Turchia e Libia hanno perso i contatti con un jet in cui si trovava Mohamed Ali Ahmed Al-Haddad, capo dell’esercito libico. L’aereo era partito dall’aeroporto Esenboga di Ankara, Turchia, ed è scomparso dai radar poco dopo la partenza. Il ministro degli Interni turco ha dichiarato che prima di sparire dai sistemi di tracciamento l’aereo ha inviato un segnale di atterraggio di emergenza nei pressi di Haymana. A bordo, oltre al capo dell’esercito libico, sono presenti altre 5 persone. Le autorità si sono mobilitate per cercare l’aereo. Alcuni media riportano che il jet si sarebbe schiantato portando a supporto il video di una telecamera urbana; non è attualmente possibile confermare tale versione.
Israele ha approvato 19 nuove colonie illegali in Cisgiordania
JENIN, CISGIORDANIA OCCUPATA – Il governo israeliano ha dato il via libera ufficiale alla creazione di 11 nuove colonie e ha legalizzato 8 avamposti illegali in Cisgiordania occupata. Salgono così a 69 gli insediamenti – illegali secondo il diritto internazionale – che il governo di Netanyahu ha approvato negli ultimi tre anni. Prima di allora, dalla fine degli anni ‘90, non erano quasi state approvate nuove colonie né legalizzati avamposti. Secondo l’organizzazione israeliana Peace Now, la recente approvazione aumenta il numero di colonie in Cisgiordania di quasi il 50% dall’insediamento dell’attuale governo, ossia da 141 insediamenti nel 2022 ai 210 odierni. Senza contare gli outpost, le occupazioni di terre illegali anche secondo la legge israeliana, che segnano l’inizio di una nuova, futura colonia, i cui numeri sono esplosi dal 7 di ottobre ad oggi. “Stiamo impedendo la creazione di uno Stato terrorista palestinese sul territorio. Continueremo a sviluppare, costruire e insediarci nella terra dei nostri antenati”, ha affermato il ministro di estrema destra Smotrich, uno dei leader del movimento per la colonizzazione della Cisgiordania.
Circa la metà degli avamposti si trova nell’entroterra della Cisgiordania, mentre gli altri sono distribuiti in modo più o meno uniforme lungo la Linea Verde che separa il territorio da Israele. Due degli insediamenti – Ganim e Kadim – erano stati evacuati in base ai termini dell’accordo di disimpegno del 2005, con cui Israele si era ritirato unilateralmente da Gaza e da quattro avamposti illegali in Cisgiordania. Gli altri due, Homesh e Sa Nur, sono stati formalmente ricostituiti nel maggio di quest’anno. Per Smotrich, “dopo vent’anni, stiamo riparando a una dolorosa ingiustizia e riportando Ganim e Kadim sulla mappa degli insediamenti”. Un altro gesto che mostra i passi indietro di Israele rispetto a quello che le dichiarazioni delle Nazioni Unite continuano a chiedere allo Stato sionista, ossia di smantellare le colonie e ritirarsi dalla Cisgiordania.
Continua a una velocità sorprendente il piano di colonizzazione e frammentazione della Palestina occupata dal 1967; i coloni e l’esercito continuano a sgomberare comunità palestinesi, demolendo abitazioni e distruggendo i mezzi di sussistenza di migliaia di famiglie, mentre avanzano le costruzioni di nuovi insediamenti illegali e la loro legalizzazione da parte di Tel Aviv. Il tutto promosso e finanziato esplicitamente del governo di Netanyahu, che la settimana scorsa ha approvato il bilancio dello Stato includendo un piano di spesa di circa 720 milioni di euro per l’espansione degli insediamenti e la legalizzazione degli avamposti costruiti senza autorizzazione governativa.
Secondo un recente rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania è al suo tasso più alto almeno dal 2017, quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare tali dati. Nel rapporto si legge anche come continuano ad aumentare esponenzialmente le unità abitative avanzate, approvate o messe in gara d’appalto; solo nel 2025, sono 47.390, rispetto alle circa 26.170 del 2024. “Queste cifre rappresentano un forte aumento rispetto agli anni precedenti”, ha aggiunto, sottolineando che tra il 2017 e il 2022 sono state aggiunte in media 12.815 unità abitative all’anno. Guterres ha condannato l’espansione “incessante”, affermando che “continua ad alimentare le tensioni, impedisce ai palestinesi di accedere alla loro terra e minaccia la fattibilità di uno Stato palestinese pienamente indipendente, democratico, contiguo e sovrano”.
Intanto, a Gaza, le nuove regole israeliane sulle ONG rischiano di privare ulteriormente centinaia di migliaia di persone di cure mediche. È la denuncia di Medici Senza Frontiere, una delle più grandi organizzazioni mediche che opera nella Striscia, che rischia di essere buttata fuori dal territorio a partire dal 1 gennaio 2026 a causa delle nuove misure introdotte dal governo di Tel Aviv per la registrazione delle organizzazioni non governative internazionali. “Il sistema sanitario di Gaza è ormai distrutto, e se le organizzazioni umanitarie indipendenti ed esperte perdessero la possibilità di operare, ne conseguirebbe un disastro per i palestinesi. Chiediamo alle autorità israeliane di garantire che le ONG internazionali possano continuare a operare in modo imparziale e indipendente a Gaza. La risposta umanitaria, già limitata, non può essere ulteriormente ridotta,” denuncia l’organizzazione, che opera dal 1989 sul territorio.
Secondo la nuova misura introdotta a partire dal 2026 le richieste di registrazione verrebbero respinte da Israele per quelle “organizzazioni coinvolte nel terrorismo, nell’antisemitismo, nella delegittimazione di Israele, nella negazione dell’Olocausto, nella negazione dei crimini del 7 ottobre”. Ma come ha spiegato all’AFP Yotam Ben-Hillel, un avvocato israeliano che sta sostenendo diverse ONG, nelle sfumature della “delegittimazione di Israele” potrebbe rientrare “ogni piccola critica” fatta all’operato dello Stato sionista. “Non sappiamo nemmeno cosa significhi realmente delegittimazione. Ogni organizzazione che opera a Gaza e in Cisgiordania e vede cosa succede e ne riferisce potrebbe essere dichiarata illegale, perché si limita a riferire ciò che vede”.
Il Ministero israeliano per gli Affari della Diaspora e la Lotta all’Antisemitismo ha dichiarato che finora sono state respinte quattordici delle circa 100 domande presentate, 21 sono state approvate e le restanti sono ancora in fase di esame. Tra le ONG escluse dalle nuove regole figurano Save the Children, una delle più note e longeve a Gaza, dove aiuta 120.000 bambini, e l’American Friends Service Committee (AFSC). A queste organizzazioni sono stati concessi 60 giorni per ritirare tutto il loro personale internazionale dalla Striscia di Gaza, dalla Cisgiordania occupata e da Israele, e non potranno più inviare aiuti umanitari attraverso il confine con Gaza.
Il forum che riunisce le agenzie delle Nazioni Unite e le ONG che operano nella zona ha rilasciato giovedì una dichiarazione in cui esorta Israele a “rimuovere tutti gli ostacoli”, compresa la nuova procedura di registrazione, che “rischiano di compromettere la risposta umanitaria”.
MSF supporta attualmente sei ospedali pubblici e ne gestisce due da campo, oltre a sostenere quattro centri sanitari e a gestire un centro di alimentazione per persone affette da malnutrizione. Le attività dell’ONG aiutano quasi mezzo milione di persone a Gaza. Il bando dell’ONG, così come di altre organizzazioni internazionali che lavorano nella Striscia, rischia di togliere l’accesso alle cure mediche essenziali gran parte della popolazione di Gaza, dando il colpo finale alla già catastrofica condizione umanitaria nell’area.
Yemen, scambio di 2900 prigionieri tra Houthi e governo
L’inviato speciale delle Nazioni Unite nello Yemen, Hans Grundberg, ha annunciato che il gruppo yemenita Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi, e il governo riconosciuto internazionalmente hanno concordato uno scambio di 2.900 prigionieri. Di preciso, Ansar Allah consegnerà circa 1.700 prigionieri, mentre il governo ne consegnerà 1.200. L’accordo è stato mediato dall’Oman e sarà facilitato dalla Croce Rossa Internazionale. Esso arriva in un contesto di tensioni tra il governo riconosciuto e il gruppo separatista del Consiglio di Transizione Meridionale, supportato dagli Emirati Arabi, che dopo avere lanciato una offensiva contro il governo centrale è arrivato a conquistare circa il 50% del Paese.
Leonardo Maria Del Vecchio: l’ereditiere che sta cercando di costruire un impero mediatico
Dopo il tentativo di ingresso nel gruppo Gedi, editore tra gli altri di la Repubblica e La Stampa, Leonardo Maria Del Vecchio mette ora un piede nel cuore dell’editoria italiana acquisendo il 30 per cento de Il Giornale, attraverso la sua holding di investimento LMDV. L’entrata del quartogenito del fondatore di Luxottica nel giornale fondato da Indro Montanelli nel 1974 inaugura la creazione di un impero mediatico e riattiva un copione ricorrente della storia economica italiana: il passaggio dei grandi patrimoni familiari dall’industria e dalla finanza al controllo dei luoghi in cui si forma e si orienta il discorso pubblico.
In un Paese attraversato da una crisi strutturale dell’editoria, l’arrivo di un azionista “forte” non porta solo capitali, ma ridefinisce equilibri, pone interrogativi sull’indipendenza delle redazioni e riapre il tema, mai risolto, del pluralismo reale dell’informazione. Prima di virare “a destra” con l’accordo sul Giornale, Del Vecchio aveva presentato un’offerta da circa 140 milioni di euro per le testate del gruppo Gedi, rifiutata da John Elkann. Archiviata quella trattativa, l’ereditiere ha chiuso l’ingresso nel quotidiano milanese per una cifra stimata intorno ai 30 milioni, affiancando Antonio Angelucci, già proprietario di altre testate e parlamentare della Lega. Parallelamente, sono proseguono le interlocuzioni per l’acquisto della maggioranza di QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – controllata dalla famiglia Monti Riffeser. Letta nel suo insieme, la strategia appare coerente, volta a costruire una presenza trasversale nell’editoria nazionale, nonostante un comparto che non promette rendimenti elevati, ma offre prestigio, relazioni e una capacità indiretta di incidere sull’agenda pubblica e politica. Le reazioni dei media all’operazione non si sono fatte attendere: è il caso di Repubblica, che ha proposto un ritratto insolitamente severo di Del Vecchio una volta passato alla “concorrenza”, quando in passato aveva adottato per lui toni lusinghieri dalle sue stesse colonne.
Leonardo Maria Del Vecchio, già in grado di esercitare un peso significativo sulle pagine economiche dei principali quotidiani del Paese, era finito lo scorso anno al centro della cronaca giudiziaria, con l’accusa di aver fatto sorvegliare alcuni familiari, contestata dall’interessato e tuttora al vaglio della magistratura. Se la sua immagine pubblica è spesso associata a quella di un giovane ereditiere, deciso e ambizioso, un ritratto più critico emerge facendo i conti in tasca al quarto dei sei figli del fondatore di Luxottica. Negli ultimi anni, il rampollo ha adottato una strategia di espansione basata su un significativo ricorso all’indebitamento, con passivi che superano diverse centinaia di milioni di euro. Del Vecchio è capo delle strategie di EssilorLuxottica e presidente di Ray-Ban, ma gli investimenti personali passano attraverso LMDV Capital Srl, che controlla altre 17 società. Ed è proprio sulla sua holding che grava una parte consistente di questi debiti. Il bilancio 2024, approvato a fine ottobre, chiude con ricavi di 66,9 milioni di euro e il primo utile netto di appena 31.917 euro dopo le perdite di -1,855 milioni del 2023 e -1.129 euro del 2022, l’anno di avvio. Il patrimonio netto ammonta a 156,443 milioni di euro, di cui però 146,728 milioni di euro è indisponibile, accantonata a riserva di rivalutazione. I debiti della holding – saliti da 92 a 358 milioni – sono finanziati in parte con prestiti bancari e in parte tramite obbligazioni interne garantite dallo stesso Del Vecchio tramite fideiussioni personali. Il ricorso alla leva finanziaria non si limita ai soli prestiti, ma coinvolge anche garanzie personali rilasciate a favore di importanti istituti di credito, a testimonianza di una elevata esposizione individuale nel sostegno della holding. Questi debiti, sebbene coperti da asset e partecipazioni di valore, delineano un quadro in cui la liquidità “reale” e la solidità finanziaria appaiono meno scontate di quanto il patrimonio familiare possa far credere.
In questo contesto, l’ingresso in un settore poco redditizio come quello dell’editoria assume una valenza ulteriore: non solo una mossa di prestigio, ma anche un tentativo di rafforzare notorietà e relazioni in una fase in cui la struttura finanziaria personale e societaria è sotto pressione. Leonardo Maria Del Vecchio potrà anche rivendicare autonomia e buone intenzioni, ma finché l’editoria resterà terreno di conquista delle grandi famiglie, ogni promessa di rinnovamento continuerà ad assomigliare a una variazione su una storia già vista.
Pakistan, attacchi nel nordovest: 5 morti
Oggi in Pakistan si è verificato un attacco ai danni di una squadra di polizia, in seguito a cui sono morti 5 agenti. Gli attentatori hanno teso una imboscata a un furgone della polizia, prendendolo di mira con esplosivi per poi spararvi contro. Gli attacchi sono stati effettuati nel distretto di Karak, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, vicino al confine nordoccidentale con l’Afghanistan; nessuna sigla ha rivendicato gli attacchi, ma la regione è teatro di scontri tra milizie separatiste e governo centrale.
I tessuti in poliestere riciclato potrebbero inquinare più del previsto
Spesso sponsorizzato come uno dei materiali “più sostenibili” da usare in ambito moda, il poliestere riciclato è stato messo sotto al microscopio ed analizzato: un nuovo studio condotto dal Microplastic Research Group dell’Università di Çukurova e commissionato dalla Changing Markets Foundation, ha rilevato che in realtà rilascia più microfibre rispetto al poliestere vergine. Quella che doveva essere la soluzione, in realtà, sta generando ancora più problemi. Moltissimi marchi, proprio in questi mesi, hanno concluso una sorta di “sfida” per sostituire il poliestere con la sua versione riciclata in tutte le collezioni: Adidas, H&M, Puma e Patagonia hanno terminato questo passaggio quasi al 100% per motivi legati alla sostenibilità ambientale. Eppure, il poliestere riciclato da bottiglie di plastica, ha un lato tanto invisibile quanto oscuro.
Lo studio è stato svolto su un campione relativamente piccolo, prendendo in esame 51 capi di diverse aziende (Adidas, H&M, Nike, Shein e Zara – ovvero i maggiori produttori di capi in tessuti sintetici secondo una recente indagine di Changing Markets) realizzati con poliestere riciclato (il poliestere in questione deriva prevalentemente dal riciclo di bottiglie di plastica perché ad oggi non è possibile riciclare il poliestere da tessuto a tessuto). Dalla ricerca è emerso che il poliestere riciclato crea in media il 55% in più di inquinamento da microplastiche rilasciate durante il lavaggio rispetto al poliestere vergine; ma anche che le particelle sono più piccole (di circa il 20%), quindi più facilmente disperse nell’ambiente e dannose. Questo avviene perché tutte le fibre riciclate, subendo un processo di ri-lavorazione sia esso chimico o meccanico, si indeboliscono, si accorciano e diventano a tutti gli effetti più fragili, rompendosi più facilmente (le catene polimeriche sono più corte e la struttura più debole).
Tra i vari marchi presi in esame, l’abbigliamento in poliestere Nike si conferma il più inquinante, tanto per il tessuto vergine quanto per quello riciclato. In media, il poliestere riciclato del brand ha liberato oltre 30.000 microfibre per grammo di campione, quasi quattro volte il valore medio di H&M e più di sette volte quello di Zara. Per quanto riguarda Shein, invece, il risultato ha fatto insospettire: i suoi capi in poliestere riciclato rilasciano microplastiche all’incirca alla stessa velocità dei suoi capi in poliestere vergine. Il che fa presumere che i capi etichettati come “poliestere riciclato” in realtà fossero di poliestere vergine, traendo in inganno i propri clienti (altro che greenwashing!). Una mossa che non è nuova al mondo della moda, dove etichette e diciture sono spesso utilizzate in maniera impropria per farsi belli al pubblico e celare la verità.
Dietro al massiccio uso del poliestere nella moda c’è, prima di tutto, una questione economica. Questa fibra sintetica derivata dal petrolio sviluppata agli inizi del 900, è subito entrata a far parte del circuito fashion, per le sue proprietà ma soprattutto per il suo costo decisamente più contenuto rispetto a quello di altri materiali. La sua diffusione massiccia, unita alla sovrapproduzione, ha contribuito a moltiplicare i rifiuti e l’inquinamento. Il poliestere, come tutte le plastiche, si degrada in tempi molto lunghi e, per quanto riguarda i tessuti, ad ogni lavaggio rilascia grosse quantità di microplastiche.
Per questo il poliestere riciclato è stato accolto come il “salvatore” del sistema: la fibra magica ed ecologica che avrebbe permesso di continuare a produrre in maniera indiscriminata sotto l’etichetta verde sigillata dalle tre frecce che si rincorrono. Una soluzione rassicurante, che in realtà nasconde l’irrefrenabile dipendenza della moda dai materiali sintetici. E che nel frattempo sta aggravando il problema dell’inquinamento da microplastiche. Che si trattasse di greenwashing, prima ancora di questi nuovi test, c’è sempre stato il sospetto: adesso c’è la conferma.
L’uso di fibre sintetiche è un numero in continuo aumento, così come la sovrapproduzione, il consumo esagerato e lo spreco. Soluzioni tampone, modifiche progettuali ed interventi a fine ciclo di vita dei capi sono solo gocce in un mare di capi prodotti giornalmente. Le soluzioni concrete ed auspicabili sono rallentare, eliminare la produzione di fibre sintetiche e smettere di usare bottiglie di plastica per produrre abiti usa&getta.
Albania, si accendono le proteste: molotov contro ufficio del premier
A Tirana la protesta contro il governo albanese promossa dal Partito Democratico di opposizione è sfociata nel lancio di bombe molotov da parte di alcuni manifestanti contro l’edificio che ospita l’ufficio del primo ministro Edi Rama. Le tensioni sono esplose dopo l’incriminazione della vicepremier Belinda Balluku, accusata insieme ad altri funzionari e aziende di aver favorito soggetti privati nell’assegnazione di fondi pubblici per grandi opere infrastrutturali. I manifestanti chiedendo le dimissioni dell’esecutivo. Dopo gli scontri, sono stati arrestati quattro uomini. La polizia ha reso noto che altre sette persone sono indagate a piede libero.
Manovra, rimpasto finale: cancellate cinque norme per dubbi sulla costituzionalità
Nell’ultima fase del cammino parlamentare della legge di Bilancio è scoppiato un nuovo braccio di ferro. A poche ore dal voto in aula sulla fiducia, infatti, cinque misure considerate estranee alla manovra finanziaria e potenzialmente problematiche per gli equilibri costituzionali sono state stralciate su iniziativa della commissione Bilancio del Senato. Fonti parlamentari hanno fatto riferimento a un intervento del Quirinale, volto a evitare che disposizioni lesive di diritti e garanzie potessero essere approvate senza un adeguato dibattito. Le norme coinvolgevano diritti dei lavoratori, regole sulle incompatibilità nella pubblica amministrazione, profili della magistratura e la disciplina del personale della Covip.
La scure si è in primis abbattuta sul cosiddetto “scudo” per i datori di lavoro in caso di retribuzioni giudicate incostituzionalmente basse. La misura, inserita tramite un subemendamento di Fratelli d’Italia, stabiliva che «con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all’articolo 36 della Costituzione dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall’Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive» per il periodo che precede «la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo stipulato» oppure «dai contratti dello stesso settore economico che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione». I leader delle opposizioni l’avevano definita «anticostituzionale, vergognosa, una vigliaccata».
Accanto a questa disposizione, giudicata da più parti un intervento che poteva incidere direttamente sui rapporti di lavoro e sul contenzioso sociale, sono state rimosse altre quattro misure entrate nel testo durante l’iter in Commissione. Tra queste, una norma sulla inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti privati regolati o finanziati dalle stesse amministrazioni: la disciplina prevedeva ampia deroga per incarichi straordinari e commissariali, suscitando timori concreti di conflitto d’interessi. Un secondo stralcio riguarda la riduzione del cosiddetto periodo di “raffreddamento”: il divieto di svolgere, alla cessazione del rapporto di lavoro, attività professionale presso soggetti privati destinatari dell’attività amministrativa è passato in emendamento da tre anni a un solo anno, una compressione ritenuta eccessiva dagli oppositori e da tecnici parlamentari. Analogo stop è stato applicato a una norma che avrebbe ridotto da dieci a quattro anni l’anzianità necessaria affinché i magistrati possano essere autorizzati al collocamento fuori ruolo; infine è stata cancellata la revisione della disciplina del personale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione.
La coincidenza temporale dell’inserimento di queste norme all’interno di un maxi-emendamento di oltre 900 commi — definito in aula «interamente sostitutivo» del testo originario — e la richiesta di fiducia sul pacchetto hanno reso la questione particolarmente critica, aumentando le accuse di “colpi di mano” e la mobilitazione delle opposizioni e delle organizzazioni sindacali. L’intervento correttivo ha reso ancor più accidentato il percorso della manovra, descritto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti come già «tortuoso». In aula, Giorgetti aveva difeso l’operato del governo, rigettando le accuse di austerità: «Politica di austerità? Io la traduco con il termine prudenza visto il livello del debito pubblico di questo Paese».
Negli scorsi giorni, erano arrivati importanti dietrofront in tema di norme sulle pensioni, in particolare con la cancellazione da parte del governo della misura che depotenziava il riscatto della laurea breve. L’esecutivo non ha invece bloccato l’adeguamento automatico alla speranza di vita, con lo scatto di un mese in più sui requisiti dal 2027 e di due mesi dal 2028. Nella manovra non vengono rinnovati i canali di pensione anticipata “speciali”, con l’uscita di scena di Quota 103 e di Opzione Donna. Dal 1° luglio 2026 entra il silenzio-assenso per la previdenza complementare dei neoassunti, con rinuncia entro 60 giorni. Da gennaio scatta l’obbligo Tfr al Fondo Inps per aziende con 50 dipendenti; dal 2032 l’obbligo riguarda chi ha almeno 40.









