Ieri, all’età di 100 anni, è morto Jimmy Carter, 39° presidente statunitense in carica dal 1977 al 1981. Come presidente, Carter, esponente del Partito Democratico, promosse gli Accordi di Camp David tra Egitto e Israele, firmò i trattati del Canale di Panama e, a fine mandato, dovette affrontare la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan. In risposta a quest’ultima, proclamò la nota Dottrina Carter, che stabiliva che gli USA avrebbero potuto utilizzare la forza per difendere i propri interessi nel Golfo Persico. Dopo la presidenza, creò il Carter Center per «promuovere ed espandere i diritti umani» e, nel 2002, vinse il Premio Nobel per la Pace.
Gli USA hanno consegnato il primo carico di GNL all’Ucraina
L’Ucraina ha ricevuto per la prima volta un carico di GNL dagli Stati Uniti. A dare la notizia è stato il capo di gabinetto del Presidente ucraino, Andriy Yermak, che ha definito la consegna un «passo strategico» importante: «Nonostante i tentativi della Russia di distruggere il nostro sistema energetico durante la guerra, abbiamo ottenuto l’ennesima vittoria sul fronte energetico», ha scritto Yermak sulla piattaforma social X (ex Twitter). L’Ucraina è sempre dipesa dal gas russo, ma non acquista gas da Mosca dal 2015, affidandosi piuttosto ai commercianti occidentali. La spedizione si è conclusa in Grecia ed è stata ricevuta da DTEK, la più grande compagnia energetica privata dell’Ucraina.
La Siria ha sospeso le attività dell’ambasciata in Libano
La Siria ha annunciato la sospensione delle attività consolari in Libano, che verranno interrotte «fino a nuovo ordine». A dare la notizia è stato il nuovo ministro degli Esteri, che non ha fornito spiegazioni sulla decisione. Nel frattempo, il quotidiano Al Arabiya ha pubblicato un’intervista esclusiva ad Ahmed Hussein al-Shara’a, anche noto con il nome di battaglia Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham, il gruppo che ha spodestato Bashar al-Assad. al-Shara’a ha dichiarato che lo svolgimento delle elezioni in Siria potrebbe richiedere fino a quattro anni, mentre la stesura della costituzione dovrebbe durare tre anni.
Georgia, il nuovo presidente giura mentre continuano e proteste
Si è concluso il cambio di guardia alla presidenza georgiana, con il giuramento del nuovo presidente Mikheil Kavelashvili, esponente del partito Sogno Georgiano. Durante la cerimonia di investitura, migliaia di manifestanti pro-UE si sono riuniti in piazza a Tbilisi, davanti al palazzo del parlamento, per protestare contro il presidente, che l’opposizione definisce «illegittimo». Dopo le elezioni tenutesi lo scorso ottobre, vinte da Sogno Georgiano, l’opposizione ha denunciato brogli elettorali e «interferenze russe», e migliaia di persone hanno riempito le strade contro il partito, considerato filo-russo, in risposta alla decisione di Sogno Georgiano di sospendere i negoziati per l’adesione all’UE.
In diverse città italiane sono state condotte azioni di sabotaggio contro AirBnB
Le azioni di sabotaggio contro le keybox sono state promosse tra il 27 e il 28 dicembre. Le keybox, anche note come lockbox o smartlock, sono piccole scatole chiuse contenenti le chiavi di un appartamento destinato ai turisti, sbloccabili unicamente attraverso un codice di verifica fornito dal proprietario dell’alloggio. A venire presi di mira nelle città, gli stessi “lucchetti intelligenti” e i tastierini su cui digitare il codice di accesso, ma anche vetrine di agenzie immobiliari, spazi dedicati a cartelloni pubblicitari e angoli delle strade, dove sono stati affissi dei manifesti. «Sanità, scuole, trasporto pubblico sono allo stremo, sia per la difficoltà del personale a trovare casa, sia perché la riduzione del bacino di utenza si traduce nel taglio delle risorse a disposizione», hanno scritto gli attivisti in una nota non firmata mandata alla stampa. «Se il turismo rappresenta certo un settore economico rilevante, i benefici per la città sono ormai ampiamente superati da costi insostenibili, che peraltro comportano un sommerso diffuso».
La lotta contro l’overtourism in Italia va avanti da mesi. Tra chi si limita a segnalare i lucchetti con adesivi, come a Milano e Firenze, e chi li rimuove con le tronchesi, come a Roma e Bologna, il sabotaggio dei lockbox sembra ormai essere diventato strutturale. Nell’ultimo periodo, gli attivisti cittadini non si sono limitati a colpire gli smartlock, ma si sono mobilitati anche attraverso cortei e altre azioni dimostrative. A Napoli, circa tre mesi fa, un gruppo di attivisti mascherati ha affisso manifesti sulle serrande di un’edicola dismessa come segno di protesta contro i troppi b&b in città, lanciando una campagna di mobilitazione cittadina. Nello stesso periodo, a Bologna, i cittadini hanno bloccato un autobus per turisti «per denunciare la turistificazione e le contraddizioni dello sviluppo» della città. A Roma, al posto degli smartlock, sono comparsi cappelli di Robin Hood, per costruire un «Giubileo dei poveri» con cui soppiantare il «Giubileo dei ricchi», iniziativa poi ripresa anche a Bologna «perché non diventi solo una città per ricchi». A Milano, invece, lo scorso novembre il comitato dei Navigli ha promosso una mappatura dei lucchetti intelligenti e organizzato un corteo per ricordare a tutti che «questa città non è un albergo».
In teoria, sarebbero già stati raggiunti i primi risultati: a Firenze, la sindaca Sara Funaro ha presentato un piano di dieci punti per contrastare il turismo di massa nel centro della città, che prevede misure che vanno dal divieto di utilizzo delle keybox in area Unesco alla limitazione dei veicoli atipici, fino al divieto di utilizzo di amplificatori e altoparlanti. Recentemente, la sindaca ha anche approvato un nuovo Testo unico per il turismo accogliendo alcune delle richieste dei comitati. Nella stessa Firenze, come a Genova e a Bologna, sono stati introdotti regolamenti per limitare le affittanze brevi, mentre a Milano, come nel capoluogo toscano, verrà vietata l’installazione di lucchetti intelligenti nello spazio pubblico urbano. Anche il Viminale si è mosso, vietando la pratica del self check-in. Malgrado ciò, in alcune città, come nella capitale, il Comune ha fermato la rimozione delle scatolette intelligenti, sostenendo che a essere vietato è un loro specifico uso e non l’oggetto in sé.
[di Dario Lucisano]
Il Mozambico è in rivolta
Il Mozambico è attraversato da una crisi che si fa sempre più profonda, dopo che lunedì la Corte costituzionale ha confermato il risultato delle elezioni del 9 ottobre. I giorni natalizi hanno visto l’esplosione di nuove proteste e la conseguente repressione. Ad oggi, dopo più di due mesi dalla tornata elettorale, il numero dei morti sembra essere tra i 130 e i 150, come riportano Amnesty international e Human rights watch, con la possibilità che siano quasi 100 in più come invece riporta Plataforma Decide, un gruppo di monitoraggio mozambicano, che attesta il conteggio delle vittime a 248. Nell’ultima settimana i morti hanno continuato ad aumentare, solo tra lunedì e martedì, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, hanno perso la vita durante le proteste almeno 21 perone e «ci sono stati almeno 236 atti violenti» ha dichiarato il ministro degli Interni Pascoal Ronda.
Il giorno di natale poi, con proteste e scontri all’esterno, è scoppiata una rivolta nel carcere di massima sicurezza di Maputo. La struttura si trova a 14 chilometri dalla capitale e mercoledì mattina i detenuti sono riusciti a impossessarsi delle armi dei secondini sfruttando «il giorno festivo dove le guardie presenti nella struttura sono meno», ha raccontato a South African Broadcasting Corporation il giornalista mozambicano Clemente Carlos. A seguito della rivolta più di 1.500 prigionieri sono riusciti a fuggire e «gli scontri hanno provocato 33 morti e 15 feriti nei pressi della prigione» ha dichiarato il capo della polizia Bernardino Rafael. Secondo la ministra della Giustizia Helena Kida «i disordini sono iniziati all’interno della prigione e non hanno nulla a che fare con le manifestazioni esterne». Però, per il capo della polizia, le proteste iniziate la mattina di mercoledì nella struttura sarebbero conseguenza della presenza, nei dintorni del carcere, di «un gruppo di manifestati sovversivi». Rafael ha aggiunto che le proteste «hanno portato al crollo di un pezzo del muro di cinta, da dove sono fuggiti i prigionieri», come riporta Ap.
Le manifestazioni però non cominciano questa settimana, ma sono iniziate a ridosso della tornata elettorale del 9 ottobre, ancor prima dell’arrivo dei conteggi definitivi, pubblicati il 24 ottobre. Le strade di diverse città del paese dell’Africa australe si sono riempite di giovani cittadini che hanno contestato l’ennesima vittoria del Frelimo, partito al governo da 50 anni. Diversi osservatori indipendenti internazionali e nazionali hanno denunciato irregolarità nei verbali, come il conteggio di voti superiori al numero di elettori, oltre a intimidazioni e acquisti di voti. Il candidato di opposizione del partito Podemos, Venancio Mondlane, ha sempre sostenuto di aver raggiunto il 53% delle preferenze, basandosi sui conteggi fatti dal suo partito, contro il 20% dichiarato dalla Commissione elettorale nazionale. Nei giorni successivi alle votazioni Mondlane ha chiamato più volte la popolazione a scendere in piazza per contestare i risultati elettorali, chiedendo di fermare il paese fino a che non fosse stato riconosciuto il vero vincitore. Poi, dopo gli omicidi dell’avvocato di Mondlane, Elvino Dias, e del rappresentante di Podemos, Paulo Guambe avvenuti il 19 ottobre, il candidato di opposizione ha lasciato il paese dicendo di essere «in pericolo di morte».

Il ricorso alla Corte costituzionale è stato l’ultimo tentativo da parte del partito Podemos di ribaltare il risultato elettorale ma la massima Corte ha deciso diversamente, confermando la vittoria di Daniel Chapo candidato del Frelimo. Mercoledì 18 dicembre, prima della sentenza della Corte costituzionale, Mondlane ha avuto un colloquio di un’ora e mezza, da remoto, con il presidente uscente e segretario del Frelimo, Filipe Nyusi. Un incontro che avrebbe potuto portare a una soluzione, ma che invece non ha fatto altro che inasprire i toni. Mondlane nel pomeriggio dello stesso giorno ha avuto una riunione con gli europarlamentari del gruppo Renew Europe, durante il quale ha espresso la sua sensazione riguardo alla sentenza della Corte costituzionale, che avrebbe confermato la vittoria del Frelimo, e addirittura che Nyusi volesse dichiarare lo stato d’emergenza per poter allungare il suo mandato. Nelle ore successive è arrivata la risposta del presidente uscente che ha rassicurato la popolazione che nulla di quello che era stato detto dal candidato di Podemos sarebbe mai successo.
Mondlane, prima ancora che la Corte costituzionale si pronunciasse, aveva avvertito che la questione era «di vita o di morte» e che l’intera responsabilità per la probabile degenerazione della situazione sarebbe stata tutta nelle mani di Lúcia Ribeiro, la presidente della Corte Costituzionale. Nonostante le parole incendiarie di Mondlane gli fossero costate l’accusa di insurrezione, la pena a pagare 505 milioni allo Stato e il blocco dei conti bancari nel paese, il candidato di opposizione, ancora all’estero, ha dichiarato prima della sentenza di lunedì scorso: «Se abbiamo la verità elettorale, avremo la pace. Se abbiamo le bugie elettorali, faremo precipitare il paese in un precipizio, nel caos, nel disordine» e così è stato.

Un caos che si incomincia a propagare anche alle province più lontane del grande paese africano, come la martoriata provincia di Capo Delgado. La compagnia di estrazione britannica Gemfields, che detiene delle grandi concessioni di estrazione di rubini nella provincia di Capo Delgado, ha denunciato il dilagarsi delle violenze collegate alle elezioni anche nei villaggi vicini alle miniere, affermando martedì in una nota che «gruppi associati all’estrazione e al commercio illegali di rubini hanno approfittato dei disordini politici», come riportato da Reuters. Ma nella regione più settentrionale del Mozambico le violenze legate alle risorse non sono una novità. Infatti, dal 2017, l’esercito sta combattendo con il gruppo terroristico Al-Shabab, legato all’Isis, che ha intenzione di appropriarsi della ricca regione mozambicana.
L’insurrezione jihadista ha provocato lo sfollamento di più di mezzo milione di persone e la morte di diverse migliaia di civili. Con la guerriglia vanno avanti di pari passo anche i progetti multi miliardari di estrazione del gas a qualche decina di chilometri dalla costa di Capo Delgado. Oggi Eni, Total ed Exxon detengono le concessioni sulle due aree di trivellazione, con la compagnia francese che detiene la concessione per il giacimento più grande, per un investimento di quasi 50 miliardi di dollari. La presenza di tutte queste compagnie estere che sfruttano il suolo mozambicano è un altro motivo di malcontento nei confronti del partito di governo che concede enormi concessioni per avere indietro una piccola fetta dei mirabolanti guadagni. Tutto questo mentre il 65% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la maggior parte della popolazione giovanile, il 56% del totale, non ha un lavoro. In più a settembre è uscita una lunga inchiesta sul quotidiano statunitense Politico, che mostra come le milizie private appaltate da Total Energies, insieme all’esercito mozambicano, si siano macchiati di violazioni dei diritti umani, tra cui esecuzioni extragiudiziali, torture e incendi dolosi durante le operazioni contro i jihadisti. Il CEO di Total, Patrick Pouyanné, ha difeso l’approccio dell’azienda, sostenendo che l’intervento delle forze di sicurezza è stato richiesto per garantire la protezione dei suoi impianti di gas.
Tuttavia, le preoccupazioni sulla complicità dell’azienda nelle violazioni dei diritti umani, così come il crescente disastro umanitario, stanno mettendo a dura prova l’immagine di Total e sollevano interrogativi sulle sue responsabilità. Con l’instabilità politica attuale, fonti di InfoAfrica riferiscono che diverse società internazionali hanno predisposto piani di emergenza per il proprio personale. Più passano i giorni e più sale la tensione che, da un momento all’altro, potrebbe portare a un colpo di mano politico. A Capo Delgado poi le cose possono degenerare come già sta succedendo, con la possibilità dell’apertura di un’altra crisi umanitaria senza precedenti nel continente. Con il popolo che in piazza chiede giustizia e dignità, la classe politica, come ovunque nel mondo, non ascolta e i morti aumentano.
[di Filippo Zingone]
Uno studio rivela come abilità chiave dell’uomo si siano sviluppate anche negli scimpanzé
Le abilità che si sono rivelate fondamentali per il successo evolutivo dell’uomo possono essere riscontrate anche negli scimpanzé, i quali sono in grado di organizzare le proprie azioni in sequenze complesse e strutturate, proprio come gli esseri umani. È quanto emerge da un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Università di Oxford, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica PeerJ. L’analisi, che ha coinvolto oltre 8.000 azioni svolte con l’uso di strumenti per rompere noci, ha rivelato che le stesse abilità che negli esseri umani sono alla base del linguaggio e della cultura tecnologica vengono inserite in sequenze con relazioni gerarchiche, suggerendo che la capacità di pianificare e agire di conseguenza potrebbe essersi evoluta prima dell’ultimo antenato comune tra uomo e scimpanzé. «È interessante notare che persino gli scimpanzé più giovani nel nostro studio hanno mostrato segni di organizzazione dei comportamenti in blocchi di azioni. Ciò suggerisce che questo sistema di organizzazione comportamentale potrebbe essere qualcosa che emerge molto presto nella vita», ha commentato il ricercatore e coautore Elliot Howard-Spink.
Gli scimpanzé (Pan troglodytes) sono tra i primati più studiati per la loro stretta parentela genetica con gli esseri umani: condividiamo con loro circa il 98,7% del DNA. Questa affinità li rende un modello fondamentale per esplorare l’evoluzione dei comportamenti complessi. Nel caso dello studio recentemente pubblicato, i ricercatori hanno utilizzato un decennio di filmati registrati nella foresta di Bossou, in Guinea, per analizzare come gli scimpanzé utilizzano strumenti naturali, in particolare martelli e incudini di pietra, per rompere noci dai gusci duri. Durante queste osservazioni, sono state identificate circa 8.260 azioni distribuite su oltre 300 noci e, grazie a modelli statistici avanzati, gli studiosi hanno esaminato le relazioni tra le diverse azioni, scoprendo che gli scimpanzé non si limitano a risposte riflessive, ma pianificano e regolano i propri comportamenti in modo flessibile e adattivo. In particolare, è stato rilevato che la maggior parte delle scimmie osservate organizza le azioni attraverso la produzione di “pezzi ripetibili”, analogamente a quanto succede quando decidiamo di far scaldare il bollitore prima di versare l’acqua quando decidiamo di preparare una tazza di tè. Tuttavia, tale abilità non è stata rilevata per tutti gli esemplari e ciò, secondo i ricercatori, suggerisce che tale attitudine non è presente universalmente come accade invece per gli umani.
Infine, gli autori hanno spiegato di aver osservato che tali capacità sono state osservate anche negli scimpanzé più giovani, suggerendo che vi sarebbe una predisposizione che emerge precocemente nella vita. Tuttavia, esistono diverse teorie che sono state formulate ma che meriteranno ulteriori indagini prima di una conferma: i ricercatori studieranno se le capacità di formulare queste sequenze complesse sia o meno condivisa tra le specie di scimmie antropomorfe, e inoltre potrebbero esistere delle regole ben precise che gli esemplari seguono quando generano le loro strategie di utilizzo degli strumenti, le quali potrebbero emergere durante lo sviluppo o essere modellate nel corso della vita adulta. «Le prove archeologiche di altri studi suggeriscono che gli scimpanzé hanno utilizzato strumenti di pietra per migliaia di anni, in modo simile a oggi. Sono necessarie ulteriori ricerche per capire perché gli esseri umani possono produrre nuove tecnologie a ritmi così rapidi, mentre i comportamenti di utilizzo di strumenti degli scimpanzé sembrano cambiare molto lentamente», ha concluso Elliot Howard-Spink.
[di Roberto Demaio]