C’è una alternativa permanente, disponibile, generosa. Si chiama ‘fantasia’: ne hanno approfittato scrittori, inventori, scienziati, esploratori. E c’è una speciale fantasia che si insinua, suggerisce, ti fa cambiare programma, direzione, ti invita a perdere qualche minuto per trovare qualcosa che non sai ancora. I tuoi libri, ad esempio, e la magica, forse rivoluzionaria, religiosa apertura a caso di uno di loro, piena di sorprese e di conferme, foriera di aperture mentali imprevedibili. Prima di tutte quella di gioire della fantasia altrui, della capacità che ha qualcuno di inventare mondi nuovi, anche partendo semplicemente da quello esistente.
«Mentre la nonna navigava per le paludi del passato…»: così García Márquez all’inizio di L’incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata. «Ho notato che quando tu cominci a salvarmi e a insegnarmi a vivere, la faccia ti diventa ingenua ingenua e le pupille si dilatano, come se guardassi una cometa. Aspetta, hai un po’ di polvere sulla spalla», nell’atto terzo di Ivanov, commedia di Čechov. «Sto osservando un mondo avvolto nel silenzio. Attraverso l’obiettivo di questa cinepresa, regolato sul campo massimo, posso vedere l’Hotel Coral Playa a trecento metri sulla spiaggia, coperto da una luce così abbagliante e vitrea che potrebbe imbalsamare un faraone»: James G. Ballard, Lo zoom di sessanta minuti.
Scriveva Borges in Antologia della letteratura fantastica, evocando Don Chisciotte e Delitto e castigo che tutta la letteratura è fantastica: «Nessuno crede veramente che in un paese della Mancia… visse un cavaliere che per l’abuso di libri di cavalleria si lanciò per le vie della Castiglia con armatura, spada e lancia. Così nessuno crede che in un’estate di Pietroburgo uno studente assassinò un’usuraia per emulare Napoleone».
«Cosa ti aiuta a vivere, nei momenti di smarrimento e di orrore? Il bisogno del pane, da guadagnare o da impastare, il sonno, l’amore, la biancheria pulita addosso, un vecchio libro riletto, il sorriso di una donna nera o del sarto polacco all’angolo, l’odore dei mirtilli maturi e il ricordo del Partenone»: Marguerite Yourcenar, l’autrice di Memorie di Adriano.
In effetti Umberto Eco, mèmore forse di Borges, annotava che «se i mondi narrativi sono così confortevoli perché allora non tentare di leggere lo stesso mondo reale come se fosse un romanzo?» (Sei passeggiate nei boschi narrativi). Io appartengo alla generazione di quelli che urlavano per le strade «l’immaginazione al potere», non perché gli intellettuali dovessero comandare ma forse perché chi governa si faccia venire (buone) idee originali senza scopiazzare, senza prendere ordini. E poi perché si fornisca di una cultura decente, abbandonando slogan ripetuti, quelli di una continua campagna elettorale, dell’obbedienza servile a schemi fotocopiati.
E allora? Lèggere! La lettura è un’opera di collaborazione con il testo, richiede che si assumano le vesti del narratore, è un atto di generosità, di empatia nei confronti di quanto abbiamo davanti. La lettura, soprattutto di un’opera narrativa, è un gesto ripetuto nei confronti dell’immaginabile, produce una dislocazione spazio-temporale che ridisegna continuamente i confini del divenire, sorprendendoci di una improbabilità o di una conferma.
Moltiplicare dunque il possibile, dargli la libertà di esistere, di potercela fare. Scrivere anche la propria storia, provare a riscrivere i finali dei film, anche di quelli che ci piacciono.
[di Gian Paolo Caprettini]