Il ministro della Difesa francese, Sébastien Lecornu, ha annunciato che il Paese ha effettuato una serie di attacchi missilistici in Siria, prendendo di mira i siti del gruppo dello Stato Islamico (ISIS). Gli attacchi sono stati portati avanti la scorsa domenica e seguono un’analoga offensiva militare condotta dagli Stati Uniti in Siria, che, riporta la stessa Washington, avrebbe ucciso due agenti di Daesh. Lecornu ha comunicato all’agenzia di stampa AFP che per l’operazione sono stati usati i caccia Rafale francesi e i droni Reaper di fabbricazione USA. A venire colpiti, due obiettivi militari nella Siria centrale.
Tunisia, naufraga barcone: morti 2 migranti, tra cui un bimbo
Le autorità tunisine hanno annunciato di aver soccorso e tratto in salvo 17 migranti e recuperato i corpi senza vita di altre due persone, tra cui un bambino di 5 anni, che viaggiavano a bordo di un’imbarcazione naufragata al largo delle coste del Paese. In una nota della Direzione generale della Guardia nazionale si legge che unità marittime operanti nella regione settentrionale e la Marina tunisina hanno risposto a una richiesta di soccorso da parte di un’imbarcazione che trasportava 19 persone, tutte tunisine. Quattro soggetti sospettati di essere coinvolti nell’organizzazione del viaggio sono stati tratti in arresto.
La nuova mossa securitaria del Viminale: zone vietate a chi ha precedenti penali nelle città
Dopo la notizia dell’introduzione di una serie di “zone rosse” a Milano da parte della prefettura, il Viminale ha chiesto alle amministrazioni locali di tutta Italia di varare un’analoga misura per Capodanno. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha infatti inviato una direttiva ai prefetti per spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuino le aree urbane dove vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali, disponendone l’allontanamento. Il ricorso alle “zone rosse” viene giustificato dal Viminale come una misura volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini. Eppure, alla lettura dell’ordinanza e del comunicato che l’ha annunciata, emergono la vaghezza dei criteri tratteggiati dal dicastero per l’individuazione delle persone “pericolose” e l’ampia discrezionalità garantita a tal fine alle forze dell’ordine.
In un comunicato, il Ministero dell’Interno ha reso noto che, lo scorso 17 dicembre, il ministro Piantedosi ha inviato una direttiva ai prefetti «per sottolineare l’importanza di individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove vietare la presenza di soggetti pericolosi o con precedenti penali e poterne quindi disporre l’allontanamento». Di fatto, la direttiva invita dunque i prefetti a sfruttare tutte le possibilità del cosiddetto “daspo urbano”, misura inserita nel decreto legge n. 14 del 2017 che prevede un ordine di allontanamento per le persone che «impediscono l’accessibilità e la fruizione» di luoghi pubblici come stazioni ferroviarie o fermate di mezzi pubblici, estendendo il suo ambito di applicazione per la determinazione delle “zone rosse”. Questo strumento è in vigore a Milano per Capodanno e fino al 31 marzo, avendo già visto una sua prima applicazione a Firenze e Bologna, dove in 3 mesi sono stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su 14mila persone controllate. Il Ministero delinea le finalità del ricorso alle “zone rosse” anche in altre città, che potranno essere estese a «zone della movida, caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali e dove si registrano spesso episodi di microcriminalità (furti, rapine), violenza (risse, aggressioni), vandalismo, abuso di alcol e degrado», spiegando che esso rientra «nella più ampia strategia volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici da parte dei cittadini».
Eppure, è evidente la discrezionalità delle misure adottate, data l’ampiezza dello spettro degli individui ritenuti passibili di allontanamento dalle “zone rosse”. Nella nota si comunica infatti che si tratterà di «soggetti pericolosi o con precedenti penali»: la possibilità di allontanare individui con precedenti figura però all’interno del DDL Sicurezza – provvedimento che non ha ancora ottenuto il definitivo via libera dal Parlamento – che, come la stessa direttiva di Piantedosi evidenzia, «reca un’ulteriore estensione del divieto di accesso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano». La fumosità della direttiva si coglie ancora meglio nel passaggio successivo, ove si legge che «la misura del divieto di accesso dovrà essere disposta ogni qual volta il comportamento del soggetto risulti concretamente indicativo del pericolo che la sua presenza può ingenerare per i fruitori della struttura».
A scagliarsi contro l’ordinanza della prefettura di Milano entrata in vigore ieri – quando ancora non si conoscevano i contenuti della direttiva di Piantedosi – sono stati gli avvocati della camera penale del capoluogo lombardo. Questi ultimi hanno criticato il provvedimento si dicano allarmati dal fatto che «diritti tutelati a livello costituzionale e convenzionale» siano «compressi con provvedimenti dai contenuti tutt’altro che tipici che rimandano a categorie impalpabili (atteggiamenti aggressivi? Concreto pericolo per la sicurezza pubblica?), e di durata non corrispondente alle presunte ragioni di urgenza legittimanti il provvedimento di natura eccezionale», intervenendo «su libertà fondamentali del cittadino». Secondo gli avvocati, il fatto che tali provvedimenti «si rivolgano contro persone destinatarie di mera segnalazione all’autorità giudiziaria» sia un dato «altrettanto preoccupante, contrario al principio della presunzione di non colpevolezza e peraltro anche al buon senso, trattandosi in diversi casi di tipologie di reato perseguibili a querela suscettibile di remissione». In ultimo, i firmatari della nota manifestano sorpresa per l’adozione del provvedimento da parte della Prefettura nonostante analoghe ordinanze «siano state annullate dai giudici amministrativi».
[di Stefano Baudino]
Corea del Sud, approvato il mandato di arresto per il presidente Yoon
Dopo la richiesta pervenuta ieri dagli investigatori sudcoreani, un tribunale ha approvato l’emissione di un mandato di arresto nei confronti dell’ex presidente della Corea del Sud Yoon Suk Yeol, in seguito al tentativo di imporre la legge marziale lo scorso 3 dicembre. Il mandato di arresto si basa sulle accuse di insurrezione, tradimento, e abuso di potere, e segue la mancata risposta alle convocazioni per gli interrogatori da parte di Yoon. Nel caso in cui Yoon venisse incriminato, rischierebbe l’ergastolo o la pena di morte. Il mandato di arresto è valido fino al 6 gennaio, ma non è ancora noto come e quando verrà eseguito.
Prove di pace tra Turchia e PKK: dopo 10 anni rotto l’isolamento del leader curdo Ocalan
Due deputati del partito filocurdo presente nel Parlamento turco, il DEM, hanno potuto visitare il leader del PKK, Abdullah Öcalan, detenuto in isolamento nell’isola-prigione di Imrali da 25 anni. La visita segna la possibile ripresa dei colloqui di pace tra il governo turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, protagonista di una lotta armata in Turchia per l’autonomia del Kurdistan e guida delle Forze Democratiche Siriane, che autogovernano le zone curde della Siria. Secondo quanto riportato dai deputati che lo hanno incontrato, Öcalan, apparso in «buona salute e di alto morale», ha dichiarato che il processo di pace tra Turchia e PKK «non può più essere rimandato» e di essere «pronto a compiere i passi positivi necessari». L’incontro segue le recenti aperture del premier turco, Recep Tayyip Erdoğan, che ha parlato di una «finestra storica di opportunità» per porre fine al conflitto. Il PKK è considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dagli alleati occidentali. La guerra a bassa intensità tra lo Stato turco e le milizie curde ha provocato circa 40.000 morti dal 1984 a oggi.
L’incontro tra i deputati di DEM e il leader del PKK si è tenuto sabato 28 dicembre, presso il carcere dell’isola di Imrali, a sud di Istanbul, dove Öcalan sta scontando l’ergastolo dal 1999. Durante l’incontro, il fondatore del PKK ha rilanciato la questione curda e i canali di dialogo con la Turchia: «Rafforzare ancora una volta la fratellanza turco-curda non è solo una responsabilità storica, ma anche una questione di grande urgenza e importanza cruciale per tutti i popoli», si legge in un comunicato rilasciato da DEM che riporta le parole di Öcalan. Il fondatore del PKK ha così lanciato un appello a «tutti i gruppi politici in Turchia» affinché «prendano l’iniziativa senza far prevalere i propri interessi ristretti e a breve termine, agiscano in modo costruttivo e contribuiscano positivamente», specialmente entro le mura della Grande Assemblea Nazionale Turca, l’organo parlamentare unicamerale del Paese, che detiene il potere legislativo. Nel comunicato, Öcalan parla anche dell’attuale situazione nella regione, e in particolare in Siria e Palestina, che dimostrerebbe «che la soluzione di questi problemi, che gli interventi esterni cercano di trasformare in un problema cronico, non può più essere rimandata». Il leader del PKK apre «alla nuova prospettiva sostenuta da Bahçeli ed Erdoğan», e chiude le proprie considerazioni lanciando un appello: «È tempo di pace, democrazia e fratellanza per la Turchia e la regione».
Quella di sabato è la prima visita a Öcalan degli ultimi nove anni e mezzo: l’ultima risale all’aprile del 2015, quando il leader di HDP (Partito Democratico dei Popoli) e altri membri di spicco del partito, che oggi è di fatto stato soppiantato in assemblea da DEM, terza forza per numero di parlamentari, si recarono a incontrarlo. L’incontro si colloca sulla scia di un’apertura al dialogo da parte di alcuni alleati di Erdoğan, primo fra tutti Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, il più grande alleato esterno del presidente turco. A proporre l’incontro, lo scorso 26 novembre, è stato proprio Bahçeli: egli ha consigliato a Erdoğan di aprire un colloquio con Öcalan per porre fine al conflitto che dura da oltre trent’anni, suggerendo la possibilità di liberare il fondatore del PKK in cambio di un suo eventuale ordine di deporre le armi. Erdoğan ha reagito positivamente agli spunti dell’alleato, definendo i suoi suggerimenti una «finestra storica di opportunità», affermando poi di condividere la posizione di Bahçeli. A questa apparente apertura sono seguite la decisione turca di avviare un piano di sviluppo regionale da 14 miliardi di dollari per ridurre il divario economico tra la regione a maggioranza curda e il resto del Paese, e parole di fratellanza da parte di funzionari come Mehmet Uçum: «I curdi sono una parte inseparabile della Turchia e sono i fondatori del popolo turco. Questo secolo è il secolo dei turchi e dei curdi».
In molti ritengono che il tentativo di pacificazione turco sia dovuto all’attuale situazione mediorientale. La proposta di Bahçeli è arrivata il giorno prima dell’inizio delle incursioni di HTS in Siria e in parallelo all’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano, mentre a Gaza continuava a consumarsi il genocidio del popolo palestinese. A tal proposito c’è chi ritiene, come l’accademico Yektan Turkyilmaz, che Erdoğan voglia da una parte cogliere l’opportunità per allentare la pressione lungo il confine siriano e dall’altra impedire ai curdi di intessere nuove alleanze regionali. C’è chi, invece, riporta il canale mediatico curdo Kurdistan News 24, ritiene che Erdoğan si sia reso conto di non poter conquistare il Rojava, e abbia così deciso di concedere a DEM di vedere Öcalan come «parte di una nuova tattica per ingannare nuovamente i curdi». In ogni caso, non sembra che da questi primi abbozzati tentativi di colloquio, la Turchia stia prendendo in considerazione l’opzione di darla vinta ai separatisti; lo stesso Uçum ha infatti dichiarato: «La tesi delle due nazioni è funzionale alla strategia degli imperialisti ed è un tentativo di spartizione della Turchia».
[di Dario Lucisano]
Trinidad e Tobago dichiara lo stato di emergenza
Il Paese caraibico di Trinidad e Tobago ha dichiarato lo stato di emergenza, in risposta a una rapida escalation di violenza tra gang rivali. La nazione caraibica intende sfruttare lo stato di emergenza per lanciare un’operazione per reprimere le bande locali, rafforzando i poteri delle forze dell’ordine del Paese. La decisione arriva dopo che un gruppo di uomini armati ha sparato al leader di una banda che stava lasciando la stazione di polizia, uccidendo una persona che lo accompagnava. Domenica sera, cinque uomini sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco in quello che si ritiene essere un atto di ritorsione.