I sindacati francesi Syndicat national des journalistes (SNJ) e International Federation of Journalists (IFJ) hanno depositato una denuncia presso la Procura nazionale antiterrorismo di Parigi (PNAT), accusando le autorità israeliane di aver imposto un vero e proprio “silenzio mediatico” nella Striscia di Gaza. La denuncia, contro ignoti, descrive come sistematico e prolungato il divieto di accesso a Gaza per giornalisti stranieri a partire dal 7 ottobre 2023, combinato con molestie, intimidazioni, perquisizioni, arresti arbitrari e violenze dirette nei confronti di reporter palestinesi e operatori stranieri. Secondo i sindacati, queste condotte configurano possibili crimini di guerra.
Il segretario generale dell’IFJ, Anthony Bellanger, ha spiegato che la denuncia rappresenta l’ultimo tentativo di fare pressione su Israele affinché apra Gaza alla stampa internazionale. Già a luglio, l’Agence France-Presse (AFP) aveva sollecitato Israele a consentire ai giornalisti di entrare e uscire dal territorio devastato dalla guerra. Secondo le organizzazioni sindacali, l’iniziativa rappresenta «un passo necessario per difendere il diritto all’informazione, la libertà di stampa e il rispetto del diritto internazionale». In una dichiarazione congiunta, si parla espressamente di un «blackout mediatico senza precedenti», unito alla «spietata repressione di giornalisti e professionisti dei media palestinesi». Nel testo depositato davanti alla giustizia francese, SNJ e IFJ documentano una molteplicità di casi concreti e di situazioni drammatiche: giornalisti che non possono entrare in certe aree, attrezzature sequestrate, minacce e aggressioni fisiche, ma anche vere e proprie cacce all’uomo. In un caso, un cronista ha raccontato di essere stato inseguito per tutta la notte da un gruppo armato di «pistole, taniche di benzina e bastoni», mentre stava svolgendo un servizio in Cisgiordania alla presenza dell’esercito israeliano. Le limitazioni, secondo la denuncia, non sarebbero incidenti isolati, ma farebbero parte di una strategia sistematica dallo scopo evidente: imporre una narrazione unica, impedire una copertura mediatica libera e “cancellare” ogni voce indipendente. La capacità dei giornalisti di operare, secondo i sindacati francesi, si sta riducendo anche in Israele e in Cisgiordania. «È un blocco organizzato, sistematico e prolungato», ha dichiarato uno degli avvocati della denuncia, aggiungendo che impedire lo svolgimento del lavoro giornalistico in un contesto di guerra significa negare alla società il diritto fondamentale di conoscere la verità, sancito da trattati internazionali e dal diritto penale francese.
Per la prima volta in Europa, si tenta di portare davanti a un tribunale nazionale il caso di restrizioni sistematiche della libertà di stampa in tempo di guerra. L’obiettivo della denuncia è che la Procura nazionale antiterrorismo di Parigi eserciti la propria giurisdizione, poiché molti dei giornalisti coinvolti sono cittadini francesi. L’iniziativa rientra in un contesto in cui la libertà di informazione è sempre più sotto attacco. Secondo Reporters Senza Frontiere, organismo di controllo della stampa, dall’ottobre 2023 sono stati uccisi a Gaza più di 220 giornalisti, di cui almeno 62 a causa del loro lavoro (22 di questi giornalisti uccisi nel 2025). In una recente mozione del Congresso EFJ di Budapest del 2 e 3 giugno 2025, la European Federation of Journalists (EFJ) aveva deplorato l’uccisione dei giornalisti e operatori media nelle operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza. In passato, la morte di reporter a Gaza e nelle aree in guerra era stata denunciata da sindacati e associazioni internazionali come un massacro di giornalisti, ma ora i sindacati puntano a inquadrare le violazioni come crimini di guerra, ossia reati perseguibili secondo il diritto internazionale. Per SNJ e IFJ l’attuale denuncia rappresenta una tappa obbligata per difendere il diritto a documentare i conflitti e tutelare chi, ogni giorno, rischia la vita per raccontare ciò che accade lontano dallo sguardo dell’opinione pubblica. Significa chiedere che le responsabilità vengano chiarite e che il giornalismo torni a essere un presidio, non un bersaglio. In un momento in cui le violenze contro i media, soprattutto nelle zone di guerra, continuano a intensificarsi, l’iniziativa assume anche il valore di un avvertimento: il rispetto del diritto internazionale non può essere aggirato e nessuna arma o restrizione può giustificare il tentativo di soffocare la libertà di stampa.










