domenica 16 Novembre 2025
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Nasceva oggi Dostoevskij: lo scrittore che ha svelato il male (e la nostra umanità)

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204 anni fa, a Mosca, nasceva Fedor Dostoevskij, il più grande scrittore russo mai esistito. Per noi occidentali non è sempre facile comprendere il ruolo e il peso che ebbe Dostoevskij nella società russa e che ha tutt’ora. E non solo nel mondo russo. Dostoevskij, infatti, non fu soltanto uno dei più grandi scrittori mai esistiti. Le sue intuizioni sul funzionamento della psiche umana, l’inconscio, o come lo chiamava lui il sottosuolo, hanno ispirato Freud e Jung. Memorabili i suoi appelli accorati contro la pena di morte, che definisce la più barbara e crudele di tutte le pratiche; e la sua denuncia del sistema carcerario russo è disgraziatamente valida oggi come allora, e non riguarda soltanto il mondo russo. 

La filosofia che permea i suoi romanzi, una critica feroce all’utilitarismo e al razionalismo di matrice settecentesca, ha influenzato Nietzsche, Sartre, Camus, e centinaia di filosofi dopo di lui. Per non parlare di ciò che emerge dalle pagine de I fratelli Karamazov, nel capitolo Il grande inquisitore, un ritratto fin troppo veritiero e profetico di come funziona il Potere e di quali meccanismi lo sorreggano. 

Le sue opere continuano a essere lette, studiate e discusse non solo per la loro bellezza letteraria, ma perché ci spingono a riflettere su ciò che significa essere uomini. Come affrontiamo il male, dentro e fuori di noi? Quali sono i limiti della nostra libertà? Come possiamo comprendere quella cosa misteriosa che chiamiamo vita? «L’uomo è un mistero e noi dobbiamo svelarlo. Io mi occupo di questo mistero, perché voglio essere un uomo». Se la sua genialità, come filosofo, scrittore, come libero pensatore è fuor di dubbio, la sua vita continua a serbare qualche mistero.

Dostoevskij nel 1861

Chiunque legga la biografia di Dostoevskij, infatti, non può fare a meno di pensare: quest’uomo ha vissuto una lunga, interminabile serie di disgrazie. La deportazione in Siberia, la morte della prima moglie e dell’adorata figlioletta e poi ancora l’epilessia, la minaccia di sequestro delle sue proprietà, i debiti di gioco: l’intera esistenza di Dostoevskij fu scandita, scavata dalla sofferenza. Christina Danilovna Alčevskaja lo descrisse così: «Guardando il suo volto sofferente, i suoi bassi, piccoli occhi infossati, le sue rughe profonde, ciascuna delle quali sembrava avesse una sua biografia, si poteva dire con sicurezza che era una persona che aveva molto pensato, molto sofferto, molto sopportato». 

Ma facciamo un passo indietro. Quando aveva vent’anni, Dostoevskij fu condannato a morte per essersi ribellato allo zar. È il 22 dicembre del 1849 e in piazza Semënovskaja un gruppo di giovani, accusati di cospirazione e attività sovversive, vengono condotti al patibolo. Tra loro c’è anche Dostoevskij,

A un certo punto viene dato l’ordine di calare i cappucci sul capo dei prigionieri. «Ricordava tutto con insolita chiarezza e diceva che non avrebbe mai dimenticato nulla di quei minuti. […] Gli restavano in tutto cinque minuti di vita, non di più. […] ma in quel momento, diceva lui, niente era più opprimente di un pensiero incessante: E se potessi non morire? E se mi restituissero la vita? Sarebbe infinita! E sarebbe tutta mia! In tal caso, trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, calcolerei ogni minuto con precisione, non getterei più nulla invano!»

Questo è uno dei passi più belli de L’idiota: è il principe Mỳškin a parlare, ma in realtà è Dostoevskij che racconta e rivive quello che provò e sentì quella mattina di dicembre. Dostoevskij non morì sul patibolo: fu graziato per ordine dello zar Nicola, che aveva deciso di punire quel fastidioso gruppetto d’intellettuali e liberi pensatori, inscenando la loro esecuzione e graziandoli poco prima che venissero giustiziati. Soltanto per condannarli poi ai lavori forzati.

Così la mattina di Natale del 1849 ha inizio il viaggio di Dostoevskij per la fortezza di Omsk, nel cuore della Siberia. Quel viaggio sarebbe durato dodici giorni. L’ultima notte la trascorre nella prigione del castello di Toblosk. Il castello ancora oggi ha un fascino cupo; pare un’oscura sentinella che accoglie i visitatori che si spingono fino alla frontiera estrema dell’Europa. Da Toblosk giunge alla colonia penale Omsk, antesignana dei moderni gulag. 

Al suo arrivo viene spogliato, privato di qualsiasi effetto personale, e condotto in una minuscola cella. Un tavolaccio è l’unico letto che gli viene concesso. 

Di giorno ha il compito come gli altri detenuti di demolire vecchie navi in disuso; la sera viene nuovamente rinchiuso nella baracca. Durante la notte il caldo e l’afa sono insopportabili. La coesistenza forzata è anche peggiore. «Non si restava mai soli, neanche una volta, nemmeno un minuto: sempre sotto scorta; ma al tempo stesso si era sempre soli, senza amici, senza compagni, senza affetti. Non avevo, accanto a me, quasi un solo essere con cui scambiare una parola cordiale. Mi sentivo bandito, tagliato via dal mondo».

La vita non potrebbe essere più dolorosa: il cuore ha perso i suoi palpiti, il cibo non ha sapore, la vista, in quello spazio angusto e soffocante, non serve a nulla; ogni piacere intellettuale e poetico è perduto. 

Fu da quell’esperienza che nacque Memoria da una casa di morti, un resoconto della sua prigionia e della crudeltà sadica che gli uomini infliggono ai loro simili e che non può non farci tornare alla mente i nomi di Guantanamo, Abu Ghraib e di Ofer, la prigione israeliana dove i detenuti palestinesi sono sottoposti a torture senza fine. «Nelle prigioni di Israele non sei più un essere umano, ti vogliono trasformare in un insetto», racconta Khatib, un resoconto che pare uscito direttamente dalle pagine di Dostoevskij.

Memoria da una casa di morti è un resoconto della prigionia di Dostoevskij e della crudeltà sadica che gli uomini infliggono ai loro simili e che ci fa tornare in mente il trattamento disumano riservato agli ostaggi palestinesi nelle prigioni di Israele

«Adesso non capisco come abbia potuto viverci per dieci anni,» scrisse Dostoevskij al termine della sua condanna. «Fu una sofferenza indicibile, interminabile, perché ogni ora, ogni minuto pesava sulla mia anima come una pietra».

Qui però inizia a porsi le domande: perché l’uomo uccide un proprio simile? Che cosa sono il bene e il male? Da dove nasce e perché nasce il male? Come impedire cioè che i nostri peggiori istinti si trasformino in crudeltà, in sopraffazione e nella disumanizzazione di noi stessi e degli altri? Domande che non hanno soltanto una valenza filosofica ma che riguardano ogni aspetto della nostra vita, politica e sociale in primis. 

«Fratello, io non mi sono abbattuto, non mi sono perso d’animo. La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all’esterno. Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d’animo, ecco in che cosa consiste la vita».

Ma come restare umani? Come mantenere intatta la nostra umanità, quando la violenza e la crudeltà sono parte integrante del sistema-vita? Tra tutte le sue opere ce n’è una in particolare che risponde in modo esaustivo al problema più antico di tutti: come mettere un argine al male.

Sto parlando de I fratelli Karamazov, l’ultimo e mi azzardo a dire il suo più grande capolavoro, un romanzo che ruota attorno a un parricidio, ma che in realtà è un ritratto senza tempo dell’umanità in tutte le sue sfumature e dimensioni.

Nei Fratelli Karamazov c’è il padre che disprezza il figlio e il figlio che disprezza il padre, c’è la giustizia che s’inganna e commette errori, c’è la gelosia, la vendetta, il bene che lotta contra il male in quel campo di battaglia che si chiama il cuore dell’uomo. E poi ci sono momenti intensissimi di sofferenza e di riscatto, e soprattutto ci sono le idee, idee talmente forti e potenti che spingono alla salvezza o alla dannazione.

Dostoevskij, infatti, ci mostra quanto un sogno, un’idea, un amore possano accelerare il destino di un uomo e restituirlo a sé stesso. E infine c’è Dio, il problema Dio. Dio però non è qualcosa di astratto: è il senso e il significato della vita, i perché che la muovono. Tutti i personaggi di Dostoevskij si domandano: cos’è la vita? Per cosa vale la pena vivere? Per cosa voglio vivere?

Ivan Karamazov invece già a vent’anni medita di «mandare in pezzi la coppa della vita». Ivan è un giovane pieno di disperazione, di solitudine e di amarezza. Il dramma di Ivan è il dramma dell’uomo che non sente più nulla, è cinico, indifferente, imperturbabile, somiglia molto all’uomo contemporaneo che è capace di commettere o di assistere imperturbabile a ogni tipo di atrocità senza muovere un dito per fermarla. 

Ritratto di Dostoevskij realizzato da Vasily Perov. 1872

Il vero male, sembra dirci Dostoevskij, non nasce tanto dalla crudeltà o dal sadismo ma dall’incapacità di riconoscerlo e condannarlo come tale. Ma a un certo punto, in un momento di agnizione, Ivan confessa al fratello Alesa: «Le foglioline viscose della primavera, il cielo azzurro, ecco quello che amo! Qui non c’è intelligenza, non c’è logica, qui si ama con le viscere, col ventre». Questa è una delle pochissime volte in cui Ivan usa la parola amare. Alesa completa la sua intuizione dicendo: «Penso che tutti debbano amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo».

«Amare la vita più del suo significato?» gli domanda Ivan confuso, e nella sua domanda si avverte tutta la perplessità dell’uomo che fino ad allora si è affidato soltanto alla ragione.

«Certamente. Ama la vita più della sua logica solo allora ne capirai il senso». 

Le foglioline viscose a primavera, il cielo azzurro sono l’immagine simbolica di una vita che non può essere né spiegata né compresa ma soltanto sentita e vissuta. Quest’affermazione racchiude in pieno l’essenza della poetica dostoevskana e la parabola esistenziale che ha vissuto.

Tutti i personaggi di Dostoevskij sentono con forza. C’è Raskolnikov che vuole a tutti i costi far trionfare la sua idea, anche a costo di sfidare Dio, il mondo e la morale; c’è Mitja Karamazov che insegue senza sé e senza ma l’amore, e non si vergogna dell’intensità del suo sentimento. Altri come Natas’ja Filippovna nell’Idiota o l’uomo del sottosuolo sono guidati da una fortissima voglia di riscatto, di rivalsa, di vendetta perfino. La forza di questi personaggi sta nell’intensità con cui provano l’amore, l’odio, la tristezza, la gioia, il dolore.

Ma è la capacità di sentire e d’immedesimarsi nel dolore altrui, senza il filtro della ragione o della morale, a riscattare questi personaggi, e a redimerli. Il bene non è altro che la capacità di sentire; la crudeltà e la violenza nascono non da idee fuorvianti, o meglio non solo, ma da sistemi di pensiero, ideologie e morali che sacrificano il sentire sull’altare del pensiero. Con Dostoevskij cioè assistiamo a un ribaltamento della morale cartesiana: non più «penso, dunque sono», ma «sento, dunque sono». E anche soltanto per questo meriterebbe di essere letto e riletto all’infinito.

Trump riceve al-Sharaa e allenta le sanzioni alla Siria

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Storico incontro ieri a alla Casa Bianca tra il presidente americano Donald Trump e il presidente siriano Ahmad al-Sharaa, già leader della filiale siriana di al Qaeda, incarcerato e con una taglia di 10 milioni di dollari, inserito insieme al suo gruppo Hayat Tahrir al-Sham nelle liste terroristiche. Al termine del colloquio, Trump ha annunciato la sospensione per 180 giorni delle sanzioni previste dal “Caesar Act”, legge da lui stesso firmata durante il primo mandato per colpire il governo di Damasco. L’obiettivo, ha spiegato, è “consentire al Paese di ricostruirsi e prosperare”. La decisione segue la rimozione delle sanzioni personali contro Al Sharaa e altre misure di alleggerimento adottate negli ultimi mesi verso la Siria.

Italia, sempre più psicofarmaci a bambini e ragazzi: ricette triplicate in dieci anni

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In dieci anni, il consumo di psicofarmaci tra bambini e ragazzi è quasi triplicato: se nel 2016 venivano prescritte 20,6 confezioni ogni mille bambini, il numero ammontava a 59,3 confezioni nel 2024, raddoppiando nei soli quattro anni successivi alla pandemia. È questo il quadro dipinto dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), nell’ultimo Rapporto OsMed sull’uso dei farmaci in Italia nel 2024. I dati sono in linea con quanto rilevato ormai da anni da studiosi e ricercatori: il peggioramento della salute mentale dei giovani e dei giovanissimi, soprattutto a seguito della pandemia.

Il rapporto specifica che i farmaci descritti sono, in particolare, antipsicotici, antidepressivi e farmaci per l’ADHD (il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), con un andamento crescente per età: il massimo viene raggiunto nella fascia 12-17 anni, nella quale il consumo è di 129,1 confezioni ogni 1000, ovvero l’1,17% della popolazione affetta da disturbi di qualche tipo. Secondo il report, si tratta di un trend in crescita in linea con i risultati di altri studi epidemiologici internazionali, nei quali si riscontra un generale aumento del numero di prescrizioni di questo genere di farmaci in quasi tutti i Paesi del mondo – in particolare, dopo la pandemia da Covid-19. E che le politiche di restrizione sociale imposte per il contenimento di quest’ultima abbiano rappresentato un acceleratore del disagio giovanile è ormai un fatto conclamato, anche se non rappresentano l’unico fattore di disagio.

Già nel 2023, l’ISS (Istituto Superiore della Sanità) rilevava che disturbi alimentari quali l’anoressia, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (che al 90% riguardano persone di sesso femminile) fossero aumentati del 40% tra il 2019 e il 2021, mentre l’età di esordio dei disturbi si abbassava al punto che il 30% della popolazione affetta aveva meno di 14 anni. Lo stesso ministero della Salute specificava inoltre che il dato potrebbe essere enormemente sottostimato, dal momento che gran parte dei soggetti affetti da queste patologie non arriva alle cure. In contemporanea, è stato rilevato un aggravarsi della situazione dei giovani che, prima dell’arrivo della pandemia, soffrivano già di disturbi alimentari. Nel solo Ospedale Pediatrico Bambin Gesù gli accessi al pronto soccorso per disturbi del comportamento alimentare csono raddoppiati tra il 2021 e il 2022, mentre i ricoveri sono aumentati di oltre il 50% (dai 180 casi pre-pandemia ai 300 del 2022). La situazione non è migliorata con il passare del tempo, con le diagnosi di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione che sono aumentate del 64% trail 2019 e il 2025 nel solo Ospedale Bambin Gesù, con età di insorgenza che si è abbassata fino agli 8 anni. Un ruolo nell’aggravarsi dell’incidenza di disturbi di questo genere (e del peggioramento generale dela salute mentale dei giovani) lo giocano anche i social media, i quali aumentano dinamiche di confronto sociale e di ossessione per l’esercizio fisico.

Tra il 2019 e il 2022 è inoltre raddoppiato il numero di giovani che si isolano e smettono di incontrare gli amici all’infuori della scuola, tanto che gli esperti parlano di un fenomeno ormai strutturale e non legato a specifiche condizioni socio-economiche o geografiche. Lockdown e didattica a distanza hanno infatti accelerato il passaggio delle interazioni umane a quelle della sfera virtuale, con conseguenze tangibili sulla salute mentale. In contemporanea, sono peggiorate le relazioni familiari, è diminuita la fiducia negli altri ed aumentata l’esposizione al cyberbullismo.

Secondo l’UNICEF, il peggioramento della salute mentale dei giovani a causa dell’isolamento sociale imposto dalle politiche di contenimento della pandemia è stato senza precedenti. Se già prima del 2020 il disagio mentale giovanile era un problema ampiamente diffuso, e non solo in Italia, le restrizioni imposte con il Covid hanno fatto da acceleratore di queste dinamiche. Nel 2021, il suicidio era la prima causa di morte dei giovani tra i 15 e i 19 anni in Europa settentrionale e Asia centrale, la seconda in Nord America, Europa occidentale e Africa occidentale e centrale.

Le radici di una problematica di questa entità affondano nel sistema culturale ed economico che contraddistingue la società moderna. E se un ripensamento e un percorso di profonda autocritica da parte del sistema attuale sembra imprescindibile, nell’immediato sarebbe utile implementare politiche statali che aiutino ad arenare il disagio delle generazioni più giovani, implementando anche i finanziamenti a settori quali lo sport e la cultura parallelamente al supporto a strutture e strumenti di cura. Eppure, la situazione sembra quantomeno incerta, alla luce di provvedimenti quali quello previsto nella Legge di Bilancio del 2025, dove sono stati eliminati tutti i finanziamenti per le case di cura specializzate in disturbi alimentari esistenti su territorio nazionale. In generale, fondi e operatori della salute mentale in Italia scarseggiano, con l’Italia fanalino di coda tra i Paesi ad alto reddito europei per la quota di spesa per l’assistenza psichiatrica.

In Italia nel 2024 sono stati piantati oltre 3 milioni di nuovi alberi

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Nel 2024 in Italia sono stati messi a dimora 3.048.933 nuovi alberi, pari a quasi 4.000 ettari di nuove superfici verdi. Un incremento del 31% rispetto all’anno precedente, che conferma un’accelerazione nelle politiche di forestazione a livello nazionale. A certificarlo è l’Atlante delle Foreste, pubblicazione curata da Legambiente e AzzeroCO2 con il supporto tecnico di Compagnia delle Foreste per Il Sole 24 Ore, che ha analizzato 294 progetti avviati su tutto il territorio, sia in ambito urbano che extraurbano.
Secondo il quadro emerso, in cima alla classifica delle Regioni spicca ancora una ...

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Pakistan, scontri al confine con l’Afghanistan: uccisi 20 miliziani

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L’esercito pakistano ha ucciso 20 miliziani del gruppo Tehrik-e-Taliban Pakistan in un attacco condotto nell’area nordoccidentale del Paese, al confine con l’Afghanistan. Parallelamente, riporta l’esercito, un altro gruppo di militanti avrebbe tentato di assaltare un collegio a Wana, una città nel distretto del Waziristan meridionale, anch’essa situata nel nord-ovest; l’esercito ha risposto aprendo il fuoco contro gli assalitori, uccidendo altri due miliziani. Gli scontri avvengono in un contesto di tensione tra Pakistan e Afghanistan, che hanno recentemente siglato un cessate il fuoco; sabato 8 novembre il Pakistan ha interrotto i colloqui con Kabul, mantenendo tuttavia attiva la tregua.

Germania, la cannabis legale funziona: meno reati e nessuna crescita del consumo

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Germania cannabis riforma dati

Era il primo aprile del 2024 quando in Germania entrò in vigore la legge (KCanG) che ha reso legale l’autoproduzione di cannabis in forma domestica e associata nei Cannabis Social Club, oltre che il consumo per i maggiorenni, con alcune limitazioni. Una legge che non rappresenta una completa legalizzazione, perché non sono presenti negozi con licenze deputati alla vendita, ma che in Europa ha stabilito uno spartiacque nelle politiche sulla cannabis perché, nonostante Malta e Lussemburgo ne avessero approvate di simili, è arrivata dalla più grade economia europea che ha la forza di indicare la strada anche agli altri Stati membri.

Mentre infatti in Europa la EUDA (European Union Drugs Agency) sta promuovendo il progetto Cannapol per fornire strumenti di policy che accompagnino governi nazionali nel disegnare regolamentazioni basate su evidenza scientifica, vale la pena ricordare che, se le legalizzazioni americane sono arrivate principalmente per ragioni economiche, la svolta nel cuore dell’Europa è arrivata per motivi sociali e sanitari. “Mi preoccupo di proteggere e aiutare le persone, non di punirle. Con la vendita controllata e regolata della cannabis in Germania, faremo la storia europea” aveva infatti sottolineato Burkhard Blienert, l’allora commissario tedesco per le droghe, spiegando che l’approccio sarebbe stato rivoluzionario e avrebbe portato un “vero cambiamento di paradigma nella politica delle droghe e delle dipendenze”.

Perché è questo il punto sul quale si gioca tutto: scegliere se continuare con l’impostazione fallimentare della “guerra alla droga”, che non tocca quasi mai gli interessi dei grandi gruppi criminali e porta in carcere semplici consumatori, facendoci spendere cifre assurde per controlli e processi, in un cortocircuito che si autoalimenta, oppure smetterla di criminalizzare chi consuma sostanze per iniziare a inquadrare la questione dal punto di vista sociale, sanitario e dei diritti umani. Siamo talmente abituati alla logica attuale, che pensare a un consumatore di cannabis in carcere non ci crea grandi problemi, nonostante non ci sia né un reato né un’offesa alla cosa o alla salute pubblica. Ma cercare di risolvere il problema delle droghe nella società, presenti da millenni e a tutte le latitudini, mettendo in galera chi le consuma, è come pensare di risolvere il problema dell’obesità arrestando chi mangia tanto.

Ecco perché è importante analizzare i dati che arrivano dalla Germania, per capire quale strada sia meglio scegliere. Ekocan è il progetto che valuta gli effetti della legge tedesca a partire dai dati, e la prima analisi è stata pubblicata a fine settembre.

Mercato della cannabis
Le prime analisi indicano che nel 2024 la domanda complessiva di cannabis in Germania – considerando sia l’uso medico che quello ricreativo – si è attestata tra le 670 e le 823 tonnellate. Solo una piccola parte di questo fabbisogno, pari al 9-13%, è stata soddisfatta attraverso il canale medico, mentre i club di coltivazione associati hanno coperto meno dello 0,1%. Il resto della domanda proviene principalmente dall’autoproduzione domestica o dal mercato illegale.

Tutela dei giovani
“I dati finora disponibili non rivelano effetti a breve termine sull’utilizzo dei servizi di prevenzione da parte dei giovani”, spiega il rapporto, mettendo in chiaro che: “Tuttavia, vi sono indicazioni sia di una diminuzione delle segnalazioni relative alla cannabis agli uffici di assistenza ai minori, sia di una diminuzione del numero di sedute di consulenza per le dipendenze a cui i giovani accedono. Questi sviluppi possono essere in parte spiegati dal calo del consumo di cannabis tra i giovani, osservato dal 2019 e che sembra continuare anche dopo la legalizzazione parziale”.

Tutela della salute
“Non si sono osservati chiari cambiamenti nell’attuale tendenza al consumo di cannabis tra gli adulti. L’aumento percentuale di adulti che hanno fatto uso di cannabis negli ultimi 12 mesi, osservato a partire dal 2011 circa, dovrebbe proseguire nel 2024 e nel 2025 senza drastici cambiamenti. Anche i risultati del monitoraggio delle acque reflue di undici città non indicano un aumento improvviso del consumo di cannabis”, si legge nello studio.

Reati correlati
Il punto principale è che “la legge sulla cannabis rappresenta la depenalizzazione più significativa nella storia della Repubblica Federale Tedesca in termini quantitativi”. Secondo le autorità tedesche: “Ha un impatto considerevole sul lavoro delle forze dell’ordine. I cosiddetti “reati di consumo” ai sensi della legge sugli stupefacenti (BtMG), precedentemente considerati dalla legge, hanno in gran parte cessato di essere perseguiti dal 1° aprile 2024. Tuttavia, con la definizione di nuovi reati amministrativi (ad esempio, il consumo in presenza di minori) e reati penali (ad esempio, la coltivazione di più di tre piante di cannabis), sono emersi anche nuovi compiti e responsabilità per le autorità, alcuni dei quali sono ancora poco chiari”. Ad ogni modo nello studio viene scritto chiaramente che: “I dati disponibili indicano che il numero totale di reati correlati alla cannabis denunciati è diminuito del 60-80%”.

Stragi di mafia: Mori querela Salvatore Borsellino, l’ex terrorista Bellini verso l’archiviazione

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Il dibattito politico-culturale e l’iter giudiziario sulle stragi di mafia del 1992-1993 continuano a riservare grosse sorprese. Negli ultimi giorni, infatti, il fratello di Paolo Borsellino, fondatore del Movimento delle Agende Rosse, si è visto recapitare un avviso di conclusione indagini in seguito a una querela indirizzata nei suoi confronti dall’ex ufficiale dei ROS Mario Mori, risultando dunque indagato per diffamazione. Imputato (uscito assolto) al processo “Trattativa” e attualmente indagato per concorso in strage ed eversione dalla Procura di Firenze, Mori si è sentito diffamato da una dichiarazione del fratello del giudice, che lo ha accusato di conoscere il contenuto della famosa agenda rossa trafugata in via D’Amelio dopo l’esplosione della bomba e di pilotare la Commissione Antimafia. Parallelamente, a Caltanissetta, la Procura ha chiesto l’archiviazione per Paolo Bellini, ex estremista nero condannato come esecutore della strage di Bologna, che prima della consumazione delle stragi degli anni Novanta fu in stretti rapporti con Nino Gioè, uno dei boia di Capaci e “cerniera” tra Cosa Nostra e il mondo dei servizi.

Mori contro Borsellino

«Sono incriminato ai sensi dell’articolo 595, comma 2, per diffamazione aggravata, pronunciata in luogo pubblico, con l’aggravante dell’offesa consistente nell’attribuzione di fatti determinati. Dopo trenta anni di lotta per la Verità e la Giustizia sono io, fratello di Paolo Borsellino, ad essere incriminato. Ma ne sono contento. Finalmente, davanti ad un giudice, si potrà parlare del furto dell’Agenda Rossa». Salvatore Borsellino commenta con queste parole l’avviso di conclusione delle indagini preliminari relative a una denuncia per diffamazione aggravata presentata da Mario Mori, che lo vedono incriminato per alcune frasi proferite lo scorso 18 luglio in un convegno organizzato da Antimafia Duemila a Villa Trabia (Palermo). Come ricorda lo stesso Borsellino, in occasione dell’incontro il fratello di Paolo ha affermato che, «dato che l’Agenda Rossa è stata sottratta dal luogo della strage dai servizi, Mario Mori, essendo stato a capo dei servizi stessi, ne conosce il contenuto e sa dove viene occultata e ha utilizzato il contenuto di questa agenda e il potere che gli deriva da questa conoscenza per influenzare la Commissione Parlamentare Antimafia e le sue scelte relative ai consulenti da nominare». Mario Mori è passato alle vie di fatto, querelandolo. A commentare l’accaduto è stato il legale di Borsellino, Fabio Repici, il quale ha annunciato che il procedimento che si aprirà «rappresenta l’insperata occasione di fare passi avanti sulla ricerca della verità, anche sulla sottrazione dell’agenda rossa», aggiungendo che, dal momento che «il diritto di difesa del fratello di Paolo Borsellino non è conculcabile da nessuno, chiederemo al procuratore Melillo e al procuratore De Lucia (della Procura di Palermo che, nello specifico, è stata investita della questione, ndr) di attivarsi per metterci a disposizione le intercettazioni disposte su Mori dalla Procura di Firenze, che dimostrano proprio come il generale abbia pilotato l’attività della Commissione Antimafia». Il tema era stato oggetto di una puntata di Report, andata in onda lo scorso giugno, dal titolo “Mori va alla guerra”.

La posizione di Bellini

«Contemporaneamente oggi mi è arrivata dal Tribunale di Caltanissetta anche la notifica della richiesta di archiviazione, a firma del PM Valeria Andolina, del procedimento penale a carico di Paolo Bellini – ha annunciato Salvatore Borsellino – Lo stesso Paolo Bellini che è stato recentemente condannato in via definitiva all’ergastolo per la sua partecipazione, come autore materiale, alla strage di Bologna. Io indagato, Paolo Bellini archiviato. GIUSTIZIA E’ FATTA». Effettivamente, lo scorso luglio la Procura di Caltanissetta ha chiesto di archiviare l’indagine su Paolo Bellini in relazione alle stragi del 1992, aperta nel 2022. Giovane membro del MSI e poi di Avanguardia Nazionale, legatissimo a Stefano Delle Chiaie, coperto (secondo la Corte d’assise che lo ha condannato) dai servizi segreti dopo aver ucciso, nel 1975, il militante di Lotta Continua Alceste Campanile, negli anni Novanta Paolo Bellini divenne killer di ‘Ndrangheta, per poi pentirsi e confessare 13 omicidi. Nel giugno del 2023, Bellini era stato perquisito e interrogato dagli inquirenti: nel decreto venivano ricostruiti i suoi viaggi in Sicilia nel 1992, che sarebbero stati effettuati anche per incontrare il boss di Altofonte Nino Gioè, poi protagonista di uno strano “suicidio” in carcere nel 1993. Recentemente, Bellini è stato condannato all’ergastolo per essere uno degli esecutori della strage di Bologna del 2 agosto 1980 e archiviato dal gip di Firenze in relazione alle stragi degli anni Novanta.

La posta in gioco

Attenzione, però, a dare tutto per scontato: già nel 2022 la Procura di Caltanissetta tentò di arrivare all’archiviazione dell’inchiesta sui presunti mandanti esterni della strage di via D’Amelio. La gip Graziella Luparello, però, si oppose, dando impulso a nuove indagini ed esplicitando anche i “binari” sui quali far convogliare le energie investigative dei pm: la possibile rilevanza della «pista ‘istituzionale’», incentrata sul «concorso nelle stragi di personaggi delle istituzioni deviate, eventualmente organizzati in organismi paramilitari»; quella dell’eventuale presenza «di un anello, di carattere politico, individuabile in un personaggio o in un partito politico che potrebbe aver concorso a definire la strategia della tensione, allo scopo di legarsi, in un reciproco ‘do ut des’, a Cosa Nostra» e quella della «pista nera», che evidenzi le possibili «collusioni tra mafia siciliana ed esponenti di destra eversiva» nell’ambito della «lettura coordinata dei diversi delitti eccellenti degli anni ’80-’90». Tra le figure che, secondo la gip, meritano un accurato approfondimento investigativo, c’è ovviamente anche quella di Paolo Bellini. Quest’anno è arrivata un’altra richiesta di archiviazione da parte dei pm, su cui Luparello deve ancora pronunciarsi.

Mori e Bellini

Nel 1992, i destini dei protagonisti di queste storie incrociate, Mori e Bellini, si incontrarono. In quella fase storica, infatti, il carabiniere Roberto Tempesta inviò Bellini, in qualità di infiltrato, dai membri di Cosa Nostra con l’obiettivo di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinacoteca di Modena. Bellini si rapportò in via diretta con Nino Gioè, capomafia di Altofonte, che aveva conosciuto nel carcere di Sciacca nel 1981. Gioè fornì a Bellini un biglietto contenente i nomi di cinque importanti mafiosi allora detenuti, chiedendo per loro “arresti domiciliari o ospedalieri” per la buona riuscita della trattativa. Il documento arrivò sul tavolo del colonnello Mori, che reputò subito improponibili le richieste ma che, senza sequestrarlo né informare l’Autorità Giudiziaria, trattenne il biglietto e lo distrusse. Mori è oggi sotto inchiesta per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico nell’indagine sui mandanti delle stragi del 1993. Tra le altre cose, infatti, la Procura di Firenze afferma che Mori sarebbe «stato informato già nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale italiano, in particolare alla Torre di Pisa». Al momento, comunque, si tratta solo di accuse.

Obroni Wawu October: una storia di resistenza tessile e spirito di comunità

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Resilienza, resistenza, creatività e comunità: questi sono gli ingredienti principali del festival Obroni Wawu October, evento giunto alla sua quarta edizione in quel di Accra (Ghana), vicino al “famoso” mercato di Kantamanto, il più grande cestino dei rifiuti tessili del mondo dove ogni settimana vengono scaricati circa 15 milioni di articoli.

Non potendo assimilare e smaltire questa quantità infinita di prodotti, l’ingegno e la voglia di fare hanno trovato una via di fuga. Inondate il nostro Paese con i vostri rifiuti? Noi li trasformiamo in bellezza. 

È così che Rawlings Park, alla fine del mese scorso, si è trasformato in un’esplosione di colore e spirito di comunità per la celebrazione del OWO Day 2025, evento finale di un mese dedicato all’upcycling, pratica di recupero e trasformazione di “scarti” in pezzi di design dal valore nettamente superiore ormai entrata nel vocabolario comune del mondo moda, ma non solo. Arte in cui gli abitanti di Accra sono diventati non solo abili , ma quasi maestri, grazie alla forza, alla visione e alle abilità artistiche delle persone che vivono e danno vita a una delle economie dell’usato più dinamiche al mondo. 

Fonte foto: Obroni Wawu October

Il tema dell’edizione di quest’anno è stato:  Kantamanto! – una celebrazione della forza e della determinazione della comunità, una spinta a risollevarsi e risorgere dalla “spazzatura” uniti e creativi, pronti ad essere riconosciuti come hub globale per la circolarità tessile. Riutilizzo, riparazione, rigenerazione e upcycling sono le chiavi e gli strumenti che hanno animato questo che non è un semplice festival, ma una celebrazione dell’innovazione e della creatività; uno spazio dove si celebrano talento e competenze, mentre si creano momenti dedicati all’istruzione e all’emancipazione grazie ai tessuti. Arti di filo come terapia, tessuti come tele di libertà, fili che intrecciano vite e formano corde di salvataggio e vie di fuga da quell’economia mondiale che cerca di affossare uno dei luoghi dove la voglia di fare vibra in ogni angolo. E che dovrebbe essere presa come esempio da tutto il mondo.

Il processo che ha portato all’evento finale è iniziato nel mese di luglio, dove la OWO School ha messo in atto un programma educativo di quattro mesi per i professionisti dell’upcycling di Kantamanto. Un accelleratore di moda upcycled, dove rappresentanti della Or Foundation hanno fornito risorse, laboratori pratici, consulenze professionali, connessioni con punti vendita e con altri professionisti, per lo sviluppo del proprio marchio, oltre che tecniche pratiche per la costruzione dei propri capi/accessori. 

Sono state create sette collezioni collaborative, il cui scopo era esplorare e raccontare storie di piacere, resilienza, creatività, gioia. 

Eventi per riunire la comunità ed affrontare in maniera pratica argomenti come sostenibilità e solidarietà sono stati organizzati durante tutto il mese di Ottobre dalla Fondazione Or, in collaborazione con la Kantamanto Obroni Wawu Businesses Association, la Kantamanto Women’s Association e la Kantamanto Upcyclers Association.

A partire da una pulizia della spiaggia per raccogliere i rifiuti tessili lungo tutta la costa di Accra; insieme ai membri della comunità di Kantamanto, allo staff della Fondazione e ai volontari del pubblico, sono state prelevate circa 29 tonnellate di rifiuti prima che entrassero nell’oceano; una bella dimostrazione di responsabilità ambientale e azione collettiva. A seguire una serata dedicata alle donne che lavorano come capo-facchini al mercato di Kantamanto, la Kayayei Night (kayayei è il nome con cui vengono indicate queste signore) e un grande “Block Party” che ha animato lo Shoe Yard del mercato a ritmo di musica trap locale e venditori di articoli di seconda mano. Il tutto ha condotto alla serata finale, l’ultima domenica di ottobre: una spettacolare celebrazione a base di usato, riciclo creativo, artigiani e upcycler e cibo di strada del posto. 

Fonte foto: Obroni Wawu October

Le strade si sono colorate di moda, non quella blasonata e griffata, ma quella fatta da chi ha veramente passione e visioni, tra creativi e grande pubblico, che ha sfoggiato look originali gareggiando per l’ambito titolo di Best Dressed. Il premio del Talent Show ha omaggiato con un premio di 2.000 cedis il vincitore della gara.

Ma il premio morale va a tutta questa comunità che, nonostante la situazione critica in cui verte il territorio, ha saputo rialzarsi, creare, gioire e fungere da esempio virtuoso per tutti: il talento non ha bisogno di grandi scuole, ma di volontà, visione e collaborazione. Questo festival ha il potere di mettere davanti al mondo occidentale, e al sistema moda globale, la loro totale inefficienza e a fare i conti con il loro modello di business obsoleto basato sullo spreco.

L’UE limita i visti ai cittadini russi: «rischio di sabotaggi e guerra ibrida»

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«Viaggiare nell’UE è un privilegio, non un diritto acquisito». La guerra diplomatica ed economica tra l’Europa e la Russia, si arricchisce di un nuovo capitolo: il 7 novembre l’Unione europea ha introdotto nuove restrizioni agli ingressi dei cittadini russi sul suo territorio. La stretta sui visti era nell’aria da settimane ed è stata ufficializzata dall’Alto Rappresentante Kaja Kallas: «Scatenare una guerra in Europa e pretendere di viaggiare liberamente nel continente è piuttosto difficile da giustificare», ha scritto Kallas su X. Da ora, i cittadini russi non potranno più ottenere visti per ingressi multipli, ma solo per un unico ingresso, ha precisato la Commissione europea.

È l’ennesima misura dal forte valore simbolico, in cui ogni gesto di Mosca viene letto come una potenziale minaccia e ogni decisione di Bruxelles appare come una difesa preventiva contro un nemico ormai percepito come onnipresente. Le autorità europee hanno giustificato la nuova politica con la necessità di «proteggere la sicurezza interna» e di ridurre il rischio di «sabotaggi, spionaggio e guerra ibrida». «In un momento in cui aumentano gli atti di sabotaggio e le intrusioni di droni, abbiamo il dovere di proteggere i nostri cittadini», ha spiegato Kallas. Secondo l’UE, l’aumento dei droni rinvenuti nei pressi di infrastrutture strategiche sarebbe la prova di una “pressione” russa volta a destabilizzare l’Europa. La misura va ben oltre il piano della sicurezza e rappresenta una scelta politica prebellica, che segna l’ennesimo passo nel progressivo isolamento culturale e sociale della Russia dal resto del continente. Bruxelles ha stabilito che potranno ottenere un visto solo i russi che viaggiano per motivi familiari urgenti, giornalisti indipendenti, difensori dei diritti umani o dissidenti del Cremlino.

Non sorprende che Mosca abbia reagito con durezza. Il Ministero degli Esteri russo ha parlato di decisione discriminatoria, definendo l’UE «ostaggio della propria russofobia». La portavoce Maria Zakharova ha accusato Bruxelles di preferire «disertori ucraini e migranti illegali ai turisti russi con capacità di spesa». Secondo il Cremlino, si tratta di un atto politico dettato da interessi geopolitici e pressioni interne, non da reali esigenze di sicurezza. Mosca ha evidenziato come l’Unione Europea sembri ormai intrappolata in una narrativa bellica permanente, dove ogni azione russa – reale, presunta o inventata – serve a consolidare un fronte politico compatto contro un nemico esterno. È una logica di blocco che riporta l’Europa indietro di decenni, alla guerra fredda. Oggi, la “guerra ibrida” ha preso il posto della “minaccia sovietica”, ma la dinamica è la stessa: costruire l’immagine del pericolo per rafforzare il consenso interno e deviare l’attenzione dalle fratture economiche e sociali che attraversano l’UE.

L’Unione Europea, che un tempo si presentava come garante della libertà di movimento e dei diritti universali, appare oggi sempre più chiusa in un sistema di regole e controlli. Il sospetto è diventato la cifra dominante di una burocrazia che tende a giudicare non ciò che una persona fa, ma ciò che rappresenta. La logica del “rischio potenziale” ha trasformato la sicurezza in un filtro ideologico che restringe spazi e diritti, censura le opinioni divergenti, sostituendo la fiducia con il controllo. Così l’Europa, nata per abbattere muri e confini, finisce per innalzarne di nuovi, più invisibili ma altrettanto rigidi. Le parole di Kaja Kallas, che ha definito i viaggi nell’UE un “privilegio”, segnano un cambio di paradigma: la libertà non è più un diritto da tutelare, ma un favore da concedere. Nel tentativo di difendersi da un nemico percepito come onnipresente, l’Europa rischia di rinchiudersi in una nuova cortina di sospetti e divieti che ne limita lo spirito originario più di qualunque minaccia esterna.

Esplosione a Nuova Delhi: almeno 8 morti

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A Nuova Delhi, capitale dell’India, almeno 8 persone sono morte e altre 24 sono rimaste ferite a causa di una esplosione. L’esplosione è avvenuta nei pressi del Forte Rosso, edificio patrimonio dell’umanità situato nel centro della città. Ancora ignote le cause dell’esplosione, che ha causato un grande incendio. Dalle prime notizie diffuse dai media locali, sembra sia esplosa un automobile.