mercoledì 25 Dicembre 2024

Sagaing, “l’epicentro della violenza” della guerra in Birmania

Nel contesto del conflitto interno birmano, che si porta avanti da ormai tre anni, la regione di Sagaing è quella che più di tutte ha risentito della violenza e della brutalità di questa guerra. A raccontarlo è un rapporto che la piattaforma investigativa Myanmar Witness ha inviato a L’Indipendente, dal titolo Un Epicentro di Violenza: Antologia della Regione di Sagaing. I documenti parlano di una vera e propria campagna del terrore portata avanti dalla giunta militare ai danni dei civili: interi villaggi cancellati da incendi dolosi, attacchi aerei che devastano infrastrutture e mietono vittime, scuole e ospedali ridotti in macerie, oltre a torture, decapitazioni e corpi bruciati lasciati in esposizione come monito ai futuri ribelli. Tra il settembre 2021 e il gennaio 2023, nella sola regione di Sagaing si sono verificati il 73% di episodi di corpi bruciati documentati, il 50% degli attacchi alle strutture mediche e il 33% delle violenze contro le scuole in tutta la Birmania. A fine 2022, sono state contate 28.000 abitazioni distrutte, costringendo più di un milione di persone a lasciare le proprie case.

La Birmania: una lunga storia di instabilità politica

La Birmania, Paese segnato da una storia di lotte tra potere militare e istituzioni democratiche, da tre anni vive una sanguinosa guerra civile, scatenata dal golpe del 1° febbraio 2021 che ha rovesciato il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi. Di fatto, non si è trattato di un evento isolato ma dell’ultimo capitolo di una lunga serie di colpi di Stato che hanno segnato la vita politica del Paese. Già nel 1962, l’esercito prese il potere con la forza, instaurando una dittatura militare durata decenni, arrivata sulle colonne dei quotidiani europei anche grazie ai reportage di giornalisti quali Tiziano Terzani.

Negli anni successivi, brevi aperture democratiche sono state sempre seguite da nuove ondate di violenza e autoritarismo. La vittoria schiacciante di Aung San Suu Kyi – vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 1991 – alle elezioni del 2020 aveva riacceso la speranza di un cambiamento, ma il nuovo colpo di Stato del 2021 ha riportato il Paese in un passato che sembrava ormai superato. La giunta, guidata dal generale Min Aung Hlaing, ha represso con ferocia ogni forma di dissenso, innescando una resistenza armata senza precedenti. Tra tutte le regioni della Birmania, Sagaing rappresenta oggi l’esempio più drammatico di questa crisi. Situata tra i fiumi Irrawaddy e Chindwin, questa regione, che un tempo si distingueva per la sua produttività agricola e la relativa stabilità politica, è diventata il simbolo della guerra civile. L’ultimo golpe ha trasformato Sagaing in un teatro di guerra, con la formazione di milizie locali e delle Forze di Difesa Popolare (PDF) in opposizione alla giunta. La risposta del regime è stata brutale: incendi dolosi hanno distrutto oltre 28.000 abitazioni, attacchi aerei hanno colpito ospedali e scuole, e una campagna di terrore ha lasciato dietro di sé torture, decapitazioni e corpi bruciati.

La strategia dei “quattro tagli”

Secondo il rapporto di Myanmar Witness (MW), la giunta militare birmana applica con precisione la strategia dei Four Cuts, una politica di repressione progettata per spezzare ogni forma di resistenza attraverso il taglio di quattro risorse essenziali: cibo, fondi, informazioni e reclutamento. Una tattica che mira a isolare le forze ribelli andando a colpire le comunità locali, con atti che comprendono incendi dolosi, attacchi aerei indiscriminati e campagne di terrore mirate.

Tra il 7 e il 13 novembre 2022, nel Distretto di Myaung, otto villaggi sono stati devastati in una settimana di attacchi. In località come Pa Rein Ma, Na Nwin Kaing e Shwe Ta Chaung le colonne militari in transito hanno incendiato abitazioni e strutture comunitarie. Le immagini satellitari analizzate da MW, incluse nella loro documentazione, mostrano aree completamente bruciate, confermando la distruzione sistematica. Tuttavia, le restrizioni imposte dalla giunta – tra cui il blocco dell’accesso fisico alle aree colpite, la censura delle comunicazioni internet e la repressione dei giornalisti locali – rendono impossibile verificare il numero esatto delle vittime. «Ciò che vediamo è solo la punta dell’iceberg, perché molte atrocità non vengono catturate dai social media o rimangono nascoste a causa delle restrizioni alla libertà d’informazione», spiegava Matt Lawrence, direttore di Myanmar Witness, lo scorso anno. Testimonianze raccolte tramite fonti secondarie descrivono famiglie costrette a fuggire nel caos, ma l’entità delle perdite resta incerta. «Le prove visive indicano una distruzione compatibile con l’obiettivo di privare la popolazione di ogni risorsa,» si legge nel rapporto.

A sinistra: screenshot della mappa degli incendi di Myanmar Witness aggiornata a maggio 2024; A destra: mappa degli incendi di MW che evidenzia la regione di Sagaing come l’area con il maggior numero di eventi di incendi registrati in Myanmar [Fonte: Myanmar Witness].

La distruzione di scuole e ospedali

Neanche le scuole, protette dal diritto internazionale umanitario, vengono risparmiate. Un attacco particolarmente brutale è stato quello compiuto il 16 settembre 2022 nel Distretto di Tabayin, dove due elicotteri Mi-35 bombardano una scuola e un monastero nel villaggio di Let Yet Kone: libri insanguinati, scarpe di bambini sparse sul terreno e macerie ovunque. L’attacco ha causato almeno 11 morti, tra cui 6 bambini. La giunta sostiene che la scuola fosse utilizzata dai ribelli come base operativa, ma il rapporto non identifica alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Secondo il diritto internazionale umanitario, sancito dalla Quarta Convenzione di Ginevra e dai Protocolli aggiuntivi, un attacco a una scuola sarebbe consentito solo se giustificato da una necessità militare concreta e proporzionato al vantaggio militare diretto. Nel caso della scuola di Let Yet Kone, non emergono prove che rispettino tali criteri, rendendo l’attacco contrario alle leggi internazionali.

Le strutture sanitarie subiscono un destino simile. Il 23 febbraio 2023, l’ospedale distrettuale di Ma Le Thar, nel Distretto di Ayadaw, viene distrutto da un attacco aereo seguito da un’incursione terrestre. Le immagini satellitari raccolte da MW confermano la distruzione dell’edificio, con crateri evidenti compatibili con esplosioni aeree. Testimonianze locali, sebbene difficili da verificare per via delle restrizioni circa l’attività dei giornalisti nel Paese, riportano saccheggi e la distruzione intenzionale di attrezzature mediche. Fonti anonime riferiscono di violenze fisiche contro pazienti e personale sanitario, inclusa la presunta decapitazione di alcuni civili, ma l’assenza di prove dirette rende impossibile confermare tali episodi.

Geolocalizzazioni delle strutture nel villaggio di Let Yet Kone [Myanmar Witness]

Tra gli eventi più sanguinosi si colloca il massacro di Mon Taing Pin, nel distretto di Ye-U, avvenuto il 10 maggio 2022. In questa occasione, circa 30 civili che avevano cercato rifugio in un monastero locale sono stati catturati dalle truppe della giunta, trasferiti in una scuola vicina e sottoposti a torture seguite da esecuzioni sommarie. MW è riuscita a verificare dei video diffusi online, che mostrano soldati intenti a discutere delle uccisioni e a filmare le atrocità. «La scelta di utilizzare una scuola come luogo di detenzione ed esecuzione non è casuale, ma simbolica, progettata per terrorizzare la popolazione,» si legge. I corpi delle vittime vengono lasciati in esposizione per giorni, un messaggio chiaro rivolto a chiunque osi opporsi al regime.

Questi episodi non rappresentano eventi isolati, ma tasselli di una strategia unificata volta a distruggere il sostegno civile alla resistenza. Come dimostra anche il genocidio a Gaza, l’attacco deliberato a scuole, ospedali e infrastrutture civili sta diventando una pratica comune nei conflitti moderni, erodendo le fondamenta stesse delle convenzioni internazionali. Questa si aggiunge alla distruzione sistematica dei luoghi di culto, documentata anch’essa da Myanmar Witness in un rapporto inviato in esclusiva italianaL’Indipendente. Sagaing, con i suoi villaggi bruciati, le sue scuole bombardate e i suoi ospedali rasi al suolo, è un simbolo di questa tendenza, contro la quale la giustizia internazionale sembra non volersi muovere concretamente.

[di Riccardo Ongaro]

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