lunedì 22 Dicembre 2025
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A Palermo si pagano mazzette anche per la riconsegna delle salme: chiesti 15 arresti

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Un sistema criminale organizzato per speculare sul dolore dei familiari in lutto. È quanto avrebbero gestito, secondo la Procura di Palermo, quattro dipendenti della camera mortuaria del Policlinico cittadino, in combutta con undici imprenditori e dipendenti di aziende funebri locali. Per accelerare il rilascio di una salma, per vederla una volta ancora, persino per far togliere un pacemaker prima della cremazione, era infatti necessario pagare. Un tariffario preciso, da 50 a diverse centinaia di euro, regolava servizi che sarebbero invece dovuti essere gratuiti o già compresi nel “pacchetto”. I magistrati, guidati dal procuratore Maurizio de Lucia, hanno chiesto al giudice delle indagini preliminari l’arresto dei quindici indagati, accusati a vario titolo di associazione a delinquere, concussione e corruzione.

I magistrati, nella richiesta di misure cautelari, hanno parlato di una «rete di anomali e patologici rapporti e relazioni che quotidianamente caratterizzavano l’attività degli operatori della camera mortuaria». Sottolineando come, «con cadenza sistematica e quotidiana, gli impiegati praticavano il mercimonio della propria pubblica funzione». L’indagine avrebbe documentato quasi cinquanta episodi corruttivi in poco più di un anno, compresa la pratica relativa alla salma di Francesco Bacchi, il giovane ucciso a Balestrate nel gennaio 2024.

L’inchiesta ha preso il via a gennaio dello scorso anno, scattando in modo quasi fortuito nella cornice di un’indagine a Milano. Intercettando una telefonata tra un’impresa funebre lombarda e una palermitana, gli investigatori hanno sentito il titolare di quest’ultima, Francesco Trinca, spiegare al collega che per il trasferimento di una salma in Lombardia occorreva sostenere una spesa aggiuntiva di 100 euro da versare a un impiegato dell’obitorio. «Perché qua funziona così», avrebbe detto Trinca, che non sapeva di essere ascoltato. Una frase che ha spinto i pm del capoluogo siciliano ad approfondire la questione, attivando una serie di intercettazioni telefoniche e videoriprese che hanno confermato l’esistenza di un meccanismo assai rodato.

Secondo la ricostruzione della Procura, attorno a questo business si sarebbe creata una vera e propria rete illecita. Come evidenziano le intercettazioni, il sistema prevedeva un mercimonio quotidiano e spartizioni dei guadagni anche in caso di assenze. Uno dei dipendenti, in una conversazione, diceva: «Noi siamo abituati che tutti quelli delle ditte lasciano dei soldi… E li dobbiamo dividere». Un altro, parlando dei proventi, dichiarava: «Solo giugno, dal primo fino all’ultimo, ho messo da parte 400 euro». In un dialogo particolarmente emblematico, un addetto parlava così a un nuovo operatore funebre: «Qua buono mangiamo», e subito dopo precisava: «Qua devi fare quello che ti diciamo noialtri».

Le richieste di pagamento erano standardizzate e spaziavano a seconda della prestazione illecita richiesta. Cinquanta euro era la tariffa per consentire a un uomo di vedere la salma della moglie nei sotterranei dell’ospedale, prima del trasferimento in obitorio. Cento euro servivano per “olire” le pratiche burocratiche e accelerare il rilascio del defunto. In alcuni casi si arrivava a chiedere 200 euro per operazioni come l’espianto di un pacemaker, necessario prima della cremazione. Le imprese funebri, a loro volta accusate di corruzione, erano complici nel presentare queste richieste come normali e inevitabili, trasferendo il costo aggiuntivo sulle famiglie già provate dal lutto.

La richiesta di arresto dovrà ora essere valutata dal giudice per le indagini preliminari, che disporrà gli interrogatori prima di decidere sull’applicazione delle misure cautelari. Nel frattempo, i quattro dipendenti coinvolti nell’inchiesta sono stati trasferiti dalla direzione del Policlinico ad altri incarichi.

Trump cita in giudizio la BBC: vuole un risarcimento di 10 miliardi

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha citato in giudizio la BBC per diffamazione e pratiche commerciali scorrette, chiedendo un risarcimento di 5 miliardi di dollari per ciascuna accusa. La causa riguarda un documentario trasmesso prima delle elezioni del 2024, nel quale un suo discorso sarebbe stato manipolato, facendo apparire Trump come un sostenitore diretto dell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. A novembre la BBC aveva ammesso l’errore, rettificato il contenuto e registrato le dimissioni di due dirigenti, ma rifiutato di risarcire Trump. «Come abbiamo già chiarito in precedenza, ci difenderemo in questo caso», ha dichiarato un portavoce della tv di Stato.

A Ravenna i manifestanti contro le armi a Israele rischiano 2 anni di carcere

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Hanno bloccato l’accesso al porto per due ore per protestare contro l’invio di armi e merci dirette a Israele e ora rischiano fino a due anni di carcere per il reato di “blocco stradale”. È l’effetto della stretta voluta dal Governo con il Decreto Sicurezza, che ora colpisce anche gli attivisti di Ravenna che lo scorso 28 novembre si erano ritrovati nei pressi dello scalo cittadino per manifestare “contro la finanziaria di guerra del governo Meloni”.

«Un nutrito gruppo di manifestanti – si legge nel comunicato della Polizia – dopo essersi radunato presso il TCR per contestare il transito delle navi dirette a Israele, ha occupato la sede stradale, bloccando per circa due ore l’accesso al Terminal e impedendo ai mezzi pesanti di entrare e uscire per completare le attività di carico e scarico della merce, causando problemi all’ordinaria circolazione». Il risultato è che 32 persone sono state denunciate

Il reato di blocco stradale è stato reintrodotto dal Decreto Sicurezza lo scorso 5 giugno e prevede una pena fino a 30 giorni di carcere per chiunque, agendo singolarmente, ostacoli anche in maniera pacifica la circolazione o il transito dei mezzi. La condanna diventa invece molto più severa per chi agisce in gruppo, con una multa fino a 4.000 euro e la detenzione da sei mesi a due anni.

Una norma che ha immediatamente suscitato polemiche e critiche da parte di associazioni, sindacati e forze politiche di opposizione, che denunciano un restringimento degli spazi di dissenso e una criminalizzazione delle forme di protesta non violenta. Secondo gli attivisti, l’iniziativa di Ravenna aveva l’obiettivo di richiamare l’attenzione sull’utilizzo dei porti italiani per il transito di materiali bellici e sul coinvolgimento dell’Italia nei conflitti internazionali.

Il tema era tornato al centro del dibattito cittadino in occasione della manifestazione del 17 settembre scorso, quando migliaia di persone avevano partecipato a un grande corteo con lo slogan «La città si ribella, basta armi a Israele». Una mobilitazione ampia e trasversale, che aveva visto insieme portuali, studenti, associazioni pacifiste, realtà sindacali e cittadini, uniti dalla richiesta di fermare il transito di carichi militari attraverso lo scalo ravennate. Una protesta che, secondo gli organizzatori, aveva dimostrato come l’opposizione all’uso del porto per fini bellici fosse condivisa e diffusa nella città. Un concetto ribadito anche dopo le denunce, in un comunicato diffuso dagli attivisti, in cui si respinge ogni tentativo di individuare singoli responsabili: «A bloccare il container il 28 novembre c’eravamo tutti e tutte», si legge nel testo, che rivendica il carattere collettivo dell’azione.

Le denunce, quindi, non riguardano soltanto le 32 persone coinvolte, ma sembrano inserirsi in un contesto più ampio che potrebbe avere effetti sull’intero movimento che a Ravenna, e in tutta Italia, continua a mobilitarsi contro la guerra, il traffico di armi e a sostegno del diritto di manifestare. Una vertenza che, nata attorno al porto, rischia ora di trovare un prolungamento soprattutto nelle aule dei tribunali.

I cibi dolci e sani esistono: quali scegliere in un’alimentazione corretta

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Conciliare una dieta sana col mangiare dei dolci o dessert è possibile. Nell’immaginario comune esiste infatti il falso mito secondo il quale chi segue una dieta sana non possa mangiare i dolci e debba privarsi di qualsiasi piacere a tavola, compresi pizza, dessert, cibi grassi e cremosi e così via. In realtà le cose non stanno affatto così. Se è vero che nel nostro modello alimentare buona parte degli alimenti dolci più popolari e diffusi viene realizzato con grandi quantità di zuccheri e ingredienti poco salutari come margarine, olio di palma e aromi, è anche vero che si possono comporre piatti dolci egualmente soddisfacenti per il palato utilizzando soltanto nutrienti e ingredienti di grande valore nutrizionale.

Colazione dolce ma sana?

Consumare una colazione dolce non è una scelta di per sè sbagliata, ma lo diventa se non contiene nutrienti ed è preparata con cibi a base di farina bianca, marmellate e dolciumi industriali. Conoscendo un po’ più specificamente come utilizzare il cibo e i nutrienti è possibile mangiare qualcosa di dolce e gustoso e al contempo molto nutriente e sano ogni mattina. Banalmente, se a colazione anziché usare le fette biscottate con la marmellata – entrambi alimenti contenenti zuccheri in grande quantità e pochissimi altri ingredienti di valore – facessimo tostare una fetta di pane integrale a lievitazione naturale, aggiungessimo un trito di noci e mandorle (o altra frutta secca a piacere), miscelassimo con miele vergine e poi spalmassimo il composto sul pane, otterremmo un alimento sano senza usare lo zucchero industriale. Frutta secca e pane integrale sono infatti cibi salutari e il miele vergine (usato in piccole quantità) apporta anch’esso nutrienti e sostanze utili per la salute, come i composti antinfiammatori e antibatterici naturali (ma solo se è un miele vergine, non quello pastorizzato che usa l’industria).

Un altro esempio perfetto di colazione dolce sana, equilibrata dal punto di vista nutrizionale e golosa è dato dai pancake (in italiano frittella). Semplicissimi da preparare in tantissime varianti, dolci o salate, per preparare un pancake dolce basterà amalgamare assieme alcuni ingredienti come:

  • Una farina di avena, di farro o di grani antichi, oppure di mandorle o cocco, perfette per garantire energia a lento rilascio, ideali per la nostra giornata;
  • Uova, perfette per darci sazietà e mantenere in salute la massa muscolare grazie alle loro proteine nobili;
  • Una grattuggiata di scorza di limone;
  • Yogurt, ricco di fermenti lattici per il benessere dell’intestino;
  • Mirtilli, miniera di antiossidanti con pochi zuccheri, perfetti per la salute del cuore, della pelle e degli occhi.

Un terzo esempio di colazione dolce ma sana e con pochissimo zucchero sono i dessert al cucchiaio, anch’essi molto facili da preparare. È infatti sufficiente riempire un bicchiere con:

  • Yogurt bianco cremoso;
  • biscotti (meglio se fatti in casa);
  • polpa di cachi;
  • scaglie di cioccolato fondente.

Pochi ingredienti sani e bilanciati, tanto gusto e il giusto equilibrio tra carboidrati, proteine e grassi buoni.

Cibi dolci sani per i pasti principali

E se invece volessimo mangiare qualcosa di dolce e goloso a fine pasto o durante un pasto principale? Niente è impossibile neppure in questo caso. Certo, la fetta di crostata tradizionale o il cannolo tipico siciliano non rientrano in questa casistica di sicuro, in quanto sono fatti con farine raffinate e tantissimo zucchero, come nemmeno il vassoio di pasticcini del bar sotto casa – nemmeno se il vassoio è piccolo e i pasticcini sono mignon!

Praline fatte in casa a base di banana, fiocchi d’avena, cioccolato fondente in scaglie, crema di mandorle, miele, cannella o zenzero. Foto di Gianpaolo Usai

Non sono infatti soltanto i grassi “cattivi”, come quelli idrogenati o la margarina, a causare problemi di tipo cardiovascolare: zucchero e farine raffinate sono anch’essi estremamente negativi per il metabolismo della glicemia e dei grassi nel nostro organismo. Questi sono infatti collegati all’aumento di colesterolo, trigliceridi e pressione alta, poiché il loro rapido assorbimento causa picchi glicemici, stimola l’insulina (che aumenta il colesterolo LDL e i trigliceridi, riducendo l’HDL) e può portare a infiammazione e accumulo di grasso viscerale, aumentando il rischio cardiovascolare. La mancanza di fibre nelle farine raffinate (tipo 00) accelera questo processo, mentre farine integrali e un minor consumo di zuccheri aiutano a controllare questi parametri. 

Vi proponiamo dunque anche qui 3 idee molto golose e perfettamente salutari per dolci da fine pasto, ricche di tanti nutrienti. Un primo esempio sono delle praline molto semplici che possiamo definire “brutte ma buone”, a base di banana, fiocchi di avena, cioccolato fondente in scaglie, crema di mandorle, un po’ di miele e cannella o zenzero se vi piace il gusto speziato (opzionale). Sono dei dolcetti che non prevedono nemmeno la cottura in forno, pertanto più salutari di quelli cotti, e più ricchi di nutrienti. Non dovrete fare altro che miscelare in una ciotola tutti gli ingredienti, dopodiché creare delle palline delle dimensioni di una piccola polpetta e mettere il tutto in frigo per qualche ora prima di consumare.

Una seconda soluzione per il fine pasto è la torta di sola frutta accompagnata dallo yogurt greco. Non contiene alcuno zucchero aggiunto: la dolcezza arriva dalla frutta. Ecco gli ingredienti: 

  • 1 banana frullata con 100 grammi di bevanda di riso e cannella;
  • 300 grammi di mela tritata;
  • 300 grammi di farina integrale;
  • 1 bustina di lievito per dolci;
  • semi, uvetta e mirtilli disidratati come decorazione finale.

Dopo aver mischiato tutto, si cuoce in forno ventilato a 120°C per 1 ora.

La torta di sola frutta, senza l’utilizzo di zucchero. Ricetta a cura di Alessandra Burzi e ciboserio.it 

Infine, vi proponiamo la preparazione di un biscotto gelato fatto in casa con ingredienti sani. Per prepararlo si possono mischiare ingredienti quali fiocchi di avena, farina integrale di frumento, nocciole e mandorle, burro, uova, yogurt greco o ricotta, cioccolato fondente in scaglie.

Preparare dolci saluta in casa è un’ottima abitudine, che contribuisce in maniera determinante al mantenimento di una dieta sana, ma al contempo estremamente appagante.

Turchia, F-16 abbattono drone non identificato

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La difesa aerea turca ha abbattuto un drone «fuori controllo» proveniente dal Mar Nero, dopo averlo individuato e tracciato nell’ambito delle procedure di routine. Il ministero della Difesa di Ankara ha riferito che, una volta identificata la minaccia, sono decollati caccia F-16 per prevenire conseguenze negative. Il velivolo è stato distrutto in una zona sicura, lontana da aree abitate. L’episodio avviene in un contesto di crescente tensione nel Mar Nero: il presidente Recep Tayyip Erdogan ha avvertito del rischio di una “zona di scontro” tra Russia e Ucraina, dopo attacchi a navi mercantili, inclusa una nave turca colpita vicino a Odessa.

I droni sviluppati per controllare Gaza ora sorvegliano le città americane

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Un sistema di sorveglianza massiccio e onnipervasivo reso possibile attraverso droni di ultima generazione che monitorano cittadini, manifestazioni e qualunque movimento sospetto sorvolando le  grandi città americane e caricando automaticamente milioni di immagini in un database di prove: non è uno scenario distopico futuristico, ma quanto accade già oggi negli Stati Uniti grazie all’impiego di droni dell’azienda Skydio, sperimentati per la prima volta a Gaza per il controllo e l’annientamento della popolazione palestinese. Poco dopo il 7 ottobre, infatti, l’azienda – allora ancora poco conosciuta – ha inviato oltre cento droni da ricognizione a Israele come mezzo di controllo della popolazione: Gaza è stata così usata come un laboratorio per sperimentare nuove tecnologie di sorveglianza di massa. Nel frattempo, Skydio è diventata un’azienda multimiliardaria e la più grande produttrice di droni negli Stati Uniti a scapito però della tanto sbandierata privacy e libertà dei cittadini statunitensi: un modello che potrebbe ben presto essere replicato in gran parte degli Stati occidentali.

Secondo un’inchiesta indipendente, l’utilizzo di droni Skydio è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni: basti pensare che nel 2024 i contratti con le varie agenzie federali di sicurezza erano circa 320 a fronte dei mille del 2025. Tra le grandi città americane che si avvalgono di questa tecnologica compaiono BostonChicagoPhiladelphiaSan DiegoCleveland e Jacksonville.  I droni impiegati sono quadricotteri dotati di intelligenza artificiale (IA) che possono essere lanciati decine di volte al giorno per monitorare qualunque situazione nella maggior parte delle città degli Stati Uniti. Ufficialmente, questi strumenti dovrebbero essere impiegati per situazioni di emergenza e di pericolo: tuttavia, spesso il loro utilizzo oltrepassa questi contesti per spiare determinate categorie di cittadini o monitorare manifestazioni ostili al governo. Per esempio, di recente i droni sono stati utilizzati dai dipartimenti di polizia di varie città, tra cui New York, per raccogliere informazioni durante le proteste “No Kings”  e sono stati utilizzati anche da Yale per spiare  il campo di protesta contro il massacro dei palestinesi allestito dagli studenti dell’università l’anno scorso.

La rapida ascesa dell’utilizzo di droni da parte delle forze dell’ordine è stata possibile grazie a una modifica delle norme da parte della FAA (Federal Aviation Administration, Amministrazione Federale dell’Aviazione), l’agenzia governativa responsabile di regolare e sovrintendere ogni aspetto dell’aviazione civile. Mentre precedentemente i droni potevano essere utilizzati dalle forze di sicurezza solo se l’operatore li teneva a vista, ora sono possibili operazioni oltre la linea visiva, entro un miglio legale dal pilota remoto in comando senza la necessità di osservatori visivi e operazioni su persone e veicoli in movimento in determinate condizioni. Skydio ha definito la deroga  rivoluzionaria: la modifica delle normative, infatti, ha dato il via ad una corsa all’acquisto di droni della società da parte delle forze di sicurezza statunitensi, lanciando quello che viene chiamato il programma “Drone As First Responder“. Così la polizia, prima ancora che agenti in carne e ossa, invia i droni per segnalazioni e per scopi investigativi più ampi.

A livello tecnico, il sistema di IA dei droni è basato su chip Nvidia e ne consente il funzionamento senza l’intervento umano. I droni sono dotati di telecamere termiche e possono operare in luoghi in cui il GPS non funziona, i cosiddetti “ambienti GPS-negati”. Inoltre, possono ricostruire edifici e altre infrastrutture in 3D e volano a oltre 48 chilometri orari. Una volta che i droni vengono lanciati, tutte le informazioni raccolte vengono salvate su una scheda SD interna e caricate automaticamente su un software configurato per le forze dell’ordine. Il produttore di questo software è Axon, uno dei principali finanziatori di Skydio e produttore di Taser e “armi non letali” utilizzate dai dipartimenti di polizia negli Stati Uniti e in tutte le nazioni occidentali.

È importante sottolineare anche i legami che Skydio intrattiene con lo Stato ebraico: l’azienda, infatti, ha una sede in Israele e collabora con DefenceSync, una società locale di droni militari che opera come intermediario tra i produttori di droni e le IDF (Israel Defence Forces). Ma i contatti dell’azienda con Israele non finiscono qui, perché il primo investitore di Skydio è stato, nel 2015, Andreessen Horowitz (a16z), società tecnologica di venture capital, i cui fondatori – Marc Andreessen e Ben Horowitz – sono entrambi noti sionisti. Recentemente l’azienda ha anche firmato un contratto per la fornitura di droni da ricognizione all’Esercito degli Stati Uniti, il che solleva interrogativi sul possibile utilizzo condiviso delle informazioni tra l’esercito statunitense e le agenzie di sicurezza interna tramite il sistema di gestione delle prove digitali Skydio-Axon.

Gaza si può considerare, dunque, come un laboratorio che ha spianato la strada alla sorveglianza di massa negli Stati Uniti, un grande occhio orwelliano che non dorme mai e che è in grado di raccogliere migliaia di immagini e di informazioni su cittadini liberi e incensurati, mostrando l’essenza di dominio e di controllo della tecnologia proprio in quella che è considerata la patria della democrazia e della libertà in tutto il mondo.

La Corte Penale Internazionale ha confermato il mandato di cattura contro Netanyahu

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La Corte penale internazionale ha respinto il ricorso di Israele e ha confermato i mandati di cattura nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, che sono stati emessi il 21 novembre 2024. La Camera d’Appello della CPI ha ritenuto infondate le richieste di Tel Aviv di sospendere l’inchiesta e di neutralizzare gli effetti giuridici delle accuse. Il procedimento riguarda crimini di guerra e crimini contro l’umanità legati all’offensiva israeliana contro Hamas dopo il 7 ottobre 2023. Le accuse della CPI comprendono anche l’uso della fame come strumento di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile.

Inizialmente la CPI aveva emesso un mandato di arresto anche nei confronti del leader di Hamas Ibrahim al-Masri, ma lo ha successivamente ritirato in seguito a segnalazioni attendibili sulla sua morte. In risposta ai mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant, il presidente USA Donald Trump ha imposto sanzioni alla CPI, congelando beni e risorse di suoi funzionari e complicando l’operatività della Corte, con alcune aziende che hanno bloccato servizi essenziali alla stessa CPI. La pronuncia dell’Aia di lunedì rappresenta un passaggio rilevante sul piano giuridico e diplomatico, con possibili ripercussioni nei rapporti tra Israele, i Paesi firmatari dello Statuto di Roma e la comunità internazionale. Secondo la Corte, l’indagine resta valida anche per gli eventi successivi all’inizio del conflitto e non può essere interrotta sulla base delle argomentazioni presentate dallo Stato israeliano. I giudici hanno stabilito che la Procura è legittimata a proseguire il lavoro investigativo, nonostante Israele non riconosca la giurisdizione della CPI. I mandati di cattura si fondano sull’ipotesi che alcune scelte militari e politiche abbiano avuto un impatto diretto sulla popolazione civile di Gaza, in particolare per quanto riguarda l’accesso a beni essenziali e la gestione delle operazioni belliche. Secondo le autorità sanitarie locali, i morti palestinesi sarebbero almeno 67.000, ma uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research stima un bilancio fino a 110.000 vittime. La Corte ha inoltre chiarito che il principio di complementarità, invocato da Israele, non è sufficiente a giustificare la sospensione automatica dell’inchiesta in assenza di procedimenti nazionali equivalenti e verificabili.

Le reazioni ufficiali di Israele non si sono fatte attendere. Con un post su X, il Ministero degli Esteri israeliano ha rigettato con forza il quadro giuridico stabilito dalla Corte: lo stato ebraico, leggiamo nel comunicato, «respinge la decisione della Camera d’Appello della CPI, adottata per stretta maggioranza, che nega a Israele il diritto di ricevere un preavviso, come richiesto dal principio di complementarità, in particolare per uno Stato democratico con un sistema giudiziario indipendente e solido». Il governo di Tel Aviv parla di «politicizzazione della Corte» e di un «mancato rispetto dei diritti sovrani degli Stati non membri», bollando la sentenza come espressione di un processo che, a suo avviso, traveste la politica da diritto internazionale. Secondo Israele, la decisione rifletterebbe un’evidente mancanza di equilibrio e una visione distorta della realtà del conflitto, respingendo le accuse di crimini di guerra e riaffermando la legittimità delle sue azioni militari contro Hamas.

Nel più ampio teatro delle relazioni internazionali, la conferma della CPI rappresenta un punto di svolta potenzialmente epocale. È una sfida aperta a un ordine internazionale che da decenni fatica a imporre responsabilità per le violazioni più gravi e che ora si trova al centro di un confronto tra giustizia internazionale e sovranità statale. Mentre il conflitto israelo-palestinese prosegue con cicatrici indelebili per la popolazione di Gaza, la conferma del mandato di cattura contro Netanyahu e Gallant segna l’inizio di una nuova fase di dibattito sul ruolo delle corti internazionali nel perseguire la responsabilità per crimini di guerra, anche quando coinvolgono leader potenti, Stati intoccabili e alleanze complesse.

USA colpiscono tre imbarcazioni nel Pacifico: almeno 8 morti

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Gli Stati Uniti hanno condotto nuovi attacchi nel Pacifico orientale contro tre imbarcazioni che, secondo l’intelligence militare, stavano transitando su rotte note del narcotraffico internazionale. Le operazioni, eseguite sotto il comando della Joint Task Force Southern Spear, hanno provocato la morte di almeno otto uomini. Le azioni rientrano in una più ampia campagna militare contro il traffico di droga via mare, che ha già visto decine di attacchi in acque internazionali su imbarcazioni sospettate di attività illecite.

La Finlandia riscalda le sue città con il calore generato dai data center

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riscaldamento domestico

I data center consumano enormi quantità di energia e generano calore in modo continuo, una conseguenza inevitabile del funzionamento dei server che è destinata ad aumentare con l’espansione del digitale e dell’intelligenza artificiale. Per limitarne l’impatto, in Finlandia una parte di questo calore viene recuperata e immessa nelle reti di teleriscaldamento urbano, e utilizzata per riscaldare abitazioni ed edifici pubblici. Non è una soluzione che cancella il peso energetico dei data center, ma un modo concreto per ridurre gli sprechi e diminuire l’uso di combustibili fossili nel riscaldamento...

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Liberato Mohamed Shahin: l’imam chiuso in un CPR per aver definito il 7 ottobre “resistenza”

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Mohamed Shahin, l’imam della moschea di via Saluzzo a Torino chiuso in un centro Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione, è stato liberato. La sua scarcerazione è stata disposta dalla Corte d’Appello, che ha riconsiderato la legittimità del provvedimento con cui il suo trattenimento era stato convalidato, evidenziando come le frasi incriminate fossero state archiviate già prima del suo arresto, lo scorso 24 novembre; sul decreto di espulsione, invece, dovrà esprimersi il TAR del Lazio.

La decisione della Corte d’Appello è arrivata oggi, 15 dicembre. Essa accoglie uno dei ricorsi presentati contro il trattenimento di Shahin nel CPR di Caltanissetta. Sul decreto di espulsione, visionato da L’Indipendente, si legge che l’imam costituirebbe «una minaccia concreta, attuale e sufficientemente grave alla sicurezza dello Stato», tanto che potrebbe «agevolare, in vario modo, organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali». Il decreto porta diversi argomenti per sostenere la propria tesi; tra i principali: le frasi pronunciate in occasione della manifestazione del 9 ottobre; il fatto che su di lui penda una accusa per blocco stradale, in riferimento a una manifestazione dello scorso maggio; presunti legami con due persone poi arruolatisi in gruppi terroristici. Il provvedimento cita anche il ruolo di rilevanza che egli ricopre all’interno della comunità islamica, le sue iniziative di promozione di manifestazioni per la Palestina, il fatto che nel 2023 gli sia stata negata la cittadinanza, e sostiene che Shahin sarebbe portatore di una «ideologia fondamentalista e di chiara matrice antisemita», senza tuttavia spiegare per quale motivo.

Secondo la Corte d’Appello nessuna delle motivazioni giustificherebbe l’identificazione di Shahin come soggetto pericoloso per la sicurezza dello Stato: le frasi incriminate sono infatti già state archiviate lo scorso 10 ottobre, e decontestualizzate dall’intero discorso dell’imam; l’accusa di blocco stradale non basta per affermare che Shahin costituisca un pericolo, visto anche che l’uomo vive in Italia da vent’anni ed è «completamente incensurato»; i presunti contatti con persone indagate per terrorismo, invece, sono stati spiegati da Shahin nel corso della reclusione. Fairus Jama, l’avvocata di Shahin, ha spiegato a L’Indipendente che i fatti riguardo alle persone indagate per terrorismo risalgono a diversi anni fa e che, tra l’altro, Shahin non è accusato di avere avuto veri e propri «contatti» con essi, ma di essere stato «avvicinato». In uno dei due casi, a fare suonare il campanello di allarme sarebbe stato il mero fatto che il nome di Shahin sia uscito in una conversazione telefonica tra terzi. Sulla negazione della cittadinanza, Jama ci ha spiegato che è stato presentato ricorso, ma che deve ancora iniziare l’udienza.

Mohamed Shahin è stato prelevato sotto casa la mattina del 24 novembre, quando si è visto revocare il permesso di soggiorno e recapitare un decreto di espulsione. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta, a 1.600 chilometri dalla Mole, lontano da famiglia e avvocata. Nel suo Paese d’origine, l’Egitto, è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. A sollecitarne l’espulsione, nel corso di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi, è stata la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha richiamato proprio quelle frasi su Hamas che erano già state archiviate un mese e mezzo prima. Il Viminale ne ha così ordinato l’espulsione e il trattenimento, e la Corte d’Appello ha in un primo momento convalidato quest’ultimo.