Ai civici 20 e 21 di via Ponte Romano, a Faenza, condomini di edilizia pubblica residenziale di proprietà del Comune e gestiti da ACER (Azienda Casa Emilia-Romagna), il fango ricopre ancora ogni cosa: se ne vedono le tracce nei muri incrostati, nei vialetti, nelle cassette delle lettere, nelle aree verdi ormai inesistenti, ricoperte da melma indurita dal sole. Sono trascorsi sei mesi dall’alluvione che il 16 maggio scorso ha causato l’esondazione del fiume Lamone. Le tracce della sua furia distruttiva sono ancora ben visibili in ogni dove. Negli alloggi al piano terra il fango, mischiato ai liquami delle fogne esplose e a numerose altre sostanze tossiche (quali il benzene) incrosta i muri e quel poco che resta dell’arredamento. Il locale dei contatori è un groviglio di fili elettrici e melma secca. La polvere esalata, raccontano gli inquilini, si infila ovunque: entra fin nei polmoni e fa bruciare la gola, al punto che qualcuno si è ammalato e ha dovuto iniziare ad assumere farmaci, su prescrizione medica. È difficile persino compiere operazioni come stendere i panni fuori dal balcone, perché al momento di ritirarli sono grigi. A ciò va aggiunto il fatto che l’ascensore non è ancora funzionante: gli anziani possono lasciare casa con estrema difficoltà, gli invalidi rimangono rinchiusi nei loro appartamenti.
«Io sono qui perché ho una disabilità, non perché sono simpatica. Tutti i condomini che si trovano qui hanno una difficoltà di qualche tipo. Ci sono persone anziane, ci sono soggetti con disabilità fisiche gravi. C’è un motivo per il quale ci troviamo qui, ci sono graduatorie di anni per avere un alloggio assegnato in questi condomini». Samanta ha gli occhi trasparenti e l’aria stanca di chi intraprende battaglie più grandi di sé. Nel salotto del suo appartamento in via Ponte Romano 21, condominio ACER, si è riunito un piccolo gruppo di inquilini. Sono tutte persone che, dopo l’alluvione del 16 maggio scorso, hanno deciso di rientrare nei propri appartamenti non appena il Comune, il 27 maggio, ha deliberato che non vi fossero rischi, “anche prima dell’effettuazione di verifiche sulla base delle segnalazioni pervenute”. Al telefono, sia l’assessore alle Politiche sociali, Davide Agresti, sia la presidente di ACER Ravenna, Lina Taddei, mi assicurano che nelle palazzine ai civici 20 e 21 sono stati effettuati tutti i controlli per verificare che non vi fossero danni strutturali all’edificio. Tuttavia, a distanza di sei mesi dall’esondazione del fiume, le palazzine soffrono ancora disservizi importanti, che rendono alquanto complicato vivervi all’interno.
«La polvere è ovunque, pulisco casa in continuazione ma non c’è modo di farla sparire. Io ho iniziato a prendere anche degli antistaminici, su prescrizione medica, perché mi brucia la gola a respirare questa roba qua. Il medico mi ha detto che è per via del benzene che c’è dentro, che è pericoloso per la salute stare qui» mi racconta Samanta. Giovanni, 81 anni, riporta un’esperienza simile. «Al mattino mi sveglio sempre con una forte tosse, come quando fumavo. Ho smesso a 50 anni, ora ne ho 81, non mi era mai capitata in questi anni una cosa del genere». Sono sufficienti le poche ore trascorse negli spazi comuni del condominio per provare sulla mia pelle quanto descritto dagli inquilini.
Coloro che hanno scelto di rimanere nelle proprie case, al civico 21, lo hanno fatto firmando una sorta di scarico di responsabilità. «Dal momento che qui non ci sono le conformità e non ci sono i servizi, come l’acqua calda, alla prima riunione con ACER, a fine giugno, ci hanno fatto firmare un foglio dove dichiaravamo che, in caso avessimo deciso di fermarci, lo avremmo fatto sotto la nostra responsabilità» spiega Samanta. Quando mi reco sul posto, il 26 ottobre, gli inquilini non hanno ancora l’acqua calda. Ines, 83 anni, racconta di lavarsi scaldando l’acqua sul fornello. Chi può, approfitta di tanto in tanto dell’ospitalità di un amico. Tra i presenti serpeggia il dubbio che firmare per rientrare in casa sia stata una scelta sbagliata. «Abbiamo firmato che volevamo rimanere sotto la nostra responsabilità perché ci hanno fatto delle promesse e noi ci siamo arrangiati perché ci siamo fidati – mi racconta un’altra inquilina – Io non dico che ho sbagliato a firmare, mi hanno fatto delle promesse e quindi ho firmato per restare. Siamo a fine ottobre e qui l’acqua calda non c’è, il riscaldamento non c’è…».
La presidente di ACER Ravenna e l’assessore alle Politiche sociali di Faenza riferiscono di aver offerto soluzioni abitative temporanee alternative a tutti gli inquilini, ma quasi nessuno ha voluto usufruirne. «Inizialmente hanno proposto due sistemazioni, una all’hotel Cavallino, sulla statale verso Forlì, e un’altra in un bnb, sempre su una strada statale – mi spiega Mia – Entrambe si trovano in zone distanti da qui e per di più si tratta di strutture dove non c’è la possibilità di prepararsi i pasti. Per quello bisognerebbe andare da un’altra parte. Tieni bene a mente che molte delle persone che vivono qui o sono molto anziane, o hanno delle disabilità anche importanti e tanti non hanno la macchina. Come avrebbero potuto muoversi da lì?». Successivamente, sono stati proposti alcuni alloggi, ma spesso di tipologie inadatte per le esigenze degli inquilini. «A una persona che abita qui e si muove in sedia a rotelle hanno proposto un appartamento con le scale senza ascensore. A me, che, come i miei figli, soffro di uno stato di forte ansia diagnosticato dal medico curante proprio come conseguenza dell’alluvione, hanno offerto un appartamento in uno stabile dove spesso le forze dell’ordine devono intervenire per problemi con gli inquilini di altri alloggi. Non è una soluzione nella quale riusciamo a vivere tranquilli e questo lo ha detto anche il mio medico» mi spiega Mia, mostrandomi i referti medici e le lettere di sollecito che il suo avvocato ha inviato agli uffici di ACER Ravenna affinché trovassero una nuova sistemazione.
L’interrogativo principale al quale gli inquilini non trovano risposta è perché per sei mesi non si sia riusciti a riparare quantomeno la caldaia, in modo che con l’arrivo della stagione fredda si potesse almeno usufruire dell’acqua calda. La riparazione avviene infatti pochi giorni dopo che mi sono recata sul luogo, il 3 novembre. Il titolare della ditta incaricata di trovare i pezzi di ricambio, la Carmellini s.r.l., mi spiega al telefono che il preventivo per l’acquisto del materiale (che L’Indipendente ha potuto visionare) è stato accettato solamente il 4 di settembre. «Siamo stati contattati dalla Kineo [Kineo Energy&Facility, la ditta esecutrice delle riparazioni agli impianti dei condomini ACER, ndr] nella seconda metà di giugno. Ci hanno chiesto un preventivo e noi glielo abbiamo inviato, dopo aver fatto i sopralluoghi. Ad agosto ci hanno ricontattati, chiedendoci di riformulare la richiesta con alcune integrazioni. Li abbiamo avvisati che i tempi di consegna sarebbero stati abbastanza lunghi, perché si trattava di ricambi particolari che nemmeno il costruttore aveva messo in conto di dover sostituire. Il preventivo definitivo è stato accettato il 4 settembre». Il dubbio, di Mia e di tutti gli inquilini presenti al nostro incontro, è perché si sia aspettato tanto per effettuare l’ordine. Nè l’assessore Agresti né ACER hanno voluto commentare la cosa. La presidente Taddei si è limitata a dichiarare che «si fa tutto il possibile con le risorse che si hanno a disposizione».
«Lo vedi quel palazzo lì? – mi dice Mia, indicando un condominio bianco situato un po’ più in là, su via Ponte Romano – Quello è il civico 28, sono sempre case ACER. Si tratta di un condominio all’avanguardia, l’hanno ristrutturato completamente da poco. Anche gli impianti sono innovativi, non come qui [al 20 e al 21, ndr], gli impianti qui sono vecchi. Ecco, al 28 è stato tutto ripulito a puntino, hanno anche dato il bianco, la caldaia è stata riparata ed è perfettamente funzionante già da un pezzo». Quando le rivolgo alcune domande in merito, la presidente di ACER Ravenna Taddei nega che le strutture siano state sottoposte a trattamento diverso, ma afferma che «L’area del 28 è un’area cortilizia dove ci sono più edifici, al 20 e al 21 c’è una situazione più attigua all’argine».
«Proprio perché conosco i tempi di riparazione e perché ad oggi non ci sono finanziamenti governativi su tutta la provincia che noi gestiamo, a giugno è stato detto chiaramente agli inquilini che non si garantiva di effettuare le riparazioni in tempo per la stagione fredda. Da giugno in poi sono stati fatti alcuni incontri per capire come fare, perché la riparazione di una centrale termica ha dei costi importanti e solo per riparare queste due [quella dei civici 20, 21 e 28, ndr] il costo è di 150 mila euro» dichiara Taddei, aggiungendo che «Abbiamo fatto tutto il possibile, anche se forse qualcosa poteva essere fatto meglio». Le riunioni, confermano gli inquilini, sono state fatte, ma non sono mai stati redatti verbali a testimonianza di quanto comunicato. In più, aggiunge Mia, «si trattava di riunioni dove a partecipare vi erano solamente proprietari di immobili con problematiche evidentemente molto diverse dalle nostre. Per questo motivo le nostre rivendicazioni non hanno mai trovato molto spazio. Noi da mesi chiediamo un tavolo di confronto con ACER e l’assessore per affrontare quelle che sono le problematiche di via Ponte Romano, ma fino ad ora senza successo. Invisbili: ecco come ci sentiamo».
Che la burocrazia (insieme alla malagestione) siano fattori che complicano notevolmente la ripresa di un territorio devastato da un disastro naturale è pressoché una costante nell’esperienza italiana. A ricordarcelo, qualche giorno fa, è stata la protesta dei cittadini di Ancona: a un anno di distanza dal terremoto del 9 novembre 2022, sono ancora 750 le persone senza una casa. «Dopo un anno ci troviamo nella stessa situazione in cui eravamo la mattina dopo il terremoto – ha dichiarato una di essi – Non abbiamo ancora ricevuto un contributo per l’autonoma sistemazione [CAS, ndr] sebbene abbiamo fatto domanda e non è stato stanziato nessun fondo per la ricostruzione». Molti vivono in casa di parenti e amici o in albergo.
Gli inquilini di via Ponte Romano questo lo sanno bene. Probabilmente anche per questo hanno scelto di non andarsene. Nonostante l’aria negli alloggi sia ancora irrespirabile, le fogne siano ancora aperte, l’ascensore sia fuori uso, con i conseguenti disagi per anziani e disabili. «Lei dovrebbe sapere come funziona l’amministrazione pubblica», mi dice Lina Taddei al telefono, «ci vuole tempo». Ma i tempi della burocrazia contribuiscono a normalizzare lo stato di emergenza e a farne le spese sono coloro che l’emergenza continuano a viverla ogni giorno sulla propria pelle, la cui voce viene soffocata dai proclami delle istituzioni. Quando il clamore mediatico scema, il pubblico si volta dall’altra parte. E sul territorio resta chi lotta quotidianamente per diritti che dovrebbero essere garantiti.
[di Valeria Casolaro]
Grazie a voi de L’indipendente che siete stati, dopo sei mesi, in Romagna a testimoniare la situazione attuale. Nessun tg dei vari canalu, non solo Rai, ne parla più. E quella povera gente continua a vivere nel disagio. Purtroppo questa è l’Italia! Promesse a parole, non ai fatti… mai.