Dopo mesi di attacchi, Israele ha completato l’assedio dell’ospedale Kamal Adwan, il piĂą grande del nord della Striscia di Gaza. Il complesso è stato occupato e centinaia di persone, tra pazienti e personale sanitario, sono state costrette a evacuare e a dirigersi a piedi verso sud. A nulla è servito l’appello di Hussam Abu Safiya, direttore del Kamal Adwan, che nei giorni scorsi aveva chiesto alla comunitĂ internazionale di intervenire prima che fosse troppo tardi. Nelle scorse ore lo Stato ebraico ha bombardato un edificio nei pressi dell’ospedale, uccidendo almeno 50 persone, tra cui 5 membri del personale medico.
Brasile: le prime immagini della tribĂą incontattata dei Massaco
Per la prima volta, alcune fototrappole installate nella foresta pluviale amazzonica hanno catturato immagini della tribù incontattata dei Massaco, un gruppo indigeno isolato che vive nello stato brasiliano di Rondonia, al confine con la Bolivia. Le fotografie, che sono state pubblicate dal quotidiano britannico The Guardian e dal brasiliano O Globo, rappresentano un evento straordinario per lo studio delle popolazioni indigene. I Massaco, così denominati dal fiume che attraversa il loro territorio, sono infatti una comunità la cui lingua, cultura e nome originario rimangono sconosciuti.
Le immagini, scattate tra il 2019 e il 2024 dalla Fondazione Nazionale dell’Indio del Brasile (Funai), mostrano membri della tribĂą nudi e intenti a osservare e utilizzare strumenti lasciati dagli studiosi, come machete, punte metalliche e asce. La tribĂą vive all’interno di un’area protetta di 421mila ettari, costantemente minacciata da attivitĂ illegali come il disboscamento, l’espansione agricola e il traffico di droga. Malgrado queste pressioni, la popolazione Massaco è sorprendentemente in crescita: dagli anni Novanta, quando si stimavano circa 100 membri, si è passati a oltre 200 individui, suddivisi in circa 50 famiglie. Un incremento demografica testimoniato anche dalla presenza di giocattoli rudimentali, segno della presenza di bambini nei villaggi. Tuttavia, l’aumento della popolazione Massaco potrebbe aumentare il rischio di contatto con il mondo esterno, specialmente se le condizioni ambientali li costringessero a spostarsi per cercare acqua o prede.

Le abilità dei Massaco sono straordinarie: utilizzano archi lunghi fino a tre metri, probabilmente per cacciare sdraiati, e proteggono il loro territorio con trappole di legno appuntito, piantate nel terreno per scoraggiare intrusioni. Queste strategie riflettono una profonda conoscenza dell’ambiente e una volontà di difendere la propria indipendenza a tutti i costi. Altair Algayer, coordinatore del Funai e veterano nello studio delle tribù amazzoniche, ha evidenziato l’eccezionalità del caso Massaco. Osservando il materiale a disposizione, il ricercatore ha desunto che, molto probabilmente, la tribù attribuisce un ruolo di comando al componente più anziano. «Il territorio dei Massaco è abbastanza intatto, ma ha bisogno di essere monitorato e protetto: è circondato da allevatori che rappresentano una minaccia e l’accaparramento di terre è diffuso nella regione», ha dichiarato Fiona Watson di Survival.
Negli ultimi decenni, le popolazioni indigene hanno iniziato a riorganizzarsi, unendosi e definendo obiettivi comuni. Attraverso questa nuova coesione, sono riuscite a raggiungere importanti traguardi, spesso in risposta a minacce concrete come progetti minerari, petroliferi, disboscamenti e altre forme di sfruttamento, trasformando la loro lotta per la terra in un movimento globale per i diritti umani, la giustizia ambientale e la salvaguardia del pianeta. Nonostante gli sforzi di conservazione e le politiche di protezione, la situazione delle tribù incontattate rimane critica, con il disboscamento e l’accaparramento di terre che continuano a minacciare il futuro di queste popolazioni. Proprio in Brasile, a settembre 2023, in seguito a settimane di proteste indigene, la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale il Marco Temporal, una legge che limitava la demarcazione e protezione delle terre ancestrali alle popolazioni indigene che dimostrassero di occuparle fisicamente da prima del 5 ottobre 1988. Questa sentenza ha bloccato l’applicazione della legge, rappresentando una significativa vittoria per le comunità locali.
[di Stefano Baudino]
L’ex capo della NATO è stato nominato co-presidente del gruppo Bilderberg
L’ex capo della NATO Jens Stoltenberg è stato nominato nuovo copresidente del Gruppo Bilderberg, l’influente organizzazione che ogni anno organizza riunioni di quattro giorni rigorosamente a porte chiuse, in cui si ritrovano i più importanti esponenti della politica, del mondo finanziario, bancario, militare e mediatico, per affrontare i principali argomenti che plasmano le sorti del mondo. Ritenuta una delle organizzazioni più rappresentative della collaborazione transatlantica in materia di difesa e non solo, grazie agli stretti legami con l’esercito e l’apparato industriale militare, l’arrivo di Stoltenberg ai vertici del Gruppo segna l’intenzione di rafforzare i legami tra le due sponde dell’Atlantico in un momento non semplice per la NATO, costretta a confrontarsi con la guerra in Ucraina, da un lato, e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, dall’altro. A febbraio, inoltre, Stoltenberg assumerà anche la presidenza della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, un altro importante evento riguardante la difesa e la sicurezza europea, mentre l’olandese Mark Rutte – altro veterano del Bilderberg – ha assunto la direzione dell’Alleanza atlantica, confermando così la determinante influenza che gli esponenti del Gruppo hanno sulle più importanti organizzazioni militari e sugli eventi attinenti ai temi della sicurezza e della geopolitica.
Nel suo nuovo ruolo, Stoltenberg ha già rilasciato una dichiarazione alla stampa norvegese, affermando che il Bilderberg «insieme alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco è una buona piattaforma per la cooperazione tra leader dell’arena politica, del mondo imprenditoriale e accademico». Inoltre, secondo alcuni osservatori, la nomina di Stoltenberg potrebbe segnare una svolta radicale del Gruppo nella direzione di una suo maggiore coinvolgimento mediatico, mentre fino ad ora l’elitaria organizzazione era sempre rimasta rigorosamente nell’ombra dando adito per questo anche a teorie cospirative sul suo conto. L’ex segretario generale della NATO, infatti, è avvezzo alle relazioni con i media e, inoltre, un’altra co-presidente, Marie-Josée Kravis, siede nel Consiglio di amministrazione di Publicis, una delle più grandi società di pubbliche relazioni e comunicazione del mondo. Per confermare questo aspetto, però, bisognerà attendere la prima conferenza di Stoltenberg come co-presidente del Bilderberg, mentre certamente l’ex capo della NATO sarà impegnato a rafforzare i legami transatlantici e a cercare un modo per interagire con la nuova amministrazione Trump.
Fondato nel 1954 dal banchiere statunitense David Rockefeller, a caratterizzare in modo spiccato il Bilderberg e altre organizzazioni simili come la Commissione trilaterale è soprattutto l’influenza e il filo diretto che esse hanno con i governi, in quanto al loro interno ci sono spesso sostenitori di entrambi i partiti politici del Congresso americano e altri illustri rappresentanti della politica delle nazioni europee. Inoltre, molti dei 31 membri del comitato direttivo del gruppo hanno ruoli di alto livello nel settore della difesa: ad esempio, l’ex capo di Google, Eric Schmidt, è attualmente impegnato a lanciare un’azienda di droni kamikaze rivolta al redditizio mercato ucraino, mentre l’industriale svedese Marcus Wallenberg è presidente del produttore di difesa Saab, che ha registrato un aumento del 71% degli ordini nei primi nove mesi del 2024, in gran parte dovuto alla guerra con la Russia, come riferisce il Guardian. L’organizzazione, inoltre, è molto nota per il meccanismo delle porte girevoli, per cui le stesse personalitĂ ricoprono in modo continuativo diversi incarichi in varie istituzioni pubbliche e private, non di rado con un palese conflitto d’interesse. Non a caso, il Gruppo deve la sua influenza agli stretti legami con l’esercito e alla presenza di esponenti dell’intelligence come l’ex capo dell’MI6, Sir John Sawers, membro del comitato direttivo del gruppo. Anche diversi esponenti politici e dei media italiani hanno preso parte agli incontri, tra cui Gianni e Umberto Agnelli che hanno fatto parte anche del Comitato direttivo del Club, Enrico Letta, Emma Bonino, Mario Monti, Romano Prodi, Ignazio Visco, Matteo Renzi e, tra i giornalisti, Lilli Gruber, Monica Maggioni, Stefano Feltri, solo per citarne alcuni.
L’obiettivo del Gruppo, negli anni, non è mai cambiato: se negli anni Cinquanta era principalmente quello di contrastare la “minaccia comunista” e espandere, al contrario, l’egemonia anglo-americana nel mondo attraverso il rafforzamento dell’Alleanza atlantica e il controllo dei principali centri di potere transatlantici, oggi è quello di contrastare ciò che Stoltenberg ha definito «l’asse emergente degli autocrati», composto da Russia, Cina e Corea del Nord. Alex Karp, membro del Comitato direttivo del Bilderberg e amministratore delegato di Palantir Technologies Inc – societĂ di software statunitense che offre servizi per le agenzie di intelligence – ha dichiarato in un’intervista al New York Times che gli Stati Uniti molto probabilmente presto combatteranno una guerra su tre fronti con Cina, Russia e Iran.
La nomina di Stoltenberg alla copresidenza del Gruppo e alla guida della Conferenza sulla sicurezza di Monaco segna la volontà di blindare i vertici delle organizzazioni sulla difesa con personalità fedeli alle strategie atlantiche e conferma allo stesso tempo la determinante rilevanza che ha il Bilderberg sulle decisioni che riguardano la politica estera e la stessa Alleanza atlantica. Per l’importanza e il ruolo dei suoi esponenti, infatti, l’organizzazione fondata da Rockefeller non può non influire sulle maggiori decisioni che riguardano il futuro del mondo, in un processo che di democratico ha ben poco, considerata la rigida riservatezza degli incontri e il considerevole potere economico-finanziario e politico che detengono i suoi membri.
[di Giorgia Audiello]
Iran, arrestata la giornalista italiana Cecilia Sala
Il ministero degli Affari Esteri ha reso noto che la giornalista italiana Cecilia Sala, in Iran per effettuare servizi giornalistici, è stata arrestata il 19 dicembre dalla polizia di Teheran. Il dicastero ha dichiarato che l’ambasciata e il consolato d’Italia a Teheran stanno seguendo il caso «con la massima attenzione». La Podcast Company italiana Chora Media, per cui Sala lavora, ha scritto che la giornalista si trova in una cella di isolamento della prigione di Evin, dove vengono tenuti i dissidenti, e il motivo del suo arresto non è stato ancora formalizzato. Oggi l’ambasciatrice d’Italia Paola Amadei ha svolto una visita consolare per verificare le sue condizioni.
Germania, presidente scioglie Parlamento: si vota il 23 febbraio
Tra i cittadini europei crolla il sostegno alla guerra contro la Russia
Un nuovo sondaggio YouGov rivela il calo del sostegno in Europa alla guerra “fino alla vittoria” in Ucraina, mentre cresce l’appoggio a una soluzione negoziata. In Italia, il 55% degli intervistati preferisce il dialogo, contro il 15% favorevole al conflitto prolungato. Percentuali simili si registrano in Spagna (46% per la soluzione negoziale), Germania (45%) e Francia (43%). Al contrario, in Svezia, Danimarca e Regno Unito il sostegno alla guerra resta prevalente, ma in calo rispetto a gennaio 2024. Il sondaggio evidenzia inoltre lo scetticismo sulla sufficienza degli aiuti militari occidentali, con una maggioranza contraria all’aumento degli invii di armi. L’Italia spicca per la quota piĂą alta di cittadini (39%) che ne chiedono la riduzione.
Il sondaggio, pubblicato dal The Guardian, è stato condotto in sette Paesi dell’Europa occidentale, ovvero Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Danimarca e Regno Unito, che complessivamente hanno fatto registrare una significativa diminuzione della volontĂ di sostenere l’Ucraina “finchĂ© non vincerà ”. In ogni Paese è infatti aumentata la percentuale di cittadini favorevoli a una fine negoziata dei combattimenti, anche se ciò dovesse comportare la cessione di territori ucraini alla Russia di Putin. Tale opzione è ora la preferita dalla maggioranza in quattro di essi. I risultati del sondaggio hanno mostrato che la disponibilitĂ a sostenere l’Ucraina finchĂ© non sconfiggerĂ la Russia è rimasta alta in Svezia (50%) e Danimarca (40%), mentre il Regno Unito è al 36%. Tali livelli sono però scesi di ben 14 punti rispetto alle cifre di gennaio, quando si attestavano rispettivamente al 57%, al 51% e al 50%. Nello stesso periodo, contestualmente a un calo della disponibilitĂ a sostenere il governo di Kiev fino alla sua vittoria, le percentuali di coloro che affermano di preferire una pace negoziata sono aumentate dal 45% al 55% in Italia, dal 38% al 46% in Spagna, dal 35% al 43% in Francia e dal 38% al 45% in Germania.
Agli intervistati è stato inoltre domandato se reputino il sostegno militare offerto all’Ucraina sufficiente a non far vincere le forze russe. La risposta è stata negativa: circa il 66% dei danesi, il 63% degli svedesi e degli spagnoli, il 59% dei britannici, il 53% dei tedeschi e degli italiani e il 52% dei francesi hanno infatti affermato che l’assistenza complessiva a Kiev non è stata sufficiente a tale scopo. In un altro quesito di chiedeva invece se gli Stati occidentali dovrebbero aumentare gli invii di armi: a rispondere di sì, in tutti gli Stati, è solo una minoranza: si va dal 29% della Svezia all’11% dell’Italia. Il nostro Paese detiene inoltre la percentuale piĂą alta di intervistati che ritengono che il supporto militare all’Ucraina andrebbe ridimensionato, ovvero il 39%. Seguono Germania (35%), Francia (30%), Danimarca e Spagna (22%), Regno Unito (18%) e Svezia (15%). Nel frattempo, l’imminente ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca solleva dubbi sulla continuitĂ dell’assistenza militare statunitense a Kiev: la maggioranza degli intervistati in quasi tutti i Paesi – il 62% dei tedeschi, il 60% degli spagnoli, il 56% dei britannici, il 52% dei francesi e il 48% degli italiani – ritiene probabile che Trump ridurrĂ il sostegno alle forze di Kiev dopo il suo insediamento.
Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin sembra continuare a lanciare concreti segnali al neo eletto presidente degli Stati Uniti. Ieri il capo del Cremlino, che questa settimana ha ospitato a Mosca il primo ministro slovacco Robert Fico, ha dichiarato che quest’ultimo – dichiarato oppositore del sostegno militare dell’Unione Europea all’Ucraina – ha offerto il suo Paese come sede per i colloqui tra Russia e Ucraina. Putin ha aggiunto che la Russia è aperta alla proposta della Slovacchia di ospitare colloqui di pace con l’Ucraina per concludere un conflitto che, a suo dire, la Russia è determinata a portare a termine. Juraj Blanar, ministro degli Esteri slovacco, ha dichiarato che la Slovacchia cerca da tempo una soluzione pacifica al conflitto e che le parole di Putin rappresentano un «segnale positivo» per la fine della guerra.
[di Stefano Baudino]
Corea del Sud, ok a impeachment del presidente a interim Han
Il Parlamento sudcoreano ha deciso di mettere sotto stato d’accusa il presidente ad interim in carica, Han Ducksoo. Han è infatti accusato di essere stato parte attiva dell’insurrezione, quando il suo predecessore Yoon Suk-yeol, all’inizio del mese, tentò di introdurre la legge marziale nel Paese. Il presidente dell’Assemblea nazionale, Woo Won-shik, ha dichiarato che «Tutti i 192 parlamentari che hanno votato hanno approvato l’impeachment» contro Han. Si tratta del primo impeachment di un presidente ad interim dopo quello del presidente titolare nella storia del Paese. Il ruolo di capo di Stato ad interim spetta ora al ministro delle Finanze, Choi Sang-mok.
Un cittadino triestino è stato condannato a 8 mesi per insulti a Mattarella
Un attivista triestino del movimento No Green Pass, Darko Jermanis, è stato condannato a otto mesi di reclusione con pena sospesa per aver offeso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in alcuni post pubblicati su Facebook. La sentenza è stata pronunciata dal giudice Luisa Pittalis presso il tribunale di Trieste: l’accusa aveva richiesto una pena di un anno e sei mesi per i giudizi coloriti che Jermanis aveva espresso sul suo profilo Facebook nei confronti di Mattarella, commentando un articolo che riportava il sostegno del Capo dello Stato alla campagna vaccinale contro il Covd-19. L’uomo è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali. All’esterno del tribunale, alcuni manifestanti No Green Pass hanno manifestato solidarietĂ all’imputato, scandendo slogan come «libertĂ !» e «vergogna!».
Nello specifico, gli episodi risalgono al 2021, quando Jermanis, nella didascalia che accompagnava l’articolo, aveva definito il capo dello Stato un «essere spregevole». Successivamente, rispondendo al commento di un altro utente, aveva scritto in dialetto «no’l ga de dir niente», e poi «muto devi star sta m***a». L’uomo è stato dunque messo sotto inchiesta e poi mandato a processo per il reato di “offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica”, che secondo il Codice Penale è punibile con il carcere da uno a cinque anni. In aula, Jermanis ha ammesso di aver usato un linguaggio eccessivo, ma ha ribadito di non sentirsi colpevole di alcun reato. Ha inoltre affermato di non riconoscere Sergio Mattarella come suo presidente, sostenendo che «l’Italia a Trieste non ha sovranità ». Nel corso dell’udienza, la difesa ha presentato due perizie: una del farmacista Fabio Falce, che ha discusso le modalitĂ di applicazione dell’obbligo vaccinale, e una dello psichiatra Marco Bertali, che ha fornito un’analisi clinica delle reazioni emotive di Jermanis. Nonostante ciò, il tribunale ha confermato la colpevolezza dell’imputato. Dopo la lettura della sentenza il legale dell’uomo, Gigliola Bridda, ha lasciato l’aula senza rilasciare dichiarazioni.
La condanna di Jermanis non è un caso isolato. Nel 2022, un altro cittadino triestino era stato condannato alla stessa pena per analoghi insulti rivolti al Presidente Mattarella. In un comunicato, il coordinamento No Green Pass e il Fronte della Primavera Triestina hanno preso le difese di Jermanis, definendo sentenze come quella che l’ha colpito «strumenti di repressione contro chi combatte soprusi e ingiustizie». Secondo le associazioni, si tratterebbe infatti dell’ennesimo caso di soffocamento del dissenso, in linea con l’approccio sempre piĂą «liberticida» mostrato dalle autoritĂ statali. «Processare qualcuno per un post è vergognoso, ma questa condanna è un chiaro atto politico per intimidire chi si oppone al sistema», hanno scritto, per poi richiamare l’attenzione sui potenziali rischi del “DDL Sicurezza”, attualmente al vaglio del Senato, considerato «l’ennesimo tassello volto a preparare, dal punto di vista giuridico/normativo, il campo ad ulteriori ondate repressive».
[di Stefano Baudino]
*Foto di copertina di Claudia Cernigoi, “La Nuova Alabarda”.