martedì 30 Dicembre 2025
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Leonardo Maria Del Vecchio: l’ereditiere che sta cercando di costruire un impero mediatico

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Dopo il tentativo di ingresso nel gruppo Gedi, editore tra gli altri di la Repubblica e La Stampa, Leonardo Maria Del Vecchio mette ora un piede nel cuore dell’editoria italiana acquisendo il 30 per cento de Il Giornale, attraverso la sua holding di investimento LMDV. L’entrata del quartogenito del fondatore di Luxottica nel giornale fondato da Indro Montanelli nel 1974 inaugura la creazione di un impero mediatico e riattiva un copione ricorrente della storia economica italiana: il passaggio dei grandi patrimoni familiari dall’industria e dalla finanza al controllo dei luoghi in cui si forma e si orienta il discorso pubblico.

In un Paese attraversato da una crisi strutturale dell’editoria, l’arrivo di un azionista “forte” non porta solo capitali, ma ridefinisce equilibri, pone interrogativi sull’indipendenza delle redazioni e riapre il tema, mai risolto, del pluralismo reale dell’informazione. Prima di virare “a destra” con l’accordo sul Giornale, Del Vecchio aveva presentato un’offerta da circa 140 milioni di euro per le testate del gruppo Gedi, rifiutata da John Elkann. Archiviata quella trattativa, l’ereditiere ha chiuso l’ingresso nel quotidiano milanese per una cifra stimata intorno ai 30 milioni, affiancando Antonio Angelucci, già proprietario di altre testate e parlamentare della Lega. Parallelamente, sono proseguono le interlocuzioni per l’acquisto della maggioranza di QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – controllata dalla famiglia Monti Riffeser. Letta nel suo insieme, la strategia appare coerente, volta a costruire una presenza trasversale nell’editoria nazionale, nonostante un comparto che non promette rendimenti elevati, ma offre prestigio, relazioni e una capacità indiretta di incidere sull’agenda pubblica e politica. Le reazioni dei media all’operazione non si sono fatte attendere: è il caso di Repubblica, che ha proposto un ritratto insolitamente severo di Del Vecchio una volta passato alla “concorrenza”, quando in passato aveva adottato per lui toni lusinghieri dalle sue stesse colonne.

Leonardo Maria Del Vecchio, già in grado di esercitare un peso significativo sulle pagine economiche dei principali quotidiani del Paese, era finito lo scorso anno al centro della cronaca giudiziaria, con l’accusa di aver fatto sorvegliare alcuni familiari, contestata dall’interessato e tuttora al vaglio della magistratura. Se la sua immagine pubblica è spesso associata a quella di un giovane ereditiere, deciso e ambizioso, un ritratto più critico emerge facendo i conti in tasca al quarto dei sei figli del fondatore di Luxottica. Negli ultimi anni, il rampollo ha adottato una strategia di espansione basata su un significativo ricorso all’indebitamento, con passivi che superano diverse centinaia di milioni di euro. Del Vecchio è capo delle strategie di EssilorLuxottica e presidente di Ray-Ban, ma gli investimenti personali passano attraverso LMDV Capital Srl, che controlla altre 17 società. Ed è proprio sulla sua holding che grava una parte consistente di questi debiti. Il bilancio 2024, approvato a fine ottobre, chiude con ricavi di 66,9 milioni di euro e il primo utile netto di appena 31.917 euro dopo le perdite di -1,855 milioni del 2023 e -1.129 euro del 2022, l’anno di avvio. Il patrimonio netto ammonta a 156,443 milioni di euro, di cui però 146,728 milioni di euro è indisponibile, accantonata a riserva di rivalutazione. I debiti della holding – saliti da 92 a 358 milioni – sono finanziati in parte con prestiti bancari e in parte tramite obbligazioni interne garantite dallo stesso Del Vecchio tramite fideiussioni personali. Il ricorso alla leva finanziaria non si limita ai soli prestiti, ma coinvolge anche garanzie personali rilasciate a favore di importanti istituti di credito, a testimonianza di una elevata esposizione individuale nel sostegno della holding. Questi debiti, sebbene coperti da asset e partecipazioni di valore, delineano un quadro in cui la liquidità “reale” e la solidità finanziaria appaiono meno scontate di quanto il patrimonio familiare possa far credere.

In questo contesto, l’ingresso in un settore poco redditizio come quello dell’editoria assume una valenza ulteriore: non solo una mossa di prestigio, ma anche un tentativo di rafforzare notorietà e relazioni in una fase in cui la struttura finanziaria personale e societaria è sotto pressione. Leonardo Maria Del Vecchio potrà anche rivendicare autonomia e buone intenzioni, ma finché l’editoria resterà terreno di conquista delle grandi famiglie, ogni promessa di rinnovamento continuerà ad assomigliare a una variazione su una storia già vista.

Pakistan, attacchi nel nordovest: 5 morti

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Oggi in Pakistan si è verificato un attacco ai danni di una squadra di polizia, in seguito a cui sono morti 5 agenti. Gli attentatori hanno teso una imboscata a un furgone della polizia, prendendolo di mira con esplosivi per poi spararvi contro. Gli attacchi sono stati effettuati nel distretto di Karak, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, vicino al confine nordoccidentale con l’Afghanistan; nessuna sigla ha rivendicato gli attacchi, ma la regione è teatro di scontri tra milizie separatiste e governo centrale.

Come funziona il riciclaggio di denaro?

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Da alcuni decenni, almeno in Italia, la criminalità organizzata ha smesso di sparare, utilizzando la tradizionale arma della violenza solo nei casi di extrema ratio. Oggi, le mafie italiane ed estere incamerano miliardi attraverso un ampio ventaglio di attività illecite, prima tra tutte il lucroso traffico di droga, per poi veicolare tale liquidità nel circuito legale. I clan, infatti, puntano tutto sul fenomeno del riciclaggio, il processo che trasforma proventi illeciti in redditi apparentemente legittimi. Oggi le organizzazioni criminali combinano metodi tradizionali - contanti, imprese “pu...

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I tessuti in poliestere riciclato potrebbero inquinare più del previsto

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Spesso sponsorizzato come uno dei materiali “più sostenibili” da usare in ambito moda, il poliestere riciclato è stato messo sotto al microscopio ed analizzato: un nuovo studio condotto dal Microplastic Research Group dell’Università di Çukurova e commissionato dalla Changing Markets Foundation, ha rilevato che in realtà rilascia più microfibre rispetto al poliestere vergine. Quella che doveva essere la soluzione, in realtà, sta generando ancora più problemi. Moltissimi marchi, proprio in questi mesi, hanno concluso una sorta di “sfida” per sostituire il poliestere con la sua versione riciclata in tutte le collezioni: Adidas, H&M, Puma e Patagonia hanno terminato questo passaggio quasi al 100% per motivi legati alla sostenibilità ambientale. Eppure, il poliestere riciclato da bottiglie di plastica, ha un lato tanto invisibile quanto oscuro.

Lo studio è stato svolto su un campione relativamente piccolo, prendendo in esame 51 capi di diverse aziende (Adidas, H&M, Nike, Shein e Zara – ovvero i maggiori produttori di capi in tessuti sintetici secondo una recente indagine di Changing Markets) realizzati con poliestere riciclato (il poliestere in questione deriva prevalentemente dal riciclo di bottiglie di plastica perché ad oggi non è possibile riciclare il poliestere da tessuto a tessuto). Dalla ricerca è emerso che il poliestere riciclato crea in media il 55% in più di inquinamento da microplastiche rilasciate durante il lavaggio rispetto al poliestere vergine; ma anche che le particelle sono più piccole (di circa il 20%), quindi più facilmente disperse nell’ambiente e dannose. Questo avviene perché tutte le fibre riciclate, subendo un processo di ri-lavorazione sia esso chimico o meccanico, si indeboliscono, si accorciano e diventano a tutti gli effetti più fragili, rompendosi più facilmente (le catene polimeriche sono più corte e la struttura più debole). 

Tra i vari marchi presi in esame, l’abbigliamento in poliestere Nike si conferma il più inquinante, tanto per il tessuto vergine quanto per quello riciclato. In media, il poliestere riciclato del brand ha liberato oltre 30.000 microfibre per grammo di campione, quasi quattro volte il valore medio di H&M e più di sette volte quello di Zara. Per quanto riguarda Shein, invece, il risultato ha fatto insospettire: i suoi capi in poliestere riciclato rilasciano microplastiche all’incirca alla stessa velocità dei suoi capi in poliestere vergine. Il che fa presumere che i capi etichettati come “poliestere riciclato” in realtà fossero di poliestere vergine, traendo in inganno i propri clienti (altro che greenwashing!). Una mossa che non è nuova al mondo della moda, dove etichette e diciture sono spesso utilizzate in maniera impropria per farsi belli al pubblico e celare la verità. 

Dietro al massiccio uso del poliestere nella moda c’è, prima di tutto, una questione economica. Questa fibra sintetica derivata dal petrolio sviluppata agli inizi del 900, è subito entrata a far parte del circuito fashion, per le sue proprietà ma soprattutto per il suo costo decisamente più contenuto rispetto a quello di altri materiali. La sua diffusione massiccia, unita alla sovrapproduzione, ha contribuito a moltiplicare i rifiuti e l’inquinamento. Il poliestere, come tutte le plastiche, si degrada in tempi molto lunghi e, per quanto riguarda i tessuti, ad ogni lavaggio rilascia grosse quantità di microplastiche.

Per questo il poliestere riciclato è stato accolto come il “salvatore” del sistema: la fibra magica ed ecologica che avrebbe permesso di continuare a produrre in maniera indiscriminata sotto l’etichetta verde sigillata dalle tre frecce che si rincorrono. Una soluzione rassicurante, che in realtà nasconde l’irrefrenabile dipendenza della moda dai materiali sintetici. E che nel frattempo sta aggravando il problema dell’inquinamento da microplastiche. Che si trattasse di greenwashing, prima ancora di questi nuovi test, c’è sempre stato il sospetto: adesso c’è la conferma. 

L’uso di fibre sintetiche è un numero in continuo aumento, così come la sovrapproduzione, il consumo esagerato e lo spreco. Soluzioni tampone, modifiche progettuali ed interventi a fine ciclo di vita dei capi sono solo gocce in un mare di capi prodotti giornalmente. Le soluzioni concrete ed auspicabili sono rallentare, eliminare la produzione di fibre sintetiche e smettere di usare bottiglie di plastica per produrre abiti usa&getta.

Albania, si accendono le proteste: molotov contro ufficio del premier

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A Tirana la protesta contro il governo albanese promossa dal Partito Democratico di opposizione è sfociata nel lancio di bombe molotov da parte di alcuni manifestanti contro l’edificio che ospita l’ufficio del primo ministro Edi Rama. Le tensioni sono esplose dopo l’incriminazione della vicepremier Belinda Balluku, accusata insieme ad altri funzionari e aziende di aver favorito soggetti privati nell’assegnazione di fondi pubblici per grandi opere infrastrutturali. I manifestanti chiedendo le dimissioni dell’esecutivo. Dopo gli scontri, sono stati arrestati quattro uomini. La polizia ha reso noto che altre sette persone sono indagate a piede libero. 

Manovra, rimpasto finale: cancellate cinque norme per dubbi sulla costituzionalità

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Nell’ultima fase del cammino parlamentare della legge di Bilancio è scoppiato un nuovo braccio di ferro. A poche ore dal voto in aula sulla fiducia, infatti, cinque misure considerate estranee alla manovra finanziaria e potenzialmente problematiche per gli equilibri costituzionali sono state stralciate su iniziativa della commissione Bilancio del Senato. Fonti parlamentari hanno fatto riferimento a un intervento del Quirinale, volto a evitare che disposizioni lesive di diritti e garanzie potessero essere approvate senza un adeguato dibattito. Le norme coinvolgevano diritti dei lavoratori, regole sulle incompatibilità nella pubblica amministrazione, profili della magistratura e la disciplina del personale della Covip.

La scure si è in primis abbattuta sul cosiddetto “scudo” per i datori di lavoro in caso di retribuzioni giudicate incostituzionalmente basse. La misura, inserita tramite un subemendamento di Fratelli d’Italia, stabiliva che «con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all’articolo 36 della Costituzione dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall’Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive» per il periodo che precede «la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo stipulato» oppure «dai contratti dello stesso settore economico che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione». I leader delle opposizioni l’avevano definita «anticostituzionale, vergognosa, una vigliaccata».

Accanto a questa disposizione, giudicata da più parti un intervento che poteva incidere direttamente sui rapporti di lavoro e sul contenzioso sociale, sono state rimosse altre quattro misure entrate nel testo durante l’iter in Commissione. Tra queste, una norma sulla inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti privati regolati o finanziati dalle stesse amministrazioni: la disciplina prevedeva ampia deroga per incarichi straordinari e commissariali, suscitando timori concreti di conflitto d’interessi. Un secondo stralcio riguarda la riduzione del cosiddetto periodo di “raffreddamento”: il divieto di svolgere, alla cessazione del rapporto di lavoro, attività professionale presso soggetti privati destinatari dell’attività amministrativa è passato in emendamento da tre anni a un solo anno, una compressione ritenuta eccessiva dagli oppositori e da tecnici parlamentari. Analogo stop è stato applicato a una norma che avrebbe ridotto da dieci a quattro anni l’anzianità necessaria affinché i magistrati possano essere autorizzati al collocamento fuori ruolo; infine è stata cancellata la revisione della disciplina del personale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione.

La coincidenza temporale dell’inserimento di queste norme all’interno di un maxi-emendamento di oltre 900 commi — definito in aula «interamente sostitutivo» del testo originario — e la richiesta di fiducia sul pacchetto hanno reso la questione particolarmente critica, aumentando le accuse di “colpi di mano” e la mobilitazione delle opposizioni e delle organizzazioni sindacali. L’intervento correttivo ha reso ancor più accidentato il percorso della manovra, descritto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti come già «tortuoso». In aula, Giorgetti aveva difeso l’operato del governo, rigettando le accuse di austerità: «Politica di austerità? Io la traduco con il termine prudenza visto il livello del debito pubblico di questo Paese».

Negli scorsi giorni, erano arrivati importanti dietrofront in tema di norme sulle pensioni, in particolare con la cancellazione da parte del governo della misura che depotenziava il riscatto della laurea breve. L’esecutivo non ha invece bloccato l’adeguamento automatico alla speranza di vita, con lo scatto di un mese in più sui requisiti dal 2027 e di due mesi dal 2028. Nella manovra non vengono rinnovati i canali di pensione anticipata “speciali”, con l’uscita di scena di Quota 103 e di Opzione Donna. Dal 1° luglio 2026 entra il silenzio-assenso per la previdenza complementare dei neoassunti, con rinuncia entro 60 giorni. Da gennaio scatta l’obbligo Tfr al Fondo Inps per aziende con 50 dipendenti; dal 2032 l’obbligo riguarda chi ha almeno 40.

Dark Winds: la serie sul colonialismo americano che merita di essere vista

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Di fronte alle distese aride della Monument Valley, un panorama classico delle pellicole americane, il cinema ci ha abituati per decenni a uno sguardo univoco: quello del cowboy, del pioniere o dello sceriffo bianco. Con Dark Winds, la serie prodotta da AMC, questo paradigma viene ribaltato radicalmente. Basata sulla celebre saga letteraria Leaphorn & Chee di Tony Hillerman, la serie si muove sulle coordinate del noir classico, ma lo fa dall’interno della nazione Navajo, o più correttamente Diné, e dalla riserva in cui sono stati confinati, trasformando il paesaggio da sfondo estetico a protagonista politico e spirituale. Una storia non più raccontata dal punto di vista dell’uomo bianco, con l’indiano al massimo nel ruolo di co-protagonista, ma dagli occhi di chi vive un dramma personale e che porta con sé un trauma collettivo, intergenerazionale, storico. Sotto la tinta del racconto thriller/giallo, Dark Winds parla della colonizzazione, della sua brutalità e delle sue ferite, quelle passate e quelle attuali.

Ambientata negli anni ’70, quando la popolazione Diné affrontò il dramma degli effetti dell’estrazione di uranio, la narrazione segue il veterano Joe Leaphorn (Zahn McClarnon) e la giovane recluta Jim Chee (Kiowa Gordon). La trama gialla è il motore che permette di esplorare una realtà stratificata. Dark Winds, che tra i produttori ha personaggi del calibro di George R. R. Martin e Robert Redford, tra i suoi punti di forza ha il coinvolgimento massiccio di talenti nativi, da Graham Roland alla sceneggiatura fino alla regia e al cast. Questo garantisce un’autenticità che rifugge il “turismo culturale”.

Sotto la “patina” del thriller, la serie affronta temi brucianti della storia americana. Uno dei più potenti è quello della sterilizzazione forzata delle donne native, una pratica documentata che il governo statunitense ha attuato per decenni attraverso l’Indian Health Service e caduta via via in disuso dopo alcune riforme apportate in quel decennio. Nella serie, questo trauma non è un semplice espediente narrativo, ma una ferita aperta che definisce il rapporto di sfiducia tra la popolazione locale e le autorità federali (FBI), rappresentate come un corpo estraneo, spesso arrogante, sistematicamente cieco di fronte alle dinamiche della riserva e spiccatamente razzista.

Il thriller diventa quindi uno strumento per parlare di giustizia negata. Se nel noir tradizionale il detective è una sorta di eroe che cerca di ristabilire l’ordine in un mondo corrotto, in Dark Winds l’ordine non è mai esistito per i Diné. La legge stessa è lo strumento con cui l’oppressore commette e giustifica i propri crimini. Questi elementi, insieme alla sterilizzazione e all’estrattivismo, sono tutti parte del grande mosaico di ingiustizie che ha rappresentato la scenografia della storia del Nordamerica. 

Un altro asse critico fondamentale è lo scontro generazionale e identitario tra i due protagonisti. Leaphorn rappresenta l’equilibrio pragmatico, un uomo disilluso che ha imparato a navigare nel sistema dei bianchi senza dimenticare le proprie radici, mentre Chee incarna la tensione di chi è stato istruito fuori dalla riserva e deve “reimparare” a vedere il mondo attraverso la lente della propria cultura.

La serie affronta con rispetto il tema del “sovrannaturale” e della spiritualità Navajo. Il “vento oscuro” del titolo non è solo un riferimento atmosferico, ma un concetto metafisico legato al male che corrompe l’armonia (Hózhó). Tuttavia, la serie evita sapientemente di cadere nel misticismo stereotipato: le credenze tradizionali sono trattate con la stessa dignità e concretezza con cui un noir urbano tratterebbe questioni differenti.

Visivamente, la serie utilizza il territorio non come una cartolina turistica, ma come un labirinto emotivo. La vastità degli spazi, anziché suggerire libertà, accentua l’isolamento della riserva, una terra confinata dove il tempo sembra essersi fermato. È qui che il genere “Western” muore per rinascere come “Native Noir”. Come sottolineato da diverse critiche, la serie riesce a restituire ai nativi la facoltà di raccontare il proprio trauma senza mediazioni esterne.

Dark Winds non è solo un’ottima serie di genere, ma è un atto di riappropriazione culturale. Il crimine, in questa narrazione, non è solo l’omicidio su cui indagano Leaphorn e Chee, ma l’oblio sistematico a cui un intero popolo è stato condannato per secoli. Affrontando la violenza del passato attraverso i codici del giallo, la serie riesce nell’impresa più difficile: intrattenere il pubblico mentre lo costringe a guardare nelle ombre più profonde e meno esplorate della storia americana. È una serie necessaria, capace di dimostrare che il vero mistero da risolvere non è “chi è stato”, ma “come siamo arrivati fin qui”.

Antitrust, multa da 255 milioni a Ryanair: “Abuso di posizione dominante”

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L’Antitrust ha inflitto a Ryanair una sanzione di oltre 255 milioni di euro per abuso di posizione dominante nel mercato dei voli nazionali ed europei da e per l’Italia. Al centro del provvedimento, che riguarda il periodo tra aprile 2023 e aprile 2025, la strategia adottata dal vettore per ostacolare le agenzie di viaggio online e fisiche nella vendita di biglietti combinati con voli di altre compagnie o con servizi turistici e assicurativi. Secondo l’Autorità, la compagnia ha raggiunto una quota di mercato del 38-40%, tale da garantirle un potere significativo e un’azione indipendente da concorrenti e consumatori.

L’UE rinnova le sanzioni contro la Russia nonostante il disgelo tra Mosca e Parigi

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Via libera del Consiglio UE al rinnovo semestrale delle sanzioni economiche nei confronti della Russia, con l’approvazione di un pacchetto che comprende un ampio spettro di restrizioni settoriali. Il 2025 dell’Unione europea finisce così com’era cominciato: con l’obiettivo di aumentare la pressione sulla Russia, mentre sullo sfondo si consuma il paradosso europeo, ancorato a un doppio binario: da un lato l’inasprimento delle misure restrittive, dall’altro l’apertura cauta – quasi simbolica – a un possibile dialogo diplomatico tra Mosca e Parigi.

L’approvazione del Consiglio dell’Unione europea proroga fino al 31 luglio 2026 l’impianto sanzionatorio contro la Federazione Russa, in attesa di un ulteriore pacchetto di misure atteso entro il 24 febbraio, anniversario dell’Operazione Speciale. Il perimetro resta ampio e ormai ben rodato: divieto di importazione del petrolio russo via mare, esclusione di diversi istituti di credito dal circuito Swift, restrizioni tecnologiche e finanziarie, oltre al blocco delle licenze di trasmissione per numerosi media considerati organici al Cremlino e accusati di “disinformazione”. Secondo la Commissione, la linea non è destinata a cambiare finché continueranno gli attacchi russi contro i civili. Mentre Bruxelles ribadisce la necessità di “una pace giusta e duratura”, affida al presidente francese Emmanuel Macron il ruolo di esploratore diplomatico nei confronti dell’omologo russo Vladimir Putin, che si è detto pronto al dialogo. Nonostante i segnali di fumo tra Parigi e Mosca, nell’ultimo briefing con la stampa prima delle feste di fine anno, i portavoce della Commissione hanno ribadito la posizione di Bruxelles: «Restiamo in coordinamento con i singoli Paesi membri sui loro eventuali contatti bilaterali e accogliamo gli sforzi per la pace».

A incrinare il fronte interno dell’UE resta la posizione dell’Ungheria. Il premier Viktor Orbán ha attaccato duramente Bruxelles, sostenendo che le sanzioni abbiano colpito più l’Europa che la Russia, tra prezzi energetici elevati e perdita di competitività industriale: «Bruxelles aveva promesso che le sanzioni avrebbero schiacciato la Russia. Invece, hanno schiacciato l’Europa. I prezzi dell’energia sono esplosi, la competitività è crollata e l’Europa sta perdendo terreno. Questo è il prezzo delle cattive decisioni. Servono negoziati, non escalation», ha commentato con un video su X. Una critica che intercetta il malcontento di ampie fasce dell’opinione pubblica europea, ma che non ha modificato l’orientamento della Commissione. Palazzo Berlaymont continua a considerare la leva economica uno strumento imprescindibile di pressione geopolitica, nonostante i costi sociali e politici sempre più evidenti. La freddezza europea è alimentata anche dal fallimento dei recenti contatti informali e dall’assenza di segnali concreti sul cessate il fuoco. Intanto, lunedì il vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha avanzato la disponibilità della Russia a sottoscrivere un accordo giuridicamente vincolante in cui Mosca si impegna a non attaccare l’Unione europea e la NATO, dopo che il Presidente ucraino Volodymir Zelensky ha avanzato la proposta della rinuncia, da parte di Kiev, all’adesione all’Alleanza Atlantica, in cambio di garanzie di sicurezza “simil articolo 5” del Trattato del Nord Atlantico.

Parallelamente, la scorsa settimana, l’UE ha rafforzato il fronte della cosiddetta “guerra ibrida”, varando un nuovo pacchetto di sanzioni contro 48 persone fisiche e 35 entità accusate di interferenze politiche e azioni destabilizzanti. Nel mirino sono finiti analisti, commentatori e strutture legate all’ecosistema informativo del Cremlino. Tra i nomi più rilevanti figura John Mark Dougan, ex vicesceriffo statunitense con doppia cittadinanza, accusato di operazioni digitali pro-Mosca e legami con il GRU, il servizio segreto militare di Mosca. Colpiti anche cinque esponenti del Valdai Club, il forum internazionale di esperti, accademici e analisti di politica estera fondato nel 2004, che si svolge ogni anno a Sochi, considerato uno strumento di “soft power” del Cremlino. La “disinformazione” viene equiparata a una minaccia militare, marcando una scelta politica chiara: per Bruxelles il conflitto con la Russia si combatte soprattutto sul piano economico e narrativo. E mentre accusa Mosca di destabilizzazione, l’Occidente alimenta un clima di allarme permanente, funzionale a giustificare riarmo, aumento delle spese militari e progressiva militarizzazione, riducendo il dibattito e soffocando il dissenso.

USA: nuovo raid contro imbarcazione nel Pacifico orientale

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Gli Stati Uniti hanno effettuato un nuovo raid contro un’imbarcazione sospettata di traffico di droga nel Pacifico orientale, causando una vittima. Dall’inizio di settembre la campagna militare lanciata da Washington contro il narcotraffico ha provocato almeno 105 morti in 29 attacchi. In parallelo, il presidente Donald Trump ha annunciato il rafforzamento della Marina USA con una nuova classe di navi da guerra, le “Trump-class battleships”. La prima unità, la USS Defiant, inserita nel progetto Golden Fleet, è dotata di missili ipersonici e sistemi avanzati. Le operazioni si collocano in un clima di crescenti tensioni con il Venezuela, tra attacchi alla “flotta ombra” e blocco del greggio, segnando una linea sempre più muscolare nel Pacifico e nei Caraibi.