A Pescara, al liceo statale Marconi, una sostanza sospetta, forse ammoniaca, si è sprigionata all’interno dell’edificio, provocando malori tra studenti, insegnanti e vigili del fuoco. È stato attivato il protocollo per le maxi-emergenze: sul posto un posto medico avanzato con personale sanitario e ambulanze. Quattro persone sono ricoverate in ospedale, altre sono assistite sul luogo. Tra gli intossicati ci sarebbero anche alcuni vigili del fuoco.
La tregua a Gaza fa crollare le azioni di Leonardo SPA
Per mesi la maggiore azienda delle armi italiana, Leonardo SPA ha ribadito di non avere alcun ruolo nel genocidio palestinese. Eppure, a non credere all’azienda paiono essere gli stessi azionisti, tanto che dall’annuncio della tregua a Gaza il colosso bellico ha perso ben il 10,7% del valore delle proprie azioni. L’azienda aveva chiuso la giornata dell’8 ottobre con 56,20 euro per azione, calando a 55,48 il 9 ottobre, data di annuncio dell’accordo, e a 52,90 il 10 ottobre, giorno della ratifica. Da allora, il prezzo delle azioni di Leonardo è continuato a calare, raggiungendo ieri quota 50,18 euro per azione, il picco minimo da metà settembre.
Per due anni di fila (2023 e 2024), l’azienda ha registrato profitti da record, superando di molto le previsioni degli analisti. E nonostante le continue smentite dell’ad dell’azienda, Roberto Cingolani, le prove che collegano le armi made in Italy al genocidio a Gaza sono molteplici. Una su tutte è l’inchiesta della relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, che nel suo report Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio denuncia la complicità con il genocidio di Israele a Gaza di decine di aziende nel mondo. Tra queste vi è proprio l’italiana Leonardo, della quale lo Stato è azionista di maggioranza, accusata tra le altre cose di contribuire alla realizzazione degli armamenti impiegati nel genocidio (come quelli dei caccia F-35) e di aver trasformato in armamenti automatizzati i bulldozer D9 della statunitense Caterpillar (tramite la propria controllata RADA Electronic), impiegati per distruggere le abitazioni dei palestinesi in Cisgiordania. Nel 2024, poi, si è conclusa la fornitura di elicotteri AgustaWestland AW119Kx “Koala-Ofer”, impiegati da Tel Aviv per addestrare i militari della Israel Air Force presso la base di Hatzerim, nel deserto del Negev. La vendita, che fa parte di una serie di trattative iniziate nel 2019 e concluse nel 2022, non è stata interrotta nemmeno dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri Tajani, che aveva riferito che, «dopo un’attenta valutazione», anche alcuni dei contratti firmati prima del 7 ottobre sarebbero stati interrotti.
In merito alle accuse di complicità in genocidio, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera Cingolani ha dichiarato che «Si dice che poiché abbiamo contribuito a costruire i caccia F-35 venduti in tutto il mondo – incluso Israele – e poiché alcuni di questi F-35 sono utilizzati in questo orrendo conflitto, allora siamo complici di genocidio. Certo, partecipiamo a consorzi per la costruzione di tante tecnologie e piattaforme per la difesa. Ma dire che siamo corresponsabili di genocidio mi pare una forzatura inaccettabile». Per quanto riguarda le accuse di collaborazione con Israele per la fornitura di radar militari, Cingolani ha dichiarato che questi vengono venduti dalla DRS Technologies, della quale Leonardo è socia di maggioranza ma che «deve seguire le indicazioni del suo governo». Da quando è scoppiato il conflitto, specifica l’ad di Leonardo, «non è stata più autorizzata nessuna licenza di esportazione verso Israele», in base a quanto previsto dalla legge 185. Per quelle precedenti invece, riguardanti la fornitura degli elicotteri e degli aeroplani da addestramento, l’azienda sarebbe stata costretta a onorarli «per legge, anche in questa situazione tremenda». Come riferito dalle inchieste di Altreconomia, tuttavia, l’esecutivo avrebbe potuto fermare tutti i contratti precedentemente siglati con Israele proprio in forza di quanto previsto dalla legge 185, che autorizza a intervenire in caso di gravi violazioni delle norme internazionali.
Non si tratta solo di Leonardo: tutte le principali aziende di armi europee hanno registrato un progressivo calo del valore delle proprie azioni dal 9 ottobre scorso in poi. La tedesca Rheinmetall, la maggiore azienda di armamenti del Paese, ha chiuso la giornata di ieri registrando un calo dell’8,8%, la britannica BAE System del 5,6%. Un quadro analogo si era d’altronde verificato nell’agosto di quest’anno, alla vigilia dell’incontro in Alaska tra Trump e Putin, quando la pace tra Russia e Ucraina sembrava un po’ più vicina, facendo così crollare le azioni di Leonardo e di tutte le grandi aziende delle armi dell’UE (e salire quelle delle aziende coinvolte nella ricostruzione, come quelle del cemento).
Armenia: arrestati 6 sacerdoti
Le autorità armene hanno arrestato sei sacerdoti, portando avanti quella ondata di repressione della chiesa armena iniziata la scorsa estate. A dare la notizia è stato l’avvocato dei sacerdoti: tutti gli esponenti del clero arrestati alla diocesi di Aragatsotn della Chiesa Apostolica nell’Armenia occidentale; tra di essi è presente anche lo stesso vescovo della diocesi, Mkrtich Proshyan. L’arresto dei sei sacerdoti arriva in un momento di scontro tra i vertici dello Stato e quelli della chiesa armena (che è acefala), accusata di tramare un colpo di Stato. Il Paese si sta infatti avvicinando alle elezioni, e il clero almeno è uno dei maggiori oppositori al partito all’esecutivo.
“Nessuna prova, Hamas ha allestito dei set”: la capa ufficio stampa Rai nega il massacro a Gaza
Dopo due anni di massacri in diretta streaming c’è chi ancora insiste nell’affermare che il genocidio palestinese sia solo frutto di un allestimento scenografico dei gruppi di resistenza della Striscia che con i loro effetti speciali hollywoodiani avrebbero preso in giro tutti i giornalisti del mondo. A farlo non è una persona qualunque, ma la capa ufficio stampa della Rai, Incoronata Boccia: «Dovremmo candidare Hamas al premio Oscar per la migliore regia», perché «non esiste una sola prova del fatto che siano state sventagliate mitragliate contro i civili inermi»; «vergogna, vergogna, vergogna», per il «suicidio del giornalismo» che ha riportato notizie «senza alcuna verifica delle fonti». Queste affermazioni sono solo la punta dell’iceberg di un discorso in cui Boccia alza l’asticella del negazionismo del genocidio palestinese. Intanto, come denuncia il sindacato Usigrai, davanti alle plateali menzogne e alle «accuse infondate all’informazione» pronunciate da una giornalista che ricopre un ruolo di rilevanza in Rai, «l’azienda resta muta».
Le parole di Boccia sono arrivate in occasione di un convegno sul 7 ottobre promosso dall’Unione delle comunità ebraiche italiane. «Si è parlato spesso del cinismo e della spietatezza dell’esercito israeliano, eppure non esiste una sola prova che siano state sventagliate delle mitragliate contro civili inermi. Eppure questo veniva raccontato, questo è stato detto senza alcuna verifica delle fonti. Vergogna, vergogna, vergogna, lo affermo tre volte», ha affermato Boccia di fianco a un compiaciuto David Parenzo. «Ci sarebbe da vergare un j’accuse tombale non solo sul suicidio dell’Occidente o di parte dell’Occidente, soprattutto l’Europa, ma sul suicidio del giornalismo. Io proporrei che oggi, da questa tavola rotonda, possa emergere una candidatura per Hamas: la vogliamo candidare all’Oscar per la miglior regia a cui noi giornalisti ci siamo piegati senza alcuno spirito critico?». Boccia ha poi contestato «l’uso ideologico della parola genocidio» chiedendo a coloro che la impiegano «con quale faccia usciranno di casa» durante la ricorrenza del giorno della memoria.
Dopo due anni di testimonianze, dichiarazioni, audio, foto e video, le affermazioni di Boccia si smentiscono da sole. Basta fare qualche esempio in cui le «prove» che la direttrice sostiene non esistere non sono solo verificate, ma confermate dallo stesso esercito israeliano: è il caso, per esempio, della strage della farina del 29 febbraio 2024, in occasione di cui le IDF scaricarono i propri fucili contro i civili in fila per ottenere il pane; per quel massacro fu il medesimo esercito a sostenere di essere responsabile, parlando di un «terribile incidente». O ancora, della strage di Rafah del 26 maggio 2024, in cui l’aviazione israeliana bombardò un campo profughi uccidendo 40 persone, molte di cui arse vive; anche in quel caso l’esercito si scusò affermando che si fosse trattato di un incidente. Ci sono poi le dichiarazioni dei gruppi umanitari internazionali che operano nella Striscia, le indagini indipendenti di esperti come la Relatrice ONU Francesca Albanese, e innumerevoli altre testimonianze: insomma, le affermazioni che Boccia ritiene essere «non verificate», in verità lo sono, e spesso dalla stessa parte israeliana. Per quanto riguarda la parola “genocidio”, oltre ai diversi rapporti di Albanese, è la stessa Corte di Giustizia Internazionale ad aver sancito che ci sono prove sufficienti per valutare tale accusa nei confronti di Israele.
Le parole di Boccia hanno scatenato una ondata di indignazione nelle opposizioni, che ne hanno richiesto la rimozione; anche la stessa Relatrice Albanese ha chiesto che la propaganda negazionista venga «indagata e punita». Boccia, dopo tutto, non è una giornalista qualunque. Ella ricopre una posizione dirigenziale e in quanto tale è portavoce della posizione della stessa azienda, dettando come, a parere suo, dovrebbe essere garantito il servizio pubblico dell’informazione. È per questo che Usigrai, il maggiore sindacato dell’emittente, ha chiesto ai vertici aziendali di esprimersi sull’accaduto: «Ciò che ha espresso la direttrice dell’Ufficio Stampa Rai in un convegno sul 7 ottobre che si è tenuto ieri al CNEL è la posizione dell’azienda?» si legge in un comunicato del sindacato, che rimarca come le parole di Boccia attacchino gli stessi giornalisti dell’emittente. Nonostante le richieste di Usigrai, i vertici Rai non hanno ancora rilasciato alcuna dichiarazione sulla vicenda.
Non è la prima volta che l’emittente pubblica o giornalisti che vi lavorano finiscono in mezzo alla bufera per il genocidio palestinese. Era già accaduto nel 2024, in occasione del festival di Sanremo, in cui i cantanti Ghali e Dargen D’Amico vennero silenziati per avere espresso posizioni in sostegno del popolo palestinese. Gli artisti si erano limitati a lanciare un appello per il cessate il fuoco e per fermare il genocidio, scatenando l’indignazione dell’ambasciata israeliana, che accusò il festival di essere un palco per la diffusione di «odio e provocazioni». Dopo le dichiarazioni dell’ambasciata, la Rai provò a tappare il buco: sul palco del Dopofestival la conduttrice Mara Venier lesse un comunicato dell’amministratore delegato, Roberto Sergio, in cui l’AD mostrava la sua solidarietà a Israele e agli ostaggi israeliani, senza menzionare una volta i civili palestinesi uccisi dalle IDF. In generale, la narrazione di Boccia si colloca sulla scia di una ondata di negazionismo del genocidio che sta prendendo piede anche in Italia, come testimoniato dai casi del Lava Café e di Gazawood. Lo stesso governo israeliano ha investito 150 milioni di dollari per portare avanti operazioni di propaganda e plasmare a proprio favore la narrazione pubblica del genocidio.
Microsoft manda in pensione Windows 10
Ieri, 14 ottobre 2025, si è chiuso un capitolo fondamentale della storia digitale: Microsoft ha ufficialmente terminato il supporto per Windows 10, il sistema operativo che per un decennio ha accompagnato milioni di utenti nel lavoro, nello studio e nella vita quotidiana. La fine del servizio non comporta l’immediata inutilizzabilità dei dispositivi: i computer basati su Windows 10 continueranno a funzionare normalmente, tuttavia non riceveranno più aggiornamenti di sicurezza, correzioni di bug né patch per nuove vulnerabilità, rendendoli progressivamente più esposti ai rischi informatici propri di un ecosistema digitale sempre più ostile.
A primo colpo d’occhio potrebbe sembrare una cosa da poco, una normale rivoluzione tecnica, tuttavia, nonostante sia stato lanciato ormai nel 2015, Windows 10 risulta ancora oggi estremamente popolare. Secondo i dati raccolti dal portale Statcounter, lo scorso luglio il 42,88% degli utenti era ancora fedele al sistema operativo in via di rottamazione. Microsoft, ben consapevole della situazione, non manca di raccomandare ai suoi clienti di trasferirsi su Windows 11, idealmente di comprare un computer del tutto nuovo, ma non manca un’ultima, valida, alternativa.
A seguito delle pressioni esercitate da Euroconsumer, la Big Tech ha deciso di estendere la protezione dei sistemi critici di Windows 10 per gli utenti residenti nell’Area Economica Europea, offrendo un anno aggiuntivo di aggiornamenti tramite il programma gratuito ESU (Extended Security Updates). Le patch rilasciate copriranno esclusivamente le vulnerabilità più gravi e, per accedere al servizio, è necessario utilizzare un account Microsoft anziché un account locale. Inoltre, se l’utente non effettua l’accesso al suddetto account entro 60 giorni, il servizio viene disattivato automaticamente. Coloro che desiderano utilizzare il proprio dispositivo senza sottostare a queste condizioni possono comunque aderire al programma ESU versando una quota una tantum di 30 dollari, ottenendo così la copertura di sicurezza fino al 13 ottobre 2026.
Rimanere su Windows 10 è alle volte una scelta obbligata: Right to Repair stima che almeno 400 milioni di personal computer nel mondo non potranno essere aggiornati, in gran parte a causa dei nuovi requisiti hardware introdotti da Microsoft per l’upgrade a Windows 11, come la presenza del modulo TPM 2.0 e l’avvio UEFI protetto. Questo numero elevato suggerisce non soltanto un’onda potenziale di dispositivi obsoleti, ma anche un impatto ambientale da non sottovalutare. L’impossibilità di emigrare al nuovo sistema si traduce nel fatto che molti utenti saranno costretti a sostituire componenti o addirittura a cambiare il computer, contribuendo all’aumento dei rifiuti elettronici. Molte applicazioni, driver, periferiche e software esterni inizieranno a perdere compatibilità con Windows 10, generando malfunzionamenti, blocchi o instabilità. La transizione non è dunque semplicemente tecnica, è anche economica e sociale.
Diversa è la situazione per i sistemi aziendali. Microsoft garantisce il supporto di Windows 10 Enterprise LTSC 2021 almeno fino al 12 gennaio 2027, ma nel frattempo diverse aziende informatiche private stanno già predisponendo soluzioni per estendere ulteriormente tale scadenza. Nel mondo industriale, infatti, non è raro che l’adozione di tecnologie venga protratta ben oltre i limiti considerati accettabili in altri contesti: strumentazioni e software gestionali ritenuti anacronistici continuano a essere mantenuti in vita per ragioni di compatibilità, stabilità o costi. Emblematico è il caso di alcune infrastrutture critiche, dagli aeroporti agli archivi, che negli Stati Uniti e in Giappone si affidano ancora oggi a sistemi Windows 95 equipaggiati con lettori di floppy disk.
Il 14 ottobre ha segnato l’inizio del lento e inesorabile declino di Windows 10, il sistema operativo che, paradossalmente, era stato concepito come soluzione informatica definitiva, destinata a superare ogni modello precedente e a incarnare il paradigma del “Windows as a Service”. Naufragata quell’ambizione, gli utenti si ritrovano oggi con una piattaforma che diventerà progressivamente più vulnerabile all’evoluzione delle minacce digitali, in un contesto di crescente attività hacker e sofisticazione degli attacchi. Da qui l’appello di esperti e associazioni di consumatori: è urgente pianificare una transizione consapevole, gestita con attenzione e responsabilità, che tenga conto non solo della sicurezza digitale, ma anche dell’impatto ambientale. Ogni PC dismesso rappresenta infatti un frammento tangibile dell’impronta tecnologica sul mondo reale, e ignorare il valore ecologico di questa fase di passaggio significa perpetuare una logica di obsolescenza che il settore non può più permettersi.
Sardegna: la Consulta boccia la decadenza della Governatrice Todde
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima l’ordinanza che aveva dichiarato la presidente della regione Alessandra Todde decaduta. Secondo la Consulta, di preciso, le irregolarità segnalate nell’ordinanza non rientravano in quelle che portano alla decadenza di un governatore. L’ordinanza era stata emessa dal Collegio regionale di garanzia elettorale, che aveva contestato alla presidente la gestione dei fondi per la propria campagna elettorale. La Consulta dà comunque al Tribunale di Cagliari la possibilità modificare le motivazioni dell’istanza; a novembre è previsto un nuovo processo a riguardo, che potrebbe rilanciare l’iter di decadenza.
Nonostante la tregua Israele ha già ucciso 9 palestinesi
Nonostante l’avvio della tregua a Gaza, Israele non ferma le aggressioni sulla popolazione civile della Striscia e continua a uccidere i palestinesi, violando apertamente il cessate il fuoco. Ieri, martedì 14 ottobre, l’esercito dello Stato ebraico ha aperto il fuoco in diverse aree della Striscia, uccidendo almeno nove persone. Le stesse IDF hanno confermato i propri attacchi affermando che i palestinesi uccisi avrebbero superato la linea di controllo oltre la quale stazionano le truppe israeliane. Dall’inizio della tregua sono state segnalate oltre dieci violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele, mentre intanto in tutta la Striscia la protezione civile continua a trovare nuovi corpi di defunti tra le macerie. Nel frattempo, lo Stato ebraico ha annunciato che, fino a quando non riceverà i corpi degli ostaggi morti, rimanderà l’apertura completa del valico di Rafah, il confine meridionale di Gaza, e che dimezzerà i mezzi in entrata nella Striscia passando da 600 camion al giorno a 300.
Dalla ratifica dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza, lo scorso 10 ottobre, le aggressioni nella Striscia sono diminuite esponenzialmente, ma Israele non ha mai smesso veramente di attaccare i palestinesi. Il giorno stesso della firma dell’accordo, sono state segnalate esplosioni derivanti dall’impiego di artiglieria pesante in aree residenziali, e nei giorni successivi la fanteria dell’esercito israeliano ha proseguito con sporadici attacchi con armi da fuoco. Dal 10 ottobre sono state segnalate 14 violazioni dell’accordo da parte di Israele, la metà esatta delle quali proprio ieri. L’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro i palestinesi nell’area di Shuja’iyya (quartiere orientale di Gaza City), a Fukhari (nel Governatorato di Khan Younis, il secondo più a sud della Striscia, dove, a tregua stabilita, si concentrava il maggior numero di rifugiati palestinesi), e a Jabaliya (una delle maggiori città del Governatorato di Nord Gaza).
Lo stesso Stato ebraico non ha nascosto le proprie violazioni dell’accordo, attribuendo ai palestinesi uccisi le colpe: le IDF hanno rilasciato un comunicato in cui affermano che i palestinesi uccisi si sarebbero avvicinati alle truppe stazionate oltre la cosiddetta “linea gialla”, la linea di confine interna alla Striscia entro cui si è ritirato l’esercito israeliano; i soldati, dopo avere intimato al gruppo di «sospetti» (che il comunicato non specifica se fossero armati o meno) di fermarsi, non avrebbero ricevuto risposta e avrebbero così aperto il fuoco. Se la versione dell’esercito venisse confermata, insomma, a portare all’uccisione di 9 persone sarebbe stato il mancato rispetto di un alt.
Se da una parte Israele continua a uccidere i palestinesi, dall’altra accusa Hamas e i gruppi della Striscia di non avere rispettato l’accordo non consegnando immediatamente i corpi di tutti gli ostaggi defunti. Tale clausola era presente nei venti punti del piano di pace proposto da Trump e Netanyahu, ma non è noto se sia stata concordata nell’accordo siglato il 10 ottobre: la scorsa settimana, i gruppi palestinesi hanno affermato a più riprese che consegnare i corpi degli ostaggi entro le 72 ore richieste da Israele non fosse realistico per questioni di natura logistica. Nella sera di ieri, comunque, le firme di resistenza palestinesi hanno consegnato altre quattro salme, portando a otto i corpi degli ostaggi rientrati in Israele. In risposta alla presunta violazione degli accordi da parte dei gruppi della Striscia Israele ha deciso di continuare ad affamare la popolazione di Gaza. Ieri i media israeliani hanno riportato le dichiarazioni di tre ufficiali anonimi che avrebbero affermato che Israele avrebbe ritardato l’apertura del valico di Rafah fino a quando la resistenza palestinese non avrebbe consegnato tutti i corpi degli ostaggi defunti. Successivamente è stato comunicato che Israele avrebbe concordato con l’ONU di dimezzare il numero di camion in entrata nella Striscia.








