, che ha parlato di una «finestra storica di opportunità» per porre fine al conflitto. Il PKK è considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dagli alleati occidentali. La guerra a bassa intensità tra lo Stato turco e le milizie curde ha provocato circa 40.000 morti dal 1984 a oggi.

L’incontro tra i deputati di DEM e il leader del PKK si è tenuto sabato 28 dicembre, presso il carcere dell’isola di Imrali, a sud di Istanbul, dove Öcalan sta scontando l’ergastolo dal 1999. Durante l’incontro, il fondatore del PKK ha rilanciato la questione curda e i canali di dialogo con la Turchia: «Rafforzare ancora una volta la fratellanza turco-curda non è solo una responsabilità storica, ma anche una questione di grande urgenza e importanza cruciale per tutti i popoli», si legge in un comunicato rilasciato da DEM che riporta le parole di Öcalan. Il fondatore del PKK ha così lanciato un appello a «tutti i gruppi politici in Turchia» affinché «prendano l’iniziativa senza far prevalere i propri interessi ristretti e a breve termine, agiscano in modo costruttivo e contribuiscano positivamente», specialmente entro le mura della Grande Assemblea Nazionale Turca, l’organo parlamentare unicamerale del Paese, che detiene il potere legislativo. Nel comunicato, Öcalan parla anche dell’attuale situazione nella regione, e in particolare in Siria e Palestina, che dimostrerebbe «che la soluzione di questi problemi, che gli interventi esterni cercano di trasformare in un problema cronico, non può più essere rimandata». Il leader del PKK apre «alla nuova prospettiva sostenuta da Bahçeli ed Erdoğan», e chiude le proprie considerazioni lanciando un appello: «È tempo di pace, democrazia e fratellanza per la Turchia e la regione».

Quella di sabato è la prima visita a Öcalan degli ultimi nove anni e mezzo: l’ultima risale all’aprile del 2015, quando il leader di HDP (Partito Democratico dei Popoli) e altri membri di spicco del partito, che oggi è di fatto stato soppiantato in assemblea da DEM, terza forza per numero di parlamentari, si recarono a incontrarlo. L’incontro si colloca sulla scia di un’apertura al dialogo da parte di alcuni alleati di Erdoğan, primo fra tutti Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, il più grande alleato esterno del presidente turco. A proporre l’incontro, lo scorso 26 novembre, è stato proprio Bahçeli: egli ha consigliato a Erdoğan di aprire un colloquio con Öcalan per porre fine al conflitto che dura da oltre trent’anni, suggerendo la possibilità di liberare il fondatore del PKK in cambio di un suo eventuale ordine di deporre le armi. Erdoğan ha reagito positivamente agli spunti dell’alleato, definendo i suoi suggerimenti una «finestra storica di opportunità», affermando poi di condividere la posizione di Bahçeli. A questa apparente apertura sono seguite la decisione turca di avviare un piano di sviluppo regionale da 14 miliardi di dollari per ridurre il divario economico tra la regione a maggioranza curda e il resto del Paese, e parole di fratellanza da parte di funzionari come Mehmet Uçum: «I curdi sono una parte inseparabile della Turchia e sono i fondatori del popolo turco. Questo secolo è il secolo dei turchi e dei curdi».

In molti ritengono che il tentativo di pacificazione turco sia dovuto all’attuale situazione mediorientale. La proposta di Bahçeli è arrivata il giorno prima dell’inizio delle incursioni di HTS in Siria e in parallelo all’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano, mentre a Gaza continuava a consumarsi il genocidio del popolo palestinese. A tal proposito c’è chi ritiene, come l’accademico Yektan Turkyilmaz, che Erdoğan voglia da una parte cogliere l’opportunità per allentare la pressione lungo il confine siriano e dall’altra impedire ai curdi di intessere nuove alleanze regionali. C’è chi, invece, riporta il canale mediatico curdo Kurdistan News 24, ritiene che Erdoğan si sia reso conto di non poter conquistare il Rojava, e abbia così deciso di concedere a DEM di vedere Öcalan come «parte di una nuova tattica per ingannare nuovamente i curdi». In ogni caso, non sembra che da questi primi abbozzati tentativi di colloquio, la Turchia stia prendendo in considerazione l’opzione di darla vinta ai separatisti; lo stesso Uçum ha infatti dichiarato: «La tesi delle due nazioni è funzionale alla strategia degli imperialisti ed è un tentativo di spartizione della Turchia».

[di Dario Lucisano]

Trinidad e Tobago dichiara lo stato di emergenza

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Il Paese caraibico di Trinidad e Tobago ha dichiarato lo stato di emergenza, in risposta a una rapida escalation di violenza tra gang rivali. La nazione caraibica intende sfruttare lo stato di emergenza per lanciare un’operazione per reprimere le bande locali, rafforzando i poteri delle forze dell’ordine del Paese. La decisione arriva dopo che un gruppo di uomini armati ha sparato al leader di una banda che stava lasciando la stazione di polizia, uccidendo una persona che lo accompagnava. Domenica sera, cinque uomini sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco in quello che si ritiene essere un atto di ritorsione.

Come la spiritualità orientale è diventata un prodotto commerciale

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Arredamento in stile zen, dieta zen, moda zen, mindfulness per lo shopping, mindfulness nel trading, ricette yoga: queste sono solo alcune delle innumerevoli voci che si trovano sui motori di ricerca, dove la spiritualità viene sempre trasformata in uno strumento di marketing. Negli ultimi anni, i prodotti legati alle pratiche di benessere hanno conosciuto un boom senza precedenti. Da libri, corsi e masterclass, a oggettistica di ogni tipo, capi di abbigliamento, pezzi d’arredamento e persino pacchetti vacanze, tutti contraddistinti da termini pseudoreligiosi ispirati da un qualche credo mille...

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