mercoledì 2 Aprile 2025
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Turchia, continuano le proteste contro Erdogan: oltre mille arresti

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Non si placano a Istanbul le proteste popolari iniziate in seguito all’arresto del sindaco e oppositore di Erdoğan, Ekrem İmamoğlu. La polizia continua a rispondere con la repressione: secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa, sono 1.133 i fermati per «attività illegali» tra il 19 e il 23 marzo. Intanto, il governo ha inondato le piattaforme social con richieste di blocco per centinaia di account, nel tentativo di arginare la diffusione della protesta. La polizia sta inoltre impiegando sistematicamente spray al peperoncino, gas lacrimogeni e camion blindati con idranti per disperdere la folla radunata a Istanbul e in altre grandi città del Paese. I manifestanti contestano l’arresto del sindaco, giudicato come un nuovo tentativo di eliminare ogni residuo di opposizione politica e sociale nel Paese, facendo leva sulla magistratura.

İmamoğlu è stato arrestato all’alba di mercoledì 19 marzo, con la duplice accusa di corruzione e favoreggiamento al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che la Turchia considera un’organizzazione terroristica. Da allora, le proteste in Turchia si sono progressivamente allargate. Domenica 23 marzo, il Tribunale penale di Istanbul ha confermato l’arresto di İmamoğlu nell’ambito dell’indagine per corruzione. Lo stesso giorno si sono tenute le primarie del Partito Popolare Repubblicano (CHP), di cui İmamoğlu fa parte e per cui risultava l’unico candidato alla corsa per le presidenziali del 2028; secondo le prime stime, si sono presentati ai seggi più di 15 milioni di persone. Con il grande risultato delle primarie e la decisione del Tribunale penale, le proteste, che stavano già vivendo un’ampia partecipazione, si sono ulteriormente intensificate. Mentre le mobilitazioni continuavano, il presidente turco Erdoğan ha accusato i partiti di opposizione di aver provocato un «movimento di violenza», definendo le manifestazioni «malvage» e chiedendo la loro cessazione.

La stessa domenica, decine di migliaia di persone sono scese in strada, raggiungendo 55 delle 81 province del Paese, e la tensione è sfociata in scontri con la polizia. A Istanbul, le forze dell’ordine in tenuta antisommossa hanno caricato i manifestanti con scudi e manganelli, impiegando anche gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma. Sempre a Istanbul, un sit-in di protesta ha bloccato il traffico su entrambi i lati del ponte di Galata, mentre, parallelamente, nella capitale Ankara i dimostranti si sono fermati davanti ai camion che trasportavano idranti, chiedendo alla polizia di lasciarli marciare in pace. In generale, l’esecutivo ha promosso un approccio repressivo nei confronti dei manifestanti, arrestando migliaia di persone, tra cui otto giornalisti e fotoreporter, e avviando indagini contro gli oppositori politici attivi sui social. Precedentemente, il governo aveva vietato per quattro giorni ogni manifestazione politica, bloccato strade, infrastrutture e metropolitane a Istanbul, e limitato l’accesso ai social media.

İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.

[di Dario Lucisano]

Per la Palestina e contro la censura a scuola: riprendono le occupazioni dei licei

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Le occupazioni studentesche tornano protagoniste nelle scuole italiane. Ieri, lunedì 25 marzo, al liceo Leonardo da Vinci di Milano, gli studenti hanno inscenato una protesta contro la creazione di un gruppo di lavoro che limiterebbe la diffusione di volantini e l’affissione di striscioni e contro il rifiuto di tre assemblee su transfemminismo, violenza di genere e migranti. Mentre i professori sono rimasti all’esterno, circa 400 ragazzi si sono introdotti nella struttura per pernottarvi, dando il via alla terza occupazione liceale dell’anno nella città meneghina. A Bologna, invece, dopo l’occupazione degli ultimi giorni del liceo Minghetti, la protesta si è spostata al Copernico. Partita con fumogeni e una bandiera palestinese, l’occupazione è stata lanciata in solidarietà con i ragazzi del Minghetti, denunciati per i danni che avrebbero causato alla struttura. Gli studenti bolognesi, inoltre, hanno già organizzato diverse attività e incontri per parlare di transfemminismo, ambiente e Palestina, e criticano le politiche scolastiche del ministro Valditara e lo stato di abbandono in cui versano le infrastrutture scolastiche.

L’occupazione presso il liceo Leonardo da Vinci di Milano durerà tutta la settimana e prevede l’interruzione delle attività didattiche fino a sabato. Continueranno invece a svolgersi regolarmente le attività amministrative e saranno comunque condotti i test Invalsi. La mobilitazione è scattata alla notizia che la scuola avrebbe avuto l’intenzione di istituire un gruppo di supporto per vietare la diffusione di volantini e l’affissione di striscioni nell’istituto. Gli studenti, inoltre, denunciano di avere «subito una censura»: il Consiglio d’Istituto, infatti, ha bocciato l’organizzazione di tre assemblee che «trattavano temi fondamentali come il transfemminismo, la violenza di genere e la tutela dei migranti», sostenendo che mancasse un contraddittorio; «ma ci chiediamo: chi dovrebbe rappresentare la controparte in un dibattito sulla violenza di genere?». L’occupazione nasce dunque «in segno di protesta contro le limitazioni alla libertà di espressione», contro cui gli studenti chiedono «la creazione di un regolamento concordato con la dirigenza per garantire la libertà di espressione nel rispetto della legge» e «l’istituzione di un sistema anonimo per segnalare criticità didattiche e comportamentali dei docenti». Oltre a ciò, gli studenti propongono l’organizzazione di assemblee mensili su temi di attualità ed educazione civica e un piano di intervento strutturale con la Città metropolitana di Milano per migliorare le condizioni dell’edificio scolastico.

Come quella milanese, anche la protesta bolognese presso il liceo Copernico denuncia la fatiscenza delle infrastrutture scolastiche del Paese. Venerdì 16 febbraio, nello stesso istituto, una ragazza era rimasta ferita dal crollo di un lavandino a cui si era appoggiata, riportando diverse lesioni e venendo trasportata al Pronto Soccorso. In generale, la mobilitazione si è sviluppata all’insegna del contrasto alle politiche scolastiche del ministro Valditara, giudicate, da una parte, repressive, e, dall’altra, poco attente alle esigenze delle istituzioni pubbliche. I ragazzi e le ragazze del Copernico contestano un modello di educazione che rafforzerebbe politiche xenofobe, razziste, nazionaliste e patriarcali, e propongono «una scuola diversa, fondata sul rispetto, sull’inclusività e sulla partecipazione attiva degli studenti». Aperte le critiche alle riforme repressive del governo Meloni e ai programmi di spesa militare, e frontale il sostegno alla causa palestinese; oggi stesso è previsto un incontro con i Giovani Palestinesi.

Gli studenti del Copernico hanno inscenato la loro protesta anche in solidarietà ai colleghi del Minghetti, che hanno occupato la settimana scorsa, finendo, di tutta risposta, denunciati dalla scuola. Il dirigente dell’istituto contesta il picchetto degli alunni, nonché danni alla serratura della presidenza e a un cancello. È in corso la valutazione dei danni. Al Minghetti la protesta è stata lanciata contro il piano “ReArm Europe” e il taglio alla spesa destinata alle scuole, contestando inoltre il cosiddetto DDL Sicurezza, l’alternanza scuola-lavoro (oggi PCTO) e il «modello di scuola repressivo ed autoritario» promosso da Valditara.

Anche l’occupazione del Minghetti ha mostrato solidarietà alla causa palestinese. Nel corso di tutto il 2024, contro il genocidio, si era mobilitata un’ampia frangia degli studenti italiani, dai liceali di Roma agli universitari di gran parte degli atenei del Paese. In generale, l’anno scorso è stato caratterizzato da un ritorno delle lotte studentesche sulla scena politica, che hanno promosso un approccio intersezionale, connettendo i vari temi relativi a inclusività, guerra e repressione. Lungi dal “buttare tutto nel calderone”, come spesso gli è stato denunciato, gli studenti intendevano superare quel ragionamento a compartimenti stagni che porta avanti singole rivendicazioni, cercando piuttosto le cause alla radice dei temi a loro cari e mostrandone i reciproci legami.

[di Dario Lucisano]

Israele bombarda la Siria e Gaza: 23 morti nell’enclave

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L’esercito israeliano è tornato a bombardare la Siria. Lo ha reso noto l’IDF, che ha dichiarato sul social X di aver colpito «le restanti capacità militari nelle basi militari di Tadmur (Palmira) e T4», base aerea a circa 50 chilometri a ovest di Palmira, per «rimuovere ogni minaccia per i cittadini israeliani». Nel frattempo, Israele continua a bombardare Gaza per l’ottavo giorno consecutivo, uccidendo almeno 23 persone negli attacchi effettuati prima dell’alba, tra cui sette bambini. L’esercito ha inoltre ordinato agli abitanti della zona di Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza, di evacuare le proprie case in vista di un attacco aereo.

La Puglia stanzia 11 milioni di euro per riqualificare i beni confiscati alla mafia

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riqualifica beni confiscati mafia puglia

Restituire nuova vita agli immobili sottratti alla criminalità organizzata: è a questo obiettivo che sono destinati gli 11 milioni di euro stanziati dalla Regione Puglia con il supporto della Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni e Antimafia Sociale. L’iniziativa punta infatti a riconsegnare parte degli oltre 1500 beni attualmente confiscati alla comunità, trasformandoli in spazi di aggregazione e servizi a sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione. I Comuni assegnatari di beni confiscati, che spaziano da masserie a capannoni industriali, fino a fabbricati r...

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USA-Filippine, esercitazioni militari congiunte

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I soldati dell’esercito filippino e statunitense hanno iniziato ampie esercitazioni militari congiunte. A dare l’annuncio è l’esercito filippino, che ha spiegato che le esercitazioni, che coinvolgeranno circa 5.000 soldati, saranno incentrate sulla difesa del territorio, sulla cooperazione tra gli eserciti e sull’organizzazione di possibili schieramenti di forze su larga scala, prevedendo simulazioni di combattimenti. Le esercitazioni, denominate Salaknib, si svolgeranno in due «fasi», di cui la seconda è prevista per la fine dell’anno. Il programma Salaknib è iniziato nel 2016 e prevede una serie di esercitazioni annuali tra USA e Filippine.

Serbia, la popolazione chiede un’indagine sull’uso di armi soniche durante le proteste

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Quasi 600mila persone hanno firmato una petizione per chiedere che sia aperta un’indagine internazionale indipendente sulla polizia serba, la quale viene accusata di aver impiegato, sabato 15 marzo, un’arma sonica contro un gruppo di manifestanti. Secondo i dimostranti, la protesta era stato disturbata da un suono sibilante emesso ad alta frequenza. Ivica Dacic, Ministro dell’Interno, ha negato che la polizia serba abbia utilizzato questo tipo di arma. Tuttavia, online sono comparse foto e video che mostrano veicoli delle Forze dell’ordine dotati di quelli che sembrerebbero essere dispositivi acustici ad alta frequenza. I cannoni sonori rientrano in quella categoria chiamata “armi a energia diretta”, ovvero armi letali e non letali che utilizzano l’energia per colpire a distanza le menti e i corpi degli obiettivi contro cui sono dirette.

Una petizione firmata da quasi 600mila persone, indirizzata alla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione, Gina Romero, alla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di opinione e di espressione, Irene Kahn, al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty, e al rappresentante dell’OSCE, chiede un’indagine internazionale indipendente sull’uso di un cannone sonoro contro i manifestanti pacifici a Belgrado, che sarebbe stato utilizzato durante la protesta del 15 marzo. Con la petizione viene chiesto che si identifichino i responsabili delle istituzioni e gli individui che avrebbero ordinato l’utilizzo di simili apparecchi, nonché di sondare quali possano essere gli aspetti medici, legali e tecnici del loro impatto sulla salute e sui diritti umani.

«Questo non è solo un attacco al diritto di protestare, ma anche una violazione dei diritti umani fondamentali garantiti dalle convenzioni internazionali. Secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui la Serbia è firmataria, ogni individuo ha il diritto inalienabile di riunirsi pacificamente e di esprimere la propria opinione senza timore di repressione», viene espresso nella petizione. «La Serbia, in quanto membro delle suddette istituzioni internazionali e firmataria di trattati internazionali, è tenuta a garantire ai propri cittadini il diritto alla libertà di riunione e di espressione delle proprie opinioni. L’uso di mezzi illeciti contro i civili costituisce una grave violazione dei diritti dei cittadini riconosciuti a livello costituzionale e internazionale, che richiede una risposta urgente da parte degli organismi internazionali», prosegue il testo.

La Serbia è attraversata da forti tensioni sociali e proteste da quando 15 persone sono morte a seguito di un crollo alla stazione ferroviaria di Novi Sad, il 1° novembre 2024. Quella vicenda è considerata il simbolo più tangibile della corruzione e dell’incuria delle istituzioni serbe e ha acceso la miccia di una protesta popolare senza precedenti. Da allora, il movimento studentesco e sociale serbo non si è fermato, portando in strada e in piazza centinaia di migliaia di persone. L’enorme, e ininterrotta, protesta dei cittadini serbi ha portato il Primo Ministro, Miloš Vučević, a rassegnare le proprie dimissioni il 28 gennaio scorso. Lo stesso Sindaco di Novi Sad, Milan Đurić, si è dimesso lo stesso giorno in cui si è dimesso il Primo Ministro serbo.

Le manifestazioni non si sono però arrestate. Anzi, per certi versi hanno aumentato la propria portata, sentendo di poter aumentare la pressione sulle istituzioni politiche. Il 15 marzo scorso, giorno in cui sarebbe stata utilizzata l’arma sonica contro i manifestanti, 300mila persone sono scese in strada per protestare utilizzando lo slogan “15 per 15” in ricordo dei morti alla stazione ferroviaria. Gli studenti hanno così alzato la posta in gioco, chiedendo le dimissioni dello stesso Presidente serbo, Aleksandar Vučić. In quella giornata di protesta, il Presidente ha rilasciato un messaggio televisivo in cui ha parlato della necessità di un «cambiamento», aprendo alla possibilità di nuove elezioni, senza tuttavia annunciare le proprie dimissioni, come chiesto dagli studenti e dai manifestanti.

[di Michele Manfrin]

Milano, incendio al carcere minorile Beccaria: 5 intossicati

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Un rogo è divampato oggi al secondo piano del carcere per minori Cesare Beccaria di Milano. Lo hanno reso noto i vigili del fuoco, intervenuti con sette mezzi per domare le fiamme, che sarebbero state causate dall’incendio di alcuni materassi. Sarebbero cinque – due detenuti, due agenti e un medico – le persone rimaste intossicate, che non si troverebbero in gravi condizioni. Le squadre dei Vigili del fuoco stanno completando la bonifica dell’area. Nella stessa struttura, dove la situazione legata al sovraffollamento è fuori controllo, lo scorso 13 marzo cinque persone erano rimaste lievemente ferite in un altro incendio appiccato da alcuni detenuti.

Bassetti torna a parlare di Covid: raffica di fake news in diretta a “La Zanzara”

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I vaccini anti-Covid non solo avrebbero «salvato l’Italia», ma non avrebbero causato alcun aumento di miocarditi; le responsabilità legate al Green Pass sarebbero da attribuire esclusivamente alla politica, mentre i protocolli “tachipirina e vigile attesa” sarebbero «un’invenzione» dei no-vax. È questo, in sintesi, il contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal professor Matteo Bassetti, infettivologo, durante un intervento al noto programma radiofonico La Zanzara. Un’apparizione che ha coinciso con la promozione del suo nuovo libro – presentato a scopo promozionale in studio – in cui racconta «cosa significhi esercitare oggi questa professione». Tuttavia, il biglietto da visita non è stato dei più convincenti. Al di là delle sue affermazioni, infatti, esistono dati, studi scientifici e perfino dichiarazioni passate dello stesso Bassetti che sembrano andare in direzione opposta rispetto a quanto oggi sostiene. Per questo, appare necessario fare un po’ di chiarezza: distinguere ciò che è vero, ciò che non lo è e ciò che resta – quantomeno – discutibile.

“Cosa avrebbero dovuto fare i medici?”

Al minuto 1:15:25, dopo che il conduttore Giuseppe Cruciani ha ricordato a Bassetti che spesso viene considerato uno «dei grandi fautori del vaccino in Italia», quest’ultimo ha affermato: «Il problema vero è che questo dimostra l’ignoranza del nostro Paese. Un medico che deve fare dopo che arriva un virus nuovo che gli ammazza la gente nel suo reparto se non dire alla gente di vaccinarsi? Dimmelo». Tale affermazione, però, si scontra direttamente con le carte che regolano la sua professione e i diritti dei pazienti. Secondo l’articolo 33 del codice di deontologia medica, infatti, il medico deve garantire alla persona assistita un’informazione comprensibile ed esaustiva «sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia, sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche» e «sui prevedibili rischi e complicanze».

Esistono anche diverse leggi che si scontrano con quanto dichiarato, come la legge 219/2017, che stabilisce che «ogni persona ha il diritto di essere informata in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario».
Per quanto riguarda i vaccini, per esempio, sicuramente non avrebbe guastato informare il paziente dei risultati limitati ottenuti circa l’interazione con altri vaccini, gli effetti sulla fertilità, la genotossicità e la cancerogenicità, come indicato nei bugiardini ancora oggi.

I vaccini avrebbero “salvato l’Italia”

Poco dopo, alla domanda «i vaccini hanno salvato l’Italia?», Bassetti ha risposto: «Certo che sì. Senza vaccini saremmo andati avanti col problema della pandemia almeno due anni di più, e quanta gente sarebbe morta? È provato, guarda i cinesi che non hanno vaccinato. Ci sono dati pubblicati su riviste prestigiose». Si tratta di un’affermazione che, se non spiegata aggiungendo il contesto necessario, potrebbe risultare fuorviante: in primo luogo, è fondamentale notare che, secondo i bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), a gennaio 2022 – quindi poco dopo gli anni peggiori della pandemia – i morti under 50 correlati al virus erano 1.788, non troppo distanti (in trend) dai 941 decessi segnalati un anno prima, ovvero poco dopo l’introduzione dei vaccini.

Inoltre, è fondamentale notare che gli studi di cui (presumibilmente) Matteo Bassetti parla spesso sono basati su modelli matematici – quindi probabilistici – e osservazionali, ovvero su dati raccolti nella popolazione senza controllo randomizzato e con numerosi bias di selezione difficilmente escludibili. Basti pensare che numerosi articoli a riguardo non sono nemmeno stati classificati come veri e propri studi, bensì come “commenti”, quindi non sottoposti a nessuno di quei processi di revisione scientifica volti a garantire la correttezza dei contenuti.

A ulteriore conferma di ciò, L’Indipendente ha contattato il prof. Marco Cosentino – medico e farmacologo – che ha dichiarato: «Per i vaccini ad RNA non c’è prova che riducano la mortalità o il Covid grave e anzi, nello studio Pfizer i morti sono in eccesso nel gruppo vaccinato. Inoltre, le analisi della sicurezza negli studi clinici controllati hanno sistematicamente evidenziato importanti effetti avversi in eccesso e, infine, le maggiori evidenze di efficacia delle campagne vaccinali a tappeto derivano da studi epidemiologici descrittivi di regola di bassa qualità e influenzati da multipli fattori di confondimento. Se si esaminano criticamente i dati istituzionali su cui di regola questi studi si fondano, le evidenze dicono altro. Anche le migliori analisi epidemiologiche stimano a livello globale un numero di morti evitate alquanto contenuto, prevalentemente tra gli anziani e soltanto a condizione di ipotizzare un’efficacia vaccinale estremamente elevata, dato non sostenuto dalle evidenze cliniche sperimentali. Nel complesso, i dati a disposizione non hanno mai giustificato e tanto meno ora sostengono in alcun modo la vaccinazione indiscriminata a tappeto, e richiedono come minimo di valutare caso per caso sulla base dell’evidenza clinica e scientifica. Per alcune categorie, tra cui senza dubbio i giovani in salute, il rapporto tra benefici e rischi è chiaramente sbilanciato verso i rischi».

Il Green Pass “è solo responsabilità della politica”

Al minuto 1:16:40, l’infettivologo dichiara: «Secondo me dobbiamo fare una distinzione. Un conto è un medico che dice alla gente di vaccinarsi, un altro è la politica che ha deciso di imporre il vaccino. Un medico non poteva non essere d’accordo! Eravamo tutti d’accordo». Tale affermazione potrebbe risultare fuorviante se non si ricorda anche che “la politica”, in quel periodo, era in costante ascolto della comunità scientifica e dei medici che, come fatto anche da Bassetti, non si sono astenuti dal fare proposte sull’argomento. «Non solo sono favorevole [ad un Green Pass differenziato per vaccinati e non vaccinati, ndr], ma credo di essere uno dei primi che ne ha parlato a maggio 2021, sono stato uno dei fautori, preferirei al posto di discuterne di agire», dichiarava lo stesso Matteo Bassetti a novembre 2021.

Nessun “aumento di miocarditi” e “invenzioni dei novax”

Al minuto 1:18:50, dopo che Cruciani ha chiesto «non c’è manco un aumento di miocarditi?», Bassetti ha risposto così: «Non c’è stato mai, ma assolutamente», aggiungendo che questi argomenti andrebbero trattati nelle sedi appropriate. Tuttavia, ammettendo che il professore concordi nel considerare “sedi appropriate” la Food and Drug Administration, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) e l’Agenzia Europea per i Medicinali, è bene notare che tutte e tre hanno raccolto segnalazioni su un aumento di casi di miocarditi e pericarditi a seguito dei vaccini anti-Covid, culminate con l’inserimento nei bugiardini di paragrafi appositi, prima assenti. Per chi volesse verificare a questo link si possono consultare le segnalazioni raccolte dalla FDA; qui quelle raccolte dalla CDC e qui quelle raccolte dall’ente europeo.


Infine, al minuto 1:24:30 il conduttore chiede se «tachipirina e vigile attesa» fossero o meno un errore o «un’invenzione dei “novax”». Bassetti risponde così: «è un’invenzione di un certo movimento. Nessuno ha scritto mai “tachipirina e vigile attesa”, diciamo come stanno le cose. Si è scritto un protocollo che [come] in ogni malattia infettiva si osserva l’evoluzione dei sintomi e si usano dei sintomatici». Si tratta però di dichiarazioni fuorvianti, simili a quelle fatte dall’ex ministro Speranza, in quanto i protocolli esistono e, sebbene non contenessero veri e propri obblighi, vanno inseriti in un contesto dove i medici spesso dovevano affrontare gravi accuse, sospensioni e minacce in caso di mancata applicazione.

In conclusione, l’intervento sottolinea la facilità con cui è possibile fare affermazioni imprecise o fuorvianti riguardo un tema così complesso come quello pandemico, che si dimostra per l’ennesima volta un potenziale boomerang per chiunque non lo tratti nelle “sedi appropriate”, come sostenuto (paradossalmente) dallo stesso Bassetti.

[di Roberto Demaio]

Tra massacri e diplomazia: il difficile cammino verso la pace in Siria

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«Nel Nord Est della Siria non cambia ancora niente. Stesse forze armate, stesse istituzioni. Stessi bombardamenti delle milizie mercenarie controllate dai turchi. La guerra continua», riferisce S., giornalista del Rojava Information Centre a L’Indipendente. Il riferimento è all’accordo, potenzialmente decisivo, siglato nella serata di lunedì 10 marzo tra il governo ad interim di Damasco e le Syrian Democratic Forces (SDF), coalizione militare a trazione curda che controlla un terzo del Paese, volto a integrare queste ultime con le istituzioni dello Stato centrale. «Sarà messo a terra entro non...

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Gaza, raid israeliani uccidono almeno 61 palestinesi in 24 ore

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Secondo il Ministero della Salute di Gaza, i massicci attacchi dell’esercito israeliano hanno ucciso nelle ultime 24 ore almeno 61 palestinesi nella Striscia, mentre altri quattro corpi sono stati recuperati tra le macerie. Le autorità palestinesi hanno inoltre riferito che, negli ultimi giorni, sono stati ricoverati negli ospedali di Gaza 134 feriti. «Un certo numero di vittime rimane sotto le macerie e sulle strade, irraggiungibili dalle ambulanze e dai mezzi della protezione civile», si legge in una nota del ministero. Il bilancio delle vittime a Gaza dall’inizio della guerra israeliana ha raggiunto quota 50.082, mentre i feriti sono 113.408.