sabato 26 Aprile 2025
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La scoperta di un altare fornisce nuovi dettagli sul potere dell’impero Maya

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È sgargiante ed inquietante, è situato nel cuore di un’antica città Maya ma, al contrario delle aspettative, potrebbe essere stato costruito da artisti formati a più di mille chilometri di distanza: è l’altare rinvenuto a Tikal, in Guatemala, che secondo gli esperti potrebbe persino riscrivere ciò che sappiamo della geopolitica mesoamericana di 1.700 anni fa. A dettagliarlo è un nuovo studio condotto da un team internazionale di ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Antiquity. Secondo le teorie degli autori, il monumento sarebbe la prova che popolazioni così distanti non avrebbero interagito solo con semplici scambi culturali, ma anche attraverso l’imposizione fisica e rituale di una potenza straniera. «Questa è la storia di un impero: di come regni importanti si siano spinti a cercare di controllarne altri. Questa nuova scoperta rafforza fortemente l’idea che non si sia trattato di contatti superficiali o di mero commercio. Si è trattato di forze belligeranti che hanno costruito un’enclave vicino al palazzo reale locale», ha commentato il coautore Stephen Houston, professore alla Brown University specializzato nella cultura Maya.

Fino a oggi, le interazioni tra gli abitanti di Teotihuacan – una vasta città dell’antico Messico centrale, situata vicino all’odierna Città del Messico – e Tikal – situata nell’attuale Guatemala, all’interno della giungla del dipartimento di Petén – erano note ma controverse: si parlava di scambi commerciali, contatti diplomatici e forse matrimoni dinastici, ma mancava una prova tangibile che mostrasse l’estensione e la profondità dell’influenza teotihuacana sul territorio Maya. La nuova scoperta, pubblicata sulla rivista Antiquity, sembra cambiare le carte in tavola: a partire dal 2019, un’équipe di archeologi statunitensi e guatemaltechi ha avviato una serie di scavi in una zona di Tikal che appariva come una semplice collina naturale. Al contrario delle previsioni, le scansioni geofisiche hanno invece rivelato la presenza di strutture sepolte e, seguendo muri e pavimentazioni attraverso tunnel sotterranei, i ricercatori sono arrivati a un altare riccamente decorato, con figure umane piumate e tracce di rosso, nero e giallo – colori e simboli propri del cosiddetto “Dio della Tempesta”, divinità più comune a Teotihuacan che nei culti Maya. Le tecniche artistiche e le posture delle sepolture, poi, hanno permesso agli esperti di collegare il complesso non solo simbolicamente, ma anche fisicamente, alla tradizione dell’altopiano centrale.

In particolare, durante le indagini, sotto l’altare sono stati ritrovati due corpi: un adulto – forse un uomo – e un bambino tra i due e i quattro anni sepolto in posizione seduta, pratica comune a Teotihuacan ma insolita per Tikal. Intorno all’altare, altri tre neonati sono stati rinvenuti con modalità simili a quelle osservate in tombe infantili della stessa area messicana. «L’altare conferma che i rituali di Teotihuacan venivano utilizzati proprio nel centro di Tikal», ha commentato Stephen Houston. Secondo l’antropologo e coautore Andrew Scherer, poi, gli edifici ritrovati accanto all’altare furono poi deliberatamente sepolti e mai più ricostruiti, nonostante la zona fosse in seguito considerata di pregio. Un gesto interpretato come un segno di rispetto, timore o rigetto per quella presenza straniera. Secondo gli esperti, l’episodio potrebbe collegarsi a un momento cruciale della storia Maya: nel 378 d.C., secondo alcuni epigrafi ritrovati negli anni Sessanta, Teotihuacan avrebbe rovesciato il sovrano di Tikal e installato un proprio fantoccio sul trono. L’altare, quindi, potrebbe essere stato costruito proprio in quell’epoca, come simbolo del nuovo potere. «È una storia antica quanto il tempo. Imperi che si scontrano per la supremazia culturale e materiale», concludono gli autori, aggiungendo che probabilmente, per i Maya, quella potenza straniera poteva apparire come una minaccia da ricordare ma da seppellire, trattando la zona di contatto come “radioattiva”.

[di Roberto Demaio]

L’annuncio di Giorgetti: l’Italia aumenterà da subito le spese militari al 2% del PIL

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Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato ieri che l’Italia raggiungerà già entro quest’anno l’obiettivo fissato dalla NATO del 2% del Pil (prodotto interno lordo) per la difesa, attraverso una serie di modifiche contabili. «Siamo pienamente consapevoli della necessità di aumentare questa spesa nei prossimi anni», ha affermato Giorgetti, rivolgendosi ai legislatori durante un’audizione in Parlamento sul quadro di bilancio pluriennale dell’Italia. L’annuncio è arrivato in concomitanza all’incontro tra la premier Giorgia Meloni e il presidente statunitense Donald Trump a Washington, che ruotava intorno alla questione dei dazi e ai relativi possibili accordi per sospenderli o allentarli. La stessa presidente del Consiglio italiana ha confermato al presidente statunitense l’impegno per raggiungere il 2% del PIL entro quest’anno. Il capo della Casa Bianca sta spingendo i membri della NATO ad aumentare le loro spese per la difesa fino al 5% del Pil, una percentuale che lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito questa settimana «impensabile».

Per il 2024 il bilancio per il settore militare previsto da Roma era pari all’1,49% del PIL, una delle percentuali più basse tra i Paesi che aderiscono all’Alleanza atlantica. Raggiungere il 2% significa aumentare la spesa di circa 11 miliardi di euro. La Banca centrale italiana ha affermato giovedì in Parlamento che per raggiungere questo obiettivo saranno necessari prestiti aggiuntivi e un aumento delle tasse, oltre a probabili tagli di altre voci della spesa pubblica. Il tutto avviene in un contesto in cui, all’interno degli obiettivi economici, l’esecutivo si è impegnato a tenere sotto controllo il deficit di bilancio, tagliando allo stesso tempo le stime di crescita per quest’anno e il 2026, a causa dell’incertezza sui dazi commerciali statunitensi. Giorgetti ha inoltre spiegato che il governo intende adeguare i propri criteri contabili a quelli della NATO ed elencare, dunque, come spese per la difesa voci che in precedenza erano escluse, come ad esempio, i soldi spesi per determinate tecnologie civili e le pensioni pagate ai soldati in pensione.

Il ministro dell’Economia italiano ha poi spiegato che, al momento, il Paese non intende avvalersi del margine di manovra previsto dalla Commissione europea per le spese legate alla Difesa: Bruxelles, infatti, ha proposto di consentire agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa dell’1,5% del PIL ogni anno per quattro anni, senza far scattare le misure disciplinari previste per il superamento del deficit pubblico oltre il 3% del PIL. La Commissione ha chiesto agli Stati di comunicare entro aprile se intendono avvalersi del margine fiscale, ma Giorgetti ha mostrato cautela affermando di volere attendere il prossimo summit della NATO a giugno per prendere una decisione: «L’obiettivo non è quello di attivare la clausola di salvaguardia nazionale», ha detto il ministro, aggiungendo che «Ci vorrà del tempo per prendere decisioni coordinate, perché le idee sul tavolo a questo proposito sono piuttosto diverse».

Le nazioni europee sembrano sempre più vincolate al volere di Washington, acconsentendo a fare deficit e a sospendere i rigidi vincoli di austerità – caposaldo dell’impianto fiscale europeo – solo per assecondare gli ordini d’oltreoceano e sacrificando al contempo altre voci della spesa pubblica. Tra gli altri, recentemente il Belgio ha fatto sapere che si sta preparando a contrarre maggiori prestiti e ad attuare tagli per raggiungere l’obiettivo di spesa per la difesa della NATO. Il ministro del bilancio belga, Vincent Van Peteghem, ha dichiarato al Financial Times che maggiori investimenti nella difesa avranno un impatto negativo sui già fragili sistemi di stato sociale europei. In questo scenario, l’unica eccezione risulta la Spagna che non si è allineata agli ordini della potenza a stelle e strisce: il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, infatti, lo scorso febbraio ha dichiarato che nella prossima legge di bilancio, il Paese iberico intende destinare al settore militare l’1,32% del Pil, mantenendo invariata la data di raggiungimento dell’obiettivo del 2% al 2029. «La Spagna, in quanto alleato serio, affidabile e responsabile, sa perfettamente cosa deve fare e non ha bisogno di prendere lezioni da nessuno», aveva dichiarato la ministra della Difesa Margarita Robles. Un’indipendenza politica eccezionale nel contesto europeo che gli altri membri della NATO non hanno mostrato di avere e che ora risulta ulteriormente minata dalle trattative che potrebbero essere avviate per fa sì che Trump revochi o allenti i dazi che minacciano la tenuta delle economie europee.

Maltempo, due morti a Vicenza per piena torrente

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Sono stati ritrovate morte dai vigili del fuoco due persone, padre e figlio rispettivamente di 65 e 33 anni, che risultavano disperse dopo essere cadute con la loro automobile in una voragine e poi trascinate via dalla piena di un torrente a Valdagno (Vicenza). I due si erano messi in macchina per aiutare i concittadini a prestare soccorso a causa dell’ondata di maltempo che ha investito la regione. Il maltempo resiste anche in altre aree: dalla mezzanotte di oggi a quella di domani è stata disposta nelle province di Parma e Piacenza un’allerta rossa per le piene dei fiumi.

La lotta dei corrieri Amazon: sciopero in tutta Italia per sicurezza e meno ore di lavoro

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Nella giornata di oggi i corrieri Amazon incroceranno le braccia per 24 ore, bloccando le consegne in tutta Italia. Lo sciopero, proclamato da Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, riguarda i lavoratori dell’“ultimo miglio” e nasce dall’interruzione della trattativa sul contratto nazionale di secondo livello. I sindacati chiedono aumenti salariali legati alle trasferte, una riduzione strutturale dell’orario e più tutele sulla sicurezza, inclusa la sospensione delle consegne in caso di allerta meteo rossa. Assoespressi, secondo le sigle, resta ferma su posizioni inaccettabili. Amazon ha replicato auspicando la ripresa del dialogo e ribadendo l’attenzione per sicurezza e condizioni realistiche di lavoro per i propri fornitori. Eppure, la realtà racconta tutt’altro spaccato.

All’interno di un comunicato, i sindacati hanno motivato la protesta. «Con grande senso di responsabilità abbiamo partecipato all’incontro, convocato su richiesta di Assoespressi, per verificare la possibilità di trovare un’intesa che realizzasse le legittime richieste del personale rappresentato ma, purtroppo, la stessa associazione datoriale ha ribadito alcune sue posizioni, relativamente ad elementi fondamentali per una possibile intesa», hanno scritto Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti. Le sigle sindacali chiedono «con forza» un «incremento sostanziale del valore della trasferta, con un importante risultato relativamente al salario, con incrementi anno per anno», accompagnato da una «strutturale riduzione dell’orario di lavoro, con conseguente abbattimento dei carichi e delle consegne, che può avvenire non saturando la flessibilità» e «un passo avanti sulla qualità dell’occupazione», attraverso «percorsi condivisi di stabilizzazione dei contratti di lavoro precari». Centrale anche la questione sicurezza, con i sindacati che chiedono «la previsione di interruzione o chiusura dei servizi in caso di allerta meteo rossa, a tutela dell’incolumità dei driver». Nella cornice dello sciopero, Filt Cgil Roma Lazio, Fit Cisl Lazio e UilTrasporti Lazio hanno promosso presìdi unitari davanti agli stabilimenti Amazon di Settecamini, Pomezia e Magliana. Lo stesso è avvenuto a Vicenza, dove i lavoratori si sono riuniti davanti al polo Amazon DVN3, e ad Arzano (Napoli), con un presidio presso lo stabilimento dell’azienda.

Come da abitudine, Amazon ha negato ogni accusa, reagendo con una nota in cui si legge che l’azienda collabora «con decine di fornitori di servizi di consegna, che forniscono opportunità lavorative a migliaia di persone che si occupano di consegnare gli ordini ai nostri clienti in Italia» e lavora «a stretto contatto con i fornitori per definire obiettivi realistici, che non mettano pressione su di loro o sui loro dipendenti». Amazon aggiunge che «l’attenzione in materia di sicurezza rappresenta una costante», poiché «nell’eventualità di un’allerta meteo» l’azienda monitora «attentamente la situazione», seguendo «le indicazioni delle autorità locali e provinciali per garantire alle persone di operare in sicurezza nell’effettuazione del servizio di consegna per i nostri clienti». In merito allo sciopero, Amazon dichiara di confidare che «le trattative per l’accordo di secondo livello tra le aziende fornitrici di servizi di consegna, l’associazione datoriale che le rappresenta e le organizzazioni sindacali possano riprendere e giungere ad un esito positivo».

Una motivazione, quella di Amazon, che evidentemente non convince i sindacati. E che, d’altra parte, è messa in discussione dai fatti di cronaca che si sono succeduti negli ultimi tempi. Se è vero che la multinazionale, per le condizioni di lavoro offerte, è al centro di grandi proteste in tutto il mondo, anche la divisione italiana non è stata risparmiata da contestazioni, così come da inchieste giudiziarie. Lo scorso luglio, la Guardia di Finanza di Milano ha sequestrato 121 milioni di euro alla filiale italiana di Amazon, accusata dalla Procura di frode fiscale. L’indagine, coordinata dai pm Paolo Storari e Valentina Mondovì, si concentra su quelli che vengono definiti «serbatoi di manodopera», che costituiscono un sistema attraverso cui grandi aziende si garantiscono «tariffe altamente competitive» sul mercato appaltando irregolarmente per la logistica la manodopera a cooperative, consorzi e società «filtro», con annesso «sfruttamento del lavoro» e omesso versamento di Iva e contributi.

Gaza, raid israeliani nella notte causano almeno 15 morti

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La Protezione civile di Gaza ha reso noto che due attacchi effettuati dall’esercito israeliano durante la notte hanno provocato almeno 15 morti. Nel primo raid avvenuto vicino a Khan Younis, nel sud dell’enclave, sono morte 10 persone. In un altro attacco, verificatosi a Tal Al-Zaatar, nella Striscia di Gaza settentrionale, sono rimaste uccise altre cinque persone. L’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti aerei e ampliato le operazioni terrestri nel territorio palestinese assediato dal 18 marzo, giorno in cui ha ripreso l’offensiva, mettendo fine a una tregua di due mesi. Solo ieri, gli attacchi dell’IDF hanno ucciso 40 persone nella Striscia di Gaza.

Meloni porta in omaggio a Trump spese militari e investimenti, in cambio di nulla

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Tutto il governo aveva giurato che a Washington non sarebbe andata con il cappello in mano, tuttavia all’indomani dell’attesto incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump, è del tutto chiaro cosa la presidente del Consiglio ha promesso al presidente statunitense, mentre non vi è alcuna idea di cosa in cambio l’Italia possa ottenerne. I fatti sono i seguenti: il governo italiano ha assicurato che aumenterà da subito le spese militari al 2% del PIL, che porterà investimenti per altri 10 miliardi di euro da parte di aziende italiane negli Stati Uniti e che il nostro Paese aumenterà ulteriormente le importazioni di gas liquido americano. Cosa in cambio? Ufficialmente nulla più di tanti complimenti personali da Trump a Meloni e la promessa del presidente americano di venire in visita in Italia.

Oggi in Italia ci sarà il vice del presidente americano, J.D. Vance, e i discorsi saranno approfonditi. Ma che possa venirne fuori qualcosa di concreto è tutto da vedere, tanto più che è stato ribadito a più riprese anche da Washinton che i dazi rimarranno gli stessi per tutti i Paesi europei, senza trattative bilaterali con i singoli Paesi. Quindi non è chiaro nemmeno cosa il governo italiano possa e voglia ottenere da Trump, se non credito politico da usare sul fronte elettorale interno e a Bruxelles.

Chiari sono invece i costi dei regali portati da Meloni a Trump: i cittadini italiani dovranno sborsare circa 10 miliardi di euro l’anno per portare le spese militari dal 1,57% attuale al 2% del prodotto interno lordo nazionale; dovranno sopportare i costi sociali degli investimenti delle aziende italiane negli Stati Uniti, che verosimilmente significheranno la delocalizzazione di parte della produzione oltreoceano; dovranno continuare a pagare di più l’energia e a sopportare l’aumento dei rigassificatori al largo delle coste, visto che per ragioni di convenienza politica l’Italia continuerà a importare gas liquido dagli Stati Uniti che deve essere trasportato via nave per migliaia di chilometri e poi riportato allo stato gassoso per essere utilizzato, piuttosto che acquistarlo dalla Russia o dai paesi nordafricani spendendo molto meno.

I grandi complimenti di Trump a Meloni, definita una «grande persona» e un «premier che sta facendo un lavoro fantastico» sono bastati alla stampa governativa nostrana per tessere le lodi sperticate del viaggio: “Missione Compiuta”, ha titolato entusiasta Libero; “Il tappeto rosso di Trump” con distacco dalla realtà l’ex quotidiano del dissenso La Verità; “United States of Giorgia”, con sprezzo del ridicolo, Il Tempo. La triste parabola dei “sovranisti” italiani: da fautori dell’autonomia nazionale, all’entusiasmo sfrenato per aver ottenuto il ruolo di alleati più fedeli del padrone coloniale a spese dei cittadini italiani.

Fatture false, appalti, sabotaggi immaginari: tutti gli scandali di Cortina 2026

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L’organizzazione delle Olimpiadi di Milano‑Cortina 2026, promessa come «green» e «a costo zero», è ormai un coacervo di scandali e mala gestione. A Milano i magistrati hanno chiesto di archiviare l’inchiesta sulla Fondazione organizzatrice, in cui si ipotizzano reati di corruzione e turbativa d’asta, ma hanno sollevato la questione di costituzionalità sul decreto del governo che, trasformandola in ente privato, avrebbe ostacolato intercettazioni e sequestri preventivi di un presunto profitto di reato di circa 4 milioni. A Cortina, invece, nonostante le illazioni del ministro Salvini sul presunto «sabotaggio» della pista da bob, la magistratura ha archiviato l’inchiesta, inquadrandolo come un semplice incidente. A marzo, i cittadini di San Vito di Cadore avevano vinto la causa per il loro diritto di protesta contro una variante stradale, mentre il Veneto ha approvato la cabinovia Socrepes, su cui pendono ombre di criticità geologiche. In un contesto già segnato da deficit patrimoniali accumulati dalla Fondazione (oltre 107 milioni), in un assordante silenzio mediatico la stima dei costi è lievitata di ulteriori 180‑270 milioni.

Le inchieste

Mercoledì 16 aprile, la Procura di Milano ha formalmente chiesto l’archiviazione dell’inchiesta per corruzione e turbativa d’asta a carico di sette indagati – tra cui l’ex AD Vincenzo Novari e l’ex dirigente Massimiliano Zuco – incaricati dei servizi digitali per i Giochi. Contestualmente, però, i pm hanno richiesto al gip l’invio degli atti alla Corte Costituzionale per verificare la legittimità del decreto del governo Meloni che ha qualificato la Fondazione come ente di diritto privato. Secondo quanto si è letto nelle carte dell’indagine, al fine di «favorire l’affidamento delle gare relative al cosiddetto ecosistema digitale» alla Vetrya (ora Quibyt), società di Orvieto cui sono stati assegnati i servizi digitali, Novari e Zuco avrebbero ottenuto dal rappresentante legale della società che si aggiudicò gli appalti, Luca Tomassini, «somme di denaro e altre utilità». Tali gare sarebbero state assegnate alla società con fatture emesse per i lavori «da parte di Vetrya e Quibyt», amministrate entrambe da Tomassini, e pagate «per importi complessivamente non inferiori» a quasi 1,9 milioni di euro dalla Fondazione. Se si accetta di considerare la fondazione come un ente privato, per i pm non sussistono più i margini per i reati ipotizzati. Ma i magistrati non hanno dubbi: la Fondazione ha tutti i requisiti per essere ritenuta un ente pubblico, come peraltro sostenuto anche dall’ANAC.

Negli ultimi mesi ha tenuto banco un procedimento giudiziario parallelo, da quando il 21 febbraio scorso un grosso tubo del sistema di refrigerazione è stato rinvenuto sulla strada di servizio della pista da bob. Contro la sua costruzione – in particolare per le sue pesanti ricadute a livello ambientale e paesaggistico – la cittadinanza si è mobilitata sin dal 2023. Simico (Società Infrastrutture Milano Cortina) denunciò un presunto «sabotaggio», con il ministro dei Trasporti e leader leghista Matteo Salvini che lo individuò come frutto dell’«odio» e del «livore» dei «signori del No», invocando misure urgenti. L’inchiesta della Procura di Belluno ha però stabilito che si è trattato di un evento accidentale senza intenti dolosi, chiedendo l’archiviazione del fascicolo. Nel frattempo, il Tribunale di Belluno ha respinto la richiesta avanzata dal Comune di San Vito di Cadore di 144.526,44 euro di risarcimento nei confronti di 25 cittadini, accusati di “abuso del diritto” per aver presentato numerosi ricorsi contro la variante stradale prevista per i Giochi. La giudice Chiara Sandini ha definito «inammissibile» la domanda, ricordando che l’articolo 24 della Costituzione tutela l’accesso alla giustizia e che non spetta al giudice sindacare la quantità di ricorsi presentati.

La cabinovia

A queste vicende si aggiunge quella del complicato iter del progetto per la nuova cabinovia Cortina‑Socrepes, infrastruttura chiave per collegare le piste, che nell’agosto 2024 era stato sospeso dal Comitato tecnico regionale VIA a causa del rischio geologico elevato nell’area di Mortisa. La Conferenza di Servizi del 24 marzo ha espresso parere favorevole alla realizzazione della cabinovia; tuttavia, mentre l’impianto di risalita ha ottenuto il via libera, il parcheggio e il people mover connessi restano privi di una Conferenza di Servizi. Secondo l’ingegnere e geologo Andrea Gillarduzzi – che da 26 anni lavora in Inghilterra ed è attivo nella supervisione di grandi lavori in tutto il mondo – senza un monitoraggio continuo del terreno e dell’impianto sarà impossibile aprirla al pubblico, anche solo per gli addetti ai lavori. Il professionista ha fatto pervenire un dossier ai consiglieri comunali di Cortina, alla Provincia di Belluno e al funzionario per la sicurezza dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, parlando di una sottovalutazione dei rischi legati alla costruzione della nuova cabinovia. Un gruppo di circa 40 residenti ha inoltre annunciato ricorso al TAR, minacciando sospensive che potrebbero far slittare l’avvio del cantiere.

Ritardi e sprechi

A luglio 2024 la Corte dei Conti del Veneto ha segnalato un deficit patrimoniale cumulato di 107,8 milioni di euro nei bilanci della Fondazione, «in costante peggioramento» e senza certezze sul business plan per il 2024‑2026. L’allarme riguarda non solo la Fondazione, ma anche Simico e gli enti territoriali chiamati a ripianare le perdite in assenza di un monitoraggio terzo sui tempi di realizzazione delle opere. Peraltro, a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime, dell’energia e dell’inflazione, i costi delle infrastrutture per Milano‑Cortina sono stati rivisti al rialzo di circa 180 milioni rispetto ai 2,5 miliardi iniziali, con alcuni report che indicano che la cifra potrebbe attestarsi tra 250 e 270 milioni di euro in più. Inoltre, lo scorso febbraio, Open Olympics 2026 – gruppo di associazioni che da mesi porta avanti una campagna di monitoraggio civico sulle Olimpiadi – ha evidenziato che, a meno di un anno dall’apertura, soltanto il 10% delle opere sarebbe stato effettivamente terminato. Nello specifico, alla data della comunicazione, il 50% i lavori non sarebbero nemmeno iniziati e per il 60% non sarebbe stata effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale.

Yemen, gli USA bombardano gli Houthi: almeno 26 morti

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Nella notte, l’esercito degli Stati Uniti ha effettuato un pesante bombardamento sul porto petrolifero di Ras Issa, nel governatorato di Hodeidah in Yemen. Il ministero della Salute degli Houthi sta progressivamente aggiornando il bilancio dell’attacco aereo statunitense, rendendo noto che almeno 38 persone sono state uccise e circa 102 sono rimaste ferite. Anees Alasbahi, portavoce del dicastero, ha aggiunto che cinque soccorritori e paramedici sono morti «mentre svolgevano il loro dovere». Lo riporta l’emittente Al Jazeera. Il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha dichiarato che le forze USA «hanno agito per eliminare questa fonte di carburante per i terroristi Houthi sostenuti dall’Iran».

 

 

È stata realizzata la mappa più dettagliata del cervello di un mammifero mai esistita

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mappa cerebrale più grande mai realizzata

Un millimetro cubo, più piccolo di un granello di sabbia. Tanto basta per spalancare nuove porte sulla comprensione del cervello e forse anche su quel mistero che chiamiamo coscienza. È quanto ottenuto da un team internazionale di scienziati, che ha realizzato la mappa tridimensionale più grande e dettagliata mai costruita del cervello di un mammifero partendo dall’analisi di una minuscola porzione di cervello di topo. Un’impresa scientifica frutto di sette anni di lavoro, tre istituti di ricerca e 150 scienziati, partita dallo studio di un piccolissimo frammento di corteccia visiva dell’anima...

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Funivia del Monte Faito, crolla cabina: quattro vittime

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Una cabina della funivia del Monte Faito, che lo collega a Castellammare di Stabia, è precipitata mentre si trovava a monte, causando 4 morti e un ferito grave. La cabina è precipitata dopo essere rimasta sospesa diverso tempo per la rottura di un cavo. Altre 16 persone, rimaste bloccate a bordo della cabina a valle dopo l’entrata in funzione del sistema di sicurezza, sono invece state tutte tratte in salvo. Le operazioni dei soccorritori, attivati già dal pomeriggio, sono state complicate dalla poca visibilità a causa della forte nebbia e dall’impossibilità di raggiungere la cabina via radio.