Beit Lid, zona nord della Cisgiordania occupata – «L’annessione totale della Palestina sarà presto realtà se la comunità internazionale non fa nulla e gli occidentali continueranno a finanziare Israele», mi dice R. mentre guardiamo il nuovo avamposto militare che i soldati israeliani hanno costruito a Beit Lid. Una richiesta, un grido silenzioso che risuona sempre più chiaro da nord a sud della Cisgiordania, dove Israele sta portando avanti una vera e propria guerra di annessione coloniale, fatta di confische di terre, distruzione di case, attacchi ai civili e alimentata dal fiume di denaro speso per finanziare e far funzionare le colonie illegali. «Dal 7 ottobre, mentre tutti gli occhi sono puntati su Gaza, dove stanno distruggendo tutto, gli israeliani si sono impossessati del più alto numero di terre di sempre qui in Cisgiordania. In un anno hanno dichiarato come “terre israeliane” più terre che negli ultimi 30 anni». Non mente R., sono dati rilevati dall’organizzazione palestinese Wall and Settlement Resistance Commission: solo nell’ultimo anno Israele si è annesso illegalmente 5.200 ettari di territorio che le leggi internazionali assegnano a quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina.
«Oltre alle terre che si prendono, bisogna contare tutte le strade che bloccano e i terreni a cui non si ha più accesso perché vicini alle nuove colonie israeliane», continua R., la sua famiglia allargata ci accoglie tra gli ulivi del paesino di 5.600 abitanti situato tra Tulkarem e Nablus, nel nord della Cisgiordania. Ci servono prima il tè, poi il caffè, nella tradizione di profonda accoglienza tipica dei palestinesi. Sono sei i contadini che ci attendono per incontrarci. «Eccolo, vedi? Quello è il nuovo outpost di Abu Jamrah, che allargherà la colonia di Einav. Ci hanno rubato 3 ettari di terra per costruirlo». Davanti a noi, sulla collina, caravan e prefabbricati, un’antenna per le comunicazioni, macchine e mezzi. «Dal 7 di ottobre, Israele ha iniziato a espandere le sue colonie nei territori palestinesi. Questo è solo un esempio. Negli ultimi mesi solo qui nella provincia di Tulkarem hanno costruito altre quattro colonie: Qaffin, Shweikeh, Avni Hevets (Shouffeh) e Jbara. Si stanno prendendo sempre più terre, nel silenzio di tutti», dice R. A centinaia di metri in linea d’aria dall’avamposto, nel mezzo della vegetazione, sventola una grossa bandiera israeliana. «Vogliono arrivare fino a là. Come sempre, non ne hanno nessun diritto. Quella terra era della famiglia di mio nonno.» Nella zona intorno a Tulkarem, gli israeliani non rilasciano nemmeno gli accordi per accedere anche per pochi giorni alle terre: è una punizione collettiva per tutta la popolazione del paese, considerato un bastione della resistenza palestinese, dicono. «Quest’anno ci hanno impedito la raccolta di circa 2000 ulivi», dice ancora R., a nome di tutti. Una grossa botta per le già difficili economie familiari in questo periodo di guerra. «I coloni hanno anche provato a rubarci gli asini, ma non ce l’hanno fatta».
La storia della famiglia di R. è la storia di un numero sempre maggiore di palestinesi che, dal 7 ottobre, stanno subendo ancora più vessazioni, violenze e furti di terre rispetto a quanto è sempre avvenuto dall’inizio dell’occupazione nel 1967. Secondo il Wall and Settlement Resistance Commission, Israele ha confiscato 5.200 ettari in un anno. Una conta a cui vanno aggiunte le nuove annessioni dichiarate nelle ultime settimane. In un solo giorno, infatti, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha annunciato la confisca di 2.400 ettari, dichiarandoli “terre statali”. Si tratta della più grossa confisca mai avvenuta, che copre più della metà degli ettari che Israele ha sottratto dagli Accordi di Oslo nel 1993. A questa si sommano i 2.500 ettari confiscati con il pretesto di modificare i confini delle “riserve naturali” e i 123,3 ettari confiscati per “scopi militari”. La “pratica” di auto-dichiarare le terre palestinesi come terre “statali” israeliane era stata interrotta nel 1992, fino a quando il primo governo di Netanyahu l’ha riesumata nel 1998. Da allora, fino al 7 ottobre 2023, le confische erano state periodiche fino a raggiungere la cifra di 4.000 ettari.
Negli ultimi 14 mesi, invece, sembra che il governo stia accelerando nell’accaparrarsi il maggior numero possibile di terre. L’obiettivo è chiaro, e i vari ministri di Tel Aviv l’hanno dichiarato apertamente: creare corridoi tra le varie colonie, costruirne di nuove, annettere la Cisgiordania e rendere di fatto impossibile la nascita di uno Stato palestinese. Un obiettivo che Israele persegue apertamente da sempre, ma che sta vivendo un’accelerazione senza precedenti. «Il 2025 sarà l’anno della sovranità su Giudea e Samaria», ha scritto su X il ministro delle Finanaze israeliano Bezalel Smotrich, utilizzando il nome che Israele dà a questa parte di Palestina. I ministri di Tel Aviv vogliono sfruttare la presidenza Trump e l’inazione internazionale per portare a casa l’obiettivo.
Secondo l’organizzazione pacifista israeliana Peace Now, sono almeno 43 i nuovi avamposti costruiti dal 7 ottobre in tutta la regione e cinque le nuove colonie. 70 gli avamposti – illegali secondo la stessa legge israeliana – legalizzati, più altri 3 che sono stati designati come “quartieri” di colonie vicine. Nuovi insediamenti legalizzati si trovano anche all’interno della città di Hebron. La colonizzazione del territorio avviene anche grazie alle decine di chilometri di strade per connettere i nuovi insediamenti, che sono stati approvati con un finanziamento di oltre 7 miliardi di shekel (circa 1,84 miliardi di euro). Circa 450 milioni di shekel sono inoltre stati promessi per “progetti” nelle colonie e negli avamposti, per favorire l’arrivo di nuovi coloni. Il tutto mentre ai palestinesi viene di fatto impedita la costruzione di nuove case: grazie anche alla definizione di molte terre come “zone militari” o “riserve naturali”, il governo di Tel Aviv ha autorizzato la costruzione di 8.861 nuove unità abitative nelle colonie.
Contemporaneamente, tramite la violenza dei coloni e dei militari, sono almeno 277 le famiglie palestinesi (circa 1.630 individui) e tra 19 e 28 le intere comunità beduine che sono state costrette a lasciare la propria terra. Minacce, incendi, furti di bestiame, sabotaggi ai mezzi di sussistenza e violenze di vario tipo sono infatti diventati la normalità in molte aree della Cisgiordania, soprattutto da quando Israele ha dato via libera ai coloni e ha regalato loro migliaia di armi, promettendo di fatto impunità per le loro azioni. Si contano 16.663 attacchi contro terre e proprietà palestinesi dal 7 ottobre. Sono almeno 900 le case che sono state demolite, senza contare le centinaia e centinaia di case distrutte o danneggiate durante i raid militari nei campi di Jenin, Tulkarem, Tubas e Nablus.
La Cisgiordania sta subendo un attacco diretto senza precedenti. Il 15 dicembre anche il Ministero degli Affari Esteri e degli Espatriati palestinese ha espresso profonda preoccupazione per la recente escalation di azioni unilaterali e illegali da parte di Israele nella Cisgiordania occupata, volte a «intensificare ed espandere la pulizia etnica e la graduale annessione». Ha invitato la comunità internazionale ad attuare le sue risoluzioni, in particolare la risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha adottato il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia. «Risolvere la questione palestinese e porre fine all’occupazione è l’unico modo per raggiungere la sicurezza, la stabilità e la prosperità per la regione e per il mondo», ha ribadito. Nella speranza, forse vana, che qualcuno agisca.
[di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]