lunedì 10 Marzo 2025
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Come la spiritualità orientale è diventata un prodotto commerciale

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Arredamento in stile zen, dieta zen, moda zen, mindfulness per lo shopping, mindfulness nel trading, ricette yoga: queste sono solo alcune delle innumerevoli voci che si trovano sui motori di ricerca, dove la spiritualità viene sempre trasformata in uno strumento di marketing. Negli ultimi anni, i prodotti legati alle pratiche di benessere hanno conosciuto un boom senza precedenti. Da libri, corsi e masterclass, a oggettistica di ogni tipo, capi di abbigliamento, pezzi d’arredamento e persino pacchetti vacanze, tutti contraddistinti da termini pseudoreligiosi ispirati da un qualche credo mille...

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Hacker colpiscono InfoCert, azienda specializzata in SPID e identità digitali

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InfoCert, una delle principali fornitrici europee di identità digitali, è caduta vittima di un attacco hacker, con i dati sottratti che sono ormai in vendita sul web. L’incidente rappresenta una potenziale violazione della sicurezza informatica e della privacy ed è stato individuato il 27 dicembre. Tuttavia, non risulta che la società abbia ancora notificato formalmente l’accaduto al Garante della Privacy, il quale sarà chiamato a esaminare la vicenda per individuare eventuali criticità, negligenze e responsabilità.

La notizia dell’attacco è emersa inizialmente da un comunicato distribuito direttamente sul portale di InfoCert. La decisione di rendere pubblica l’informazione sembra essere stata dettata dalla necessità di rispondere alla circolazione delle notizie emerse sui siti di pirateria informatica, dove i dati rubati erano già stati resi disponibili. Nel comunicato, InfoCert ha confermato “la pubblicazione non autorizzata di dati personali relativi a clienti censiti”. L’azienda ha dunque tenuto a precisare più volte che la violazione non è stata causata da falle interne, ma da una vulnerabilità legata a un fornitore terzo. In particolare, InfoCert ha sottolineato che l’attacco “non ha però compromesso l’integrità dei sistemi di InfoCert” e che “nessuna credenziale di accesso ai servizi InfoCert e/o password di accesso agli stessi è stata compromessa in tale attacco”.

Questa precisazione potrebbe rappresentare un tentativo di rassicurare clienti e partner sul fatto che i servizi principali dell’azienda restano sicuri, tuttavia la compromissione di dati personali, anche se indiretta, costituirebbe comunque una violazione grave. Ancor più se si considera che la dichiarazione non trova pieno riscontro nelle comunicazioni espresse dagli hacker. Secondo un annuncio emerso su di un forum specializzato in fughe di dati, l’azienda subappaltante si sarebbe vista sottrarre 5,5 milioni di record. Tra questi, 1,1 milioni di numeri telefonici e 2,5 milioni di email, elementi che possono fare concretamente parte delle credenziali di accesso a SPID, PEC e la firma digitale, ovvero i servizi offerti da InfoCert. Complessivamente, si teorizza che il pacchetto dati contenga anche nomi, cognomi, codici fiscali, tutti trafugati da un archivio associabile al Ticketing System, una soluzione che viene tipicamente adoperata nel campo dell’assistenza ai clienti. Il tutto viene offerto sul banco in un singolo blocco, alla cifra di 1.500 dollari.

In passato, InfoCert era già stata ritenuta carente nel campo della sicurezza. Il 9 maggio 2024, il Garante della Privacy aveva infatti emesso un provvedimento – in attesa del giudizio di opposizione – relativo a criticità riscontrate nel 2019 nella gestione delle caselle di posta elettronica certificata dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Secondo quanto riportato dall’autorità, InfoCert non avrebbe adottato all’epoca le misure adeguate per garantire un trattamento dei dati conforme ai regolamenti europei. 

InfoCert è classificata come Qualified Trust Service Provider (QTSP), ovvero una fornitrice di servizi fiduciari qualificati, ed è anche un Identity Provider di rilevanza internazionale. Che una realtà tanto accreditata sia stata coinvolta in una fuga di dati di tale portata solleva inevitabilmente riflessioni importanti sulla gestione dei dati sensibili da parte delle aziende. Tra gli aspetti da approfondire emergono la tendenza a subappaltare archivi delicati, la necessità di maggiore trasparenza nelle notifiche di incidenti e, soprattutto, la “responsabilizzazione” dei gestori nel caso di problemi, ancor più se si considera che simili problematiche non possono che ledere la fiducia del pubblico e danneggiare coloro che già si affidano a simili strumenti.

[di Walter Ferri]

 

Ucraina, dagli USA altri 2,5 miliardi di aiuti

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Gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, per un valore di 2,5 miliardi di dollari. «Oggi sono orgoglioso di annunciare quasi 2 miliardi e mezzo di dollari in assistenza alla sicurezza per l’Ucraina, mentre il popolo ucraino continua a difendere la propria indipendenza e libertà dall’aggressione russa», ha dichiarato il presidente Joe Biden, la cui amministrazione si affretta ad aumentare il sostegno al governo ucraino prima che il presidente eletto Donald Trump entri in carica. Biden ha affermato che il dipartimento della Difesa consegnerà a Kiev «centinaia di migliaia di proiettili di artiglieria, migliaia di razzi e centinaia di veicoli blindati».

Guerra del gas: dal primo gennaio l’Europa rischia di rimanere senza gas russo

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Dopo quasi tre anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, prosegue la guerra del gas che vede contrapposte Russia e Europa: quest’ultima, a partire dal prossimo primo gennaio, potrebbe restare quasi completamente a corto di gas russo, in quanto scade a fine anno l’accordo quinquennale per il trasporto in Europa del gas proveniente dal gigante eurasiatico attraverso il gasdotto russo-ucraino. Kiev ha rifiutato di estendere l’accordo, poiché ha dichiarato di non volere sostenere finanziariamente la macchina bellica di Mosca. Tuttavia, l’interruzione delle importazioni di gas russo tramite l’Ucraina rischia di mettere in difficoltà diversi Paesi europei, tra cui i più colpiti saranno Slovacchia, Italia, Austria e Repubblica Ceca. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, infatti, diversi Paesi europei ricevono ancora un quantitativo importante, sebbene ridotto rispetto al periodo precedente lo scoppio del conflitto, di gas russo e, in particolare, il flusso che arriva dal gasdotto ucraino rappresenta circa la metà delle esportazioni totali di metano dalla Russia verso l’Europa. La scadenza del contratto non ha provocato solo tensioni diplomatiche tra il primo ministro Slovacco Robert Fico – che vorrebbe che l’Ucraina prorogasse il contratto – e il presidente di Kiev, Volodymyr Zelensky, ma ha anche avuto effetti sul prezzo dei future sul gas, che è tornato, con un balzo del 3,6%, sopra quota 45 euro, proprio a causa della scadenza imminente dell’accordo – stipulato prima del 2022 – tra i due Paesi in guerra. Il contesto mette in evidenza come diverse nazioni europee non abbiano ancora raggiunto l’indipendenza energetica, rimanendo dipendenti in questo senso non solo da Mosca, ma anche da altri Paesi come Stati Uniti, Norvegia e Qatar.

Domenica 22 dicembre, il primo ministro slovacco si era recato in visita a Mosca per discutere con il presidente russo Vladimir Putin sul futuro delle forniture del gas russo alla Slovacchia e alle nazioni europee, criticando la scelta del presidente ucraino di non prorogare il contratto: «Il presidente russo V. Putin ha confermato la disponibilità della (Federazione Russa) a continuare a fornire gas all’Occidente e alla Slovacchia, cosa che è praticamente impossibile dopo il 1° gennaio 2025, vista la posizione del presidente ucraino», ha affermato Fico. La Slovacchia ha un contratto a lungo termine con la società energetica russa Gazprom e ha affermato che acquistare gas altrove gli costerebbe 220 milioni di euro in più in spese di trasporto. Zelensky ha a sua volta duramente criticato Fico per la sua riluttanza a porre fine alle importazioni di gas russo, affermando che il primo ministro slovacco avrebbe rifiutato un risarcimento di 500 milioni di euro. Fico ha confermato l’offerta di risarcimento, spiegando però, che questa sarebbe stata vincolata all’adesione alla NATO e proverrebbe da asset russi che, secondo il capo slovacco, l’Ucraina non possiede, motivo per cui ha rifiutato la proposta. Dopo i colloqui tra Putin e Fico, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che la situazione con i paesi europei che acquistano il suo gas attraverso un accordo di transito attraverso l’Ucraina «è molto complicata» e necessita di maggiore attenzione.

Allo stesso tempo, le tensioni per il gas proveniente da Mosca hanno coinvolto anche la Moldavia e, in particolare, la regione separatista “filorussa” della Transnistria, che domenica ha interrotto le forniture di gas a diverse istituzioni statali a causa della scadenza del contratto tra Russie e Ucraina, ma anche perché Gazprom ha accusato la Moldavia di avere un debito arretrato nelle forniture. Accusa negata da Chișinău. La Russia fornisce alla Moldavia circa due miliardi di metri cubi di gas all’anno attraverso il gasdotto ucraino che arriva fino alla Transnistria. Sia la Moldavia che la Transnistria hanno imposto lo stato di emergenza prevedendo misure per ridurre il consumo di energia nelle ore di punta. L’ex ministro dell’Energia moldavo, Victor Parlicov, ha dichiarato a Radio Moldavia che «Il vero obiettivo del Cremlino qui è destabilizzare la Moldavia e gettarla nel caos», accusa seccamente respinta da Mosca.

Come avviene da tre anni a questa parte, a uscire vincente dalle diatribe sul gas tra Europa e Russia sono gli Stati Uniti: non pare un caso, infatti, che proprio mentre Kiev ha deciso di interrompere le forniture attraverso il gasdotto russo-ucraino, gli Usa abbiano inviato per la prima volta un carico di GNL (gas naturale liquefatto) all’Ucraina: il capo di gabinetto del Presidente ucraino, Andriy Yermak, ha definito la consegna un «passo strategico». Nonostante il gas russo rappresenti ancora percentuali significative nel mix energetico europeo, gli USA sono diventati il primo fornitore di GNL delle nazioni europee, che non hanno esitato a sostituire il gas di Mosca con il GNL di Washington nonostante quest’ultimo sia nettamente più caro. Le conseguenze economiche di questa scelta sono ben visibili nella crisi delle principali economie europee, tra cui quella tedesca e francese. Secondo i dati Eurostat, nel secondo trimestre del 2024, gli Stati Uniti hanno fornito quasi la metà del gas naturale liquefatto importato (46,0%), ma la Russia restava ancora il secondo fornitore con il 16,8% seguita dal Qatar (11,9%). La definitiva interruzione dei flussi di gas russo, dunque, potrebbe mettere in difficoltà quei Paesi che ancora si riforniscono da Mosca, avvantaggiando ulteriormente gli Stati Uniti.

[di Giorgia Audiello]

Genocidio senza fine, ora i neonati a Gaza muoiono di freddo: sono 6 in una settimana

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La crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, aggravata dal freddo invernale che si abbatte su una popolazione già decimata dalla guerra, continua a mietere vittime innocenti. Dopo gli oltre 15mila bambini uccisi dai raid dell’esercito israeliano, infatti, nel giro di una sola settimana sei neonati palestinesi sono morti per ipotermia. L’ultimo tragico caso riguarda Jumaa Al-Batran, di appena un mese, morto ieri mattina, e suo fratello gemello Ali, deceduto stamane dopo aver lottato per sopravvivere in terapia intensiva. I due bimbi vivevano a Deir al-Balah, nella parte centrale di Gaza. Vicende che testimoniano l’emergenza devastante – imposta dal governo israeliano con attacchi mirati su abitazioni e ospedali di tutta la Striscia – che devono affrontare centinaia di migliaia di rifugiati palestinesi, ammassati in tende di fortuna mentre le temperature continuano ad abbassarsi.

I gemelli morti a poche ore di distanza erano nati prematuri di un mese e avevano trascorso rispettivamente solo uno e due giorni nell’incubatrice dell’ospedale, che, come molte altre strutture sanitarie di Gaza, opera a capacità ridotta e sotto costante pressione a causa dei continui bombardamenti da parte dell’esercito israeliano. La famiglia vive in una tenda esposta al freddo, con temperature che di notte scendono sotto i 10 gradi Celsius. «Siamo in otto e abbiamo solo quattro coperte», aveva dichiarato ieri il padre Yehia, raccontando come il piccolo Jumaa sia stato trovato con la testa «fredda come il ghiaccio». «Non c’è elettricità. L’acqua è fredda, e non c’è gas, riscaldamento o cibo. I miei figli stanno morendo davanti ai miei occhi, e a nessuno importa. Jumaa è morto, e temo che suo fratello Ali possa seguirlo», ha aggiunto l’uomo. Oggi è arrivata la conferma che anche il secondo neonato non ce l’ha fatta. Nel frattempo, le autorità sanitarie locali hanno confermato che almeno altri quattro neonati, di età compresa tra 4 e 21 giorni, sono morti negli ultimi giorni a causa del freddo intenso. Le forze israeliane hanno sfollato quasi tutti i 2,3 milioni di residenti di Gaza, costringendo decine di migliaia di loro ad ammassarsi in logore tendopoli lungo la costa meridionale di Gaza, dove le condizioni meteorologiche sono fortemente sfavorevoli. «Le tende non proteggono né dalla pioggia né dal vento» ha spiegato Marwan al-Hamas, capo degli ospedali da campo di Gaza. Le strutture sanitarie e le organizzazioni umanitarie faticano a rispondere all’emergenza, ostacolate dai bombardamenti israeliani, dalla distruzione delle infrastrutture e dalle restrizioni all’arrivo degli aiuti.

Il conflitto ha causato oltre 45mila morti tra i palestinesi. Interi quartieri sono stati rasi al suolo, lasciando milioni di persone prive di rifugi sicuri. Le persone non muoiono però solo a causa delle bombe: mentre il freddo aumenta i rischi di malattie e decessi, infatti, la fame e la mancanza di cure aggravano ulteriormente la tragedia. Negli ultimi giorni, L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha condannato «l’escalation» israeliana a Gaza, sottolineando che gli attacchi mirati verso scuole e ospedali siano diventati «comuni». Al contempo, il gruppo umanitario Oxfam ha denunciato che solo 12 camion hanno distribuito cibo e acqua nel nord della Striscia di Gaza negli ultimi due mesi e mezzo. Lo scorso 23 dicembre, Famine Early Warning System Network, organizzazione istituita nel 1985 dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), ha pubblicato un rapporto sulla situazione di «emergenza carestia» nel Nord di Gaza dove ha affermato che «sulla base del collasso del sistema alimentare e del peggioramento dell’accesso all’acqua, ai servizi igienico-sanitari e ai servizi sanitari», nel prossimo gennaio nell’area moriranno di fame e disturbi correlati tra le 2 e le 15 persone ogni giorno. L’ambasciatore USA in Israele, Jack Lew, è però intervenuto prendendo le difese dello Stato Ebraico, affermando che il report si baserebbe su «dati obsoleti e imprecisi», poiché la popolazione civile presente nel Nord di Gaza sarebbe oggi «compresa tra 7.000 e 15.000 persone, non tra 65.000 e 75.000 che è la base di questo rapporto». Ammettendo, implicitamente, che la parte settentrionale di Gaza è sottoposta a pulizia etnica: all’inizio dell’assedio israeliano su Gaza, infatti, il Nord della Striscia vedeva una popolazione di circa 400.000 persone. Dopo la pubblicazione, il rapporto è stato ritirato.

[di Stefano Baudino]

Etiopia, veicolo precipita in un burrone: almeno 71 morti

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Almeno 71 persone che viaggiavano a bordo di un veicolo sono morte in Etiopia a causa di un incidente stradale avvenuto ieri pomeriggio nel sud del Paese, nella regione di Sidama, a circa 300 chilometri dalla capitale Addis Abeba. Lo ha reso noto la polizia, fornendo un bilancio aggiornato nelle scorse ore. Il mezzo, ha dichiarato il commissario di polizia regionale, Daniel Sankura, «è caduto nel burrone del fiume Gelana» per cause ancora da accertare. Non è escluso che ci siano dispersi. Due i feriti, entrambi gravi, ricoverati in ospedale.

La moda sostenibile è solo greenwashing o una strada possibile?

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Parlare di decrescita sembra non piacere molto al mondo della moda. La sola idea di ridimensionare produzioni, prototipi e lanci di nuovi prodotti crea scompensi e infastidisce anche i marchi che sposano (almeno in teoria) obiettivi di sostenibilità. Non è pensabile fare impresa senza aumentare volumi e produzioni; ecco perché l’idea di scendere uno scalino e ridimensionarsi non attecchisce del tutto. Proprio per questo, nell’ultimo report di Textile Exchange, si parla di «crescita verde» (Green Growth), ovvero «un processo di aumento della produzione economica riducendo al contempo gli impatti ambientali negativi». Utopia, l’ennesimo tentativo di greenwashing o una strada realmente percorribile?

In un mondo che va sempre più veloce, come quello della moda, dove si fanno mille lanci, centinaia di prototipi ogni mese, sommergendo le persone di nuove proposte pensando di stimolare con qualcosa di nuovo per istigare all’acquisto, la parola decrescita fa rabbrividire. L’idea di ridurre in maniera pianificata l’uso di energie e risorse, per riportare l’economia in equilibrio con il mondo in modo da ridurre disuguaglianze e migliorare il benessere umano senza distruggere l’ambiente (come da definizione dell’antropologo Jason Hickel), stride con il modello capitalista in auge che spinge, per sua indole, alla crescita perpetua e continua. 

Così arriva la crescita verde, un modello secondo il quale nonostante una crescita economica continua, l’impatto ambientale complessivo è ridotto. L’uso delle risorse diminuisce (parametro ambientale) ma le entrate aumentano (parametro economico). Una prospettiva decisamente più digeribile da imprenditori ed azionisti, dove si continua a mettere al centro la crescita economica, supportata dalla teoria secondo cui la decarbonizzazione attraverso nuove tecnologie ed efficienza energetica consentirà di raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni globali da un lato, senza intaccare i ricavi. Tecnicamente questo ha un nome, «disaccoppiamento» (decoupling) con il quale si intende la de-correlazione tra emissioni di CO2 e crescita del PIL, che si realizza quando il valore economico si associa al miglioramento dell’efficienza energetica e/o alla decarbonizzazione del mix energetico. 

La convinzione alla base di questo principio è che la crescita economica sia necessaria per ridurre la povertà e guidare la prosperità. Una convinzione però smentita dagli andamenti degli ultimi anni, dove i dati mostrano che la crescita mondiale dei consumi ha aumentato l’uso delle risorse e le emissioni inquinanti molto più rapidamente di quanto siano state ridotte attraverso una migliore tecnologia. Come rendere dunque la crescita verde una strada percorribile in ambito tessile/moda?

Il report suggerisce alcuni punti sui quali le aziende possono iniziare a riflettere e lavorare per andare in una direzione meno impattante ma proficua.

  • Limitare l’uso delle risorse vergini basate sui combustibili fossili, concentrandosi su risorse rinnovabili e sostenibili (rigenerative/organiche) o riciclate a ciclo chiuso, alimentando prodotti progettati per durare a lungo e per la circolarità.
  • Produrre meno articoli ma di qualità superiore, con un prezzo che ne riflette il valore reale.
  • Ridurre la sovrapproduzione grazie all’uso di tecnologie avanzate e apprendimento automatico per eliminare gli sprechi.
  • Investire in modelli di business circolari, tra cui riparazione, noleggio, ri-vendita e programmi di ritiro responsabili, in modo da aumentare il fatturato tramite l’offerta di servizi (e non solo prodotti).
  • Garantire e promuovere l’equità e il rispetto dei diritti umani, con lavoro e salari dignitosi lungo tutta la catena produttiva.
  • Fare a meno di messaggi o tattiche di vendita invasive, che promuovono il consumo eccessivo e l’obsolescenza (fisica ed emotiva degli oggetti prodotti), reindirizzando i budget di marketing verso soluzioni a basso impatto e circolari.
  • Pretendere e supportare una politica che livelli il campo di gioco, agevolando la sostenibilità e la transizione a livello di mercato.

In sintesi, il rapporto sottolinea l’importanza di andare oltre i piccoli passi verso la sostenibilità e di ripensare il modo in cui creiamo valore. È fondamentale mettere al primo posto la sostenibilità ambientale e sociale, piuttosto che cercare una crescita continua. Al centro di questa trasformazione c’è la necessità di ridurre l’uso di risorse naturali non rinnovabili, privilegiando invece un’economia che non si basa sulla crescita infinita, ma su principi rigenerativi. Questo cambiamento non è solo essenziale per il futuro del nostro pianeta e delle persone che lo abitano, ma è anche cruciale per garantire la sopravvivenza dell’industria della moda e del tessile. 

Sia decrescita sia crescita verde offrono spunti significativi per affrontare le sfide della sostenibilità nella moda. La crescita verde indubbiamente sembra più pratica nel contesto attuale, poiché strizza l’occhio alle aziende, permettendo di adattarsi progressivamente alle esigenze ambientali senza compromettere completamente il modello commerciale. La decrescita, d’altro canto, solleva interrogativi importanti sulla natura del consumo e sul futuro della produzione, proponendo una rottura con i vecchi metodi che hanno portato allo stato attuale. Che la soluzione stia in una combinazione di entrambe le visioni?

[di Marina Savarese]

Il 2024 è stato l’anno record per i profitti delle banche italiane

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Trova conferma il trend di crescita delle banche italiane, che nel 2024 hanno registrato profitti senza precedenti. Malgrado i saldi finali dell’anno saranno resi noti solo all’inizio di febbraio 2025, i dati relativi ai primi nove mesi parlano chiaro: nel 2024, le cinque maggiori banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, BPER, MPS) supereranno gli utili netti dell’anno precedente, raggiungendo nuovi livelli record. È interessante sottolineare come, secondo un rapporto dell’Ufficio Studi e Ricerche FISAC CGIL, nel primo semestre del 2023 le sette principali banche italiane (le precedenti cinque, più Credem e Popolare di Sondrio) abbiano registrato profitti raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022. Davanti alla consolidata crescita degli istituti finanziari, il Senato ha approvato in via definitiva la legge di bilancio per il 2025, che continua a non presentare alcuna manovra per tassare gli extra-profitti delle banche, introducendo piuttosto una misura da molti giudicata «annacquata»: questa non prevede una vera e propria tassazione, bensì un differimento di alcune detrazioni fiscali per gli istituti di credito, che i soggetti coinvolti potranno recuperare negli anni successivi attraverso minori imposte da versare.

Vista la continua crescita dei profitti degli istituti di credito, la notizia del nuovo record di utili, registrati nonostante i continui tagli ai tassi di interesse della BCE, era abbastanza scontata. Secondo un’analisi condotta dalla Fondazione Fiba di First Cisl, il terzo trimestre del 2024 ha alzato ancora una volta l’asticella dei profitti per i primi cinque gruppi bancari italiani, specialmente grazie a un aumento degli interessi netti, in crescita del 7% rispetto allo stesso periodo del 2023. In crescita anche le commissioni nette (+7%), l’attività assicurativa (+5,7%), i ricavi operativi principali (+6,9%) e quelli secondari (+5,3%). In generale, l’utile netto è cresciuto del 22,4%, nonostante un calo negli impieghi e costi sostanzialmente stabili.

I dati della Fondazione Fiba di First Cisl risultano curiosi se comparati al bollettino CONSOB per il primo semestre 2024. Anche CONSOB ha registrato un aumento degli utili delle banche di diritto italiano quotate su Euronext Milan, le quali tuttavia hanno mantenuto stabile il patrimonio netto. Nel primo semestre del 2024, «le banche di diritto italiano quotate su EXM hanno riportato utili pari a 14,9 miliardi di euro, in crescita dell’11% rispetto al primo semestre del 2023. Questo risultato positivo è dovuto all’aumento degli interessi netti (2,4 miliardi), superiore all’aumento delle commissioni nette (1,1 miliardi). Il patrimonio netto è rimasto sostanzialmente stabile, attestandosi a 192,3 miliardi di euro rispetto ai 191,7 miliardi di euro di fine 2023». Se gli utili aumentano, e i costi e il patrimonio rimangono stabili, è probabile che l’incremento degli utili venga destinato agli azionisti, sotto forma di dividendi o altre distribuzioni. Tuttavia, CONSOB non fornisce dettagli specifici a riguardo e riporta solo i dati aggregati, senza suddividerli per singole banche.

Di fronte alla continua crescita delle banche, il governo ha deciso di limitarsi a chiedere agli istituti di credito una sorta di prestito per il 2025. La nuova finanziaria, approvata sabato 28 dicembre dal Senato, prevede infatti una misura di anticipo di alcune detrazioni fiscali per le banche, che comporterà un aumento temporaneo delle imposte, stimato a circa 3,3 miliardi di euro; queste somme, tuttavia, potranno essere recuperate negli anni successivi, tra il 2027 e il 2030, versando imposte ridotte. Lo stesso vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato: «Non ci sarà nessuna tassa. Gli extraprofitti non esistono, è un concetto demagogico, che piace ai regimi dittatoriali: può piacere a Maduro o all’Unione Sovietica».

[di Dario Lucisano]

Corea del Sud, chiesto un mandato d’arresto per il presidente Yoon

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Gli investigatori sudcoreani hanno richiesto un mandato di arresto per il presidente Yoon Suk Yeol, in seguito al tentativo di imporre la legge marziale lo scorso 3 dicembre. Il mandato di arresto si basa sulle accuse di insurrezione e abuso di potere, e segue la mancata risposta alle convocazioni per gli interrogatori da parte di Yoon. Secondo quanto comunica l’ufficio investigativo, la richiesta è stata depositata presso il tribunale distrettuale occidentale di Seoul. Yoon diventa così il primo presidente della storia della Corea del Sud su cui pende una richiesta di mandato di arresto, prima ancora che venga completata la procedura di impeachment, che deve ancora essere confermata dalla Corte Costituzionale.

È morto Jimmy Carter, ex presidente USA

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Ieri, all’età di 100 anni, è morto Jimmy Carter, 39° presidente statunitense in carica dal 1977 al 1981. Come presidente, Carter, esponente del Partito Democratico, promosse gli Accordi di Camp David tra Egitto e Israele, firmò i trattati del Canale di Panama e, a fine mandato, dovette affrontare la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan. In risposta a quest’ultima, proclamò la nota Dottrina Carter, che stabiliva che gli USA avrebbero potuto utilizzare la forza per difendere i propri interessi nel Golfo Persico. Dopo la presidenza, creò il Carter Center per «promuovere ed espandere i diritti umani» e, nel 2002, vinse il Premio Nobel per la Pace.