Il presidente ruandese Paul Kagame e la sua controparte congolese Felix Tshisekedi si sono incontrati a Doha, in occasione di un summit trilaterale con l’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. L’incontro, inaspettato, è il primo dal lancio, nei primi giorni di quest’anno, dell’offensiva della milizia ribelle M23 nelle regioni orientali del Congo, dove questa è riuscita a conquistare i due capoluoghi regionali di Goma e Bukavu. Nella dichiarazione congiunta rilasciata insieme alla presidenza qatariota, viene chiesto un cessate il fuoco «immediato e incondizionato» e si sottolinea la necessità di «proseguire le discussioni avviate a Doha al fine di stabilire solide basi per una pace duratura come previsto nel processo di Luanda/Nairobi».
Un incontro, quello di Doha, che arriva in un momento in cui sembrava che la diplomazia avesse fallito ancora. Mercoledì della scorsa settimana, infatti, il presidente angolano Joao Laurenco, oggi Presidente di turno dell’Unione Africana e intermediario per le parti in lotta nelle ricche regioni orientali della RDC, aveva annunciato che questa settimana si sarebbe tenuto un incontro a Luanda tra la presidenza della RDC e i rappresentanti dell’M23 e dell’AFC (Alleanza del fiume Congo). Lunedì, 24 ore prima dell’incontro, la delegazione delle forze ribelli ha annunciato che non avrebbe partecipato ai colloqui. L’AFC, di cui fa parte l’M23, ha dichiarato di ritirarsi, da quelli che sarebbero potuti essere i primi negoziati diretti tra Kinshasa e i ribelli, a causa delle sanzioni imposte dall’Unione Europea nei confronti dell’M23 e di funzionari ruandesi. In una nota pubblicata su X l’AFC afferma che le sanzioni imposte dall’UE e singoli paesi occidentali mirano a «ostacolare i colloqui tanto attesi».

Fino alla scorsa settimana era la presidenza della RDC ad aver rifiutato più volte l’incontro diretto con le milizie ribelli, sostenendo che l’M23 è solamente il braccio armato di Kigali. Accusa quest’ultima sempre negata dal Ruanda di Paul Kagame, nonostante le diverse prove fornite da indagini delle Nazioni Unite e indipendenti riguardo l’appoggio logistico di Kigali ai ribelli e la presenza di almeno 5.000 effettivi ruandesi in RDC. Dall’inizio del mese sono incominciate ad arrivare le prime sanzioni internazionali nei confronti di alcuni comandanti delle milizie ribelli, ma anche e soprattutto nei confronti del Ruanda. Prima il Regno Unito ha tagliato fondi e congelato accordi con Kigali, poi gli USA hanno sanzionato alcuni esponenti politici ruandesi e infine l’UE ha sanzionato nove individui tra ribelli e funzionari ruandesi. Alla messa in pratica di queste sanzioni, lunedì il Ruanda ha tagliato i rapporti diplomatici con il Belgio, proprio quando l’AFC ha annunciato di non partecipare ai colloqui. Kigali ha intimato ai funzionari belga di abbandonare il territorio ruandese entro 48 ore, accusando Bruxelles di «voler sostenere un piano neo coloniale» e di «schierarsi sistematicamente contro il Ruanda». A seguito della decisione di Kigali non si è fatta attende la risposta del ministro degli Esteri belga, Maxime Prévot, che dal suo profilo X ha definito «sproporzionata» la reazione di Kigali e ha annunciato che anche Bruxelles dichiarerà i diplomatici ruandesi persone non grate e sospenderà gli accordi governativi tra i due paesi. Ma i colloqui di Doha mostrano come le sanzioni abbiano già avuto dei risultati sul piccolo paese dei Grandi Laghi, che si trova nella necessità di mettere fine agli scontri, tanto quanto lo vuole Kinshasa.
Ma si sa, i colloqui non sono una sicurezza e per Kinshasa la necessità di trovare una soluzione è oggi più che mai un imperativo. Dall’inizio del mese infatti ci sono stati diversi contatti tra alcuni esponenti del governo congolese e funzionari americani. Sembrerebbe che la presidenza della RDC sia disposta a trovare un accordo sulla scia di quello proposto da Washington a Kiev, per il quale l’Ucraina cede una quota del 50 percento dei ricavi minerari per usufruire di un impegno finanziario a lungo termine degli Stati Uniti. Ancora non ci sono dei dettagli su un possibile accordo, ma quello che è sicuro è che Kinshasa potrebbe cedere parte dei suoi minerali se in cambio avrà forniture militari e forse anche truppe americane schierate nei Kivu. Sempre lunedì il presidente congolese Felix Tshisekedi si è incontrato con Ronny Jackson, presentato come inviato speciale dell’amministrazione Trump in RDC. Jackson al termine dell’incontro ha dichiarato: «vogliamo lavorare affinché le aziende americane possano venire a investire e lavorare nella RDC. E per farlo, dobbiamo assicurarci che ci sia un ambiente pacifico» . Un ‘incontro che arriva una settimana dopo che Washington si è detta disposta ad aprire un dialogo con Kinshasa al fine di trovare un accordo sui minerali. «Gli Stati Uniti sono aperti a discutere di partnership in questo settore» ha dichiarato mercoledì scorso un portavoce del Dipartimento di Stato americano, che ha precisato «sempre se il tutto rimane in linea con l’agenda America First della presidenza Trump».

Sul campo le parole servono a poco e l’offensiva dell’M23 non accenna a fermarsi. Dopo aver conquistato le due capitali regionali del Nord e Sud Kivu, rispettivamente Goma e Bukavu, i ribelli ieri sono entrati a Walikale, importante centro minerario a circa 100 chilometri da Goma. Mercoledì, tramite il profilo X dell’AFC, i ribelli hanno dichiarato di aver conquistato la cittadina di 12mila abitanti e che non serviranno dialoghi a Doha o Lunanda, perché «l’AFC non ha altra scelta che difendere il prpoprio popolo». Ormai l’M23 è a poco meno di 400 chilometri da Kisangani, quarta città del paese, e sembra pronta a conquistarla.
Durante la loro avanzata le milizie ribelli hanno incontrato una leggera resistenza da parte di diversi gruppi armati fedeli all’esercito congolese, ma nulla è bastato per frenare l’offensiva. Nemmeno le taglie che il governo di Kinshasa ha messo sulle teste dei comandanti dell’M23 e dell’AFC, sono servite. Le autorità della RDC hanno offerto una ricompensa di 5 milioni di dollari per la cattura di Corneille Nangaa, Bertrand Bisimwa e Sultani Makenga. Processati in contumacia a Kinshasa, tutti e tre gli uomini furono giudicati colpevoli e condannati a morte nell’agosto 2024. Un altro colpo alle forze congolesi è arrivato giovedì scorso, quando la SADC (South african development community) ha dichiarato che le sue forze di pace schierate sul campo inizieranno la fase di ritiro, dopo che dall’inizio dell’anno decine di soldati schierati dai diversi paesi dell’Organizzazione regionale hanno perso la vita negli scontri con i ribelli.
Secondo quanto riporta l’UNICEF dall’inizio dell’anno l’offensiva dell’M23 ha costretto alla fuga più di 850mila persone, la metà delle quali minori, che si aggiungono ai già presenti 7,5 milioni di sfollati interni. L’agenzia dell’ONU ha sottolineato come ci sia stato un forte aumento di gravi violazioni contro i bambini, queste includono violenza sessuale, uccisioni, mutilazioni. il reclutamento e l’uso di bambini da parte di gruppi armati. «Stiamo affrontando una crisi di protezione senza precedenti. I bambini sono presi di mira. Vengono uccisi, reclutati, strappati alle loro famiglie ed esposti a orribili violenze sessuali e fisiche» ha dichiarato Jean François Basse, rappresentante ad interim dell’UNICEF nella RDC.
[di Filippo Zingone]
Fuori la francia dall’Africa, dentro la piovra usa, alè!
Qualcuno che fa fuori i von leader del cazz Europei che danno Ucraina e Africa e Medio Oriente agli Usa e i debiti a Italia e Grecia mai?